domenica 7 marzo 2021

SEDUTE IN PIEDI ( versi per un'analisi )

 


              S'insinua il dubbio che , a giocare al suo ruolo, confermi il mio male assoluto...




VENTOTTESIMA ORA DI LAVORO


Dottoressa, come le ho già più volte

detto, pur con le molte

divagazioni del caso,

io sono preoccupata per il mio naso.

Ho paura che la sua sporgenza

sia uno sfoggio di esistenza

e che al vederlo chi è di fronte

pensi a lui come a un ponte

nella mia direzione,

fatto di binari olfattivi

alla portata dei suoi incisivi.

Dottoressa, è un delirio

o solo fervida immaginazione?

Mi rassicuri, mi comprenda,

alle prese con l'ammenda

mi sprofondo nelle suole.


Allora, andiamo con ordine:

tu mi vuoi dire che il tuo naso

è una proiezione del fallo reciso

che tua madre conserva in un vaso?



Esatto, Dottoressa, quanto ha ragione!

Conosce Lisabetta da Messina,

sventurata figlia del Decamerone,

i cui fratelli assassinarono l'amante in sordina?

Del suo amato la testa riposa

in un vaso sul quale ella piange

la condizione di mancata sposa.

La castrazione decapitata del suo amato

l'ha indotta a una partenogenesi di basilico

per cui le sue lacrime hanno irrorato

una verdura che sul suo capo

ha attecchito da più di un lato.

Dottoressa, io sono convinta

che al suo naso la radice s'è avvinta

e questo pensiero mi ossessiona talmente

che immagino il naso come una gobba

vulnerabile ed esposta alla gente.

Il naso - ci pensi - è una bandiera

svetta sul muso con la punta altera

e con le narici ci apre la strada,

perlustrando, come una spada.

C'è chi dice : " Non vedervi oltre"

a significare che l'escrescenza facciale

sia dell'uomo il limite oppure una coltre.

La protuberanza tridimensionale

è anche la maniglia a cui si afferra

colui che ci mente o di noi si fa beffe.

La mia espressione preferita

è sempre stata " naso di velluto",

mi fa pensare a una stoffa brunita

sulla ferita che ingombra il ritratto

altrimenti piatto della nostra partita.


Perché la consideri una ferita?

Non potrebbe darsi

che piuttosto la vita

mostri nel naso il suo rafforzarsi?



Ci penserò, dottoressa, ora che l'ora è finita

e il ritorno una strada in salita.



                                           ***


TRENTUNESIMA ORA DI LAVORO


Salve , dottoressa, come sta?

Sono contenta che sia sempre qua.

Porto sicuro in cui porto me stessa

e al monologo alterno una vana scommessa.

Dottoressa, le sono mancata?

Cosa ne pensa: mi trova assennata?

L' amara ironia che con lei argomento

ogni ora si rapprende al mio tegumento,

come una patina di porcellana

mi rende più fragile ma anche più umana.

Perché non parliamo della sua parcella?

Crede di meritare che sia sempre quella?

Anche quando la seduta è un tormento

e ad ogni silenzio sospira un momento?

O quando le descrivo i miei onirici stenti

e lei - fattucchiera - ne svela i cimenti?

Non saprei dirle, potremmo variare,

un giorno un diamante e l'altro del sale.

Cosa ne pensa della mia proposta?

Renderebbe la sfida non mia ma nostra.

D' accordo, la smetto di tergiversare

e vado al sodo senza farmi cacciare.

Dottoressa, parliamo del niente,

quel niente che tormenta l'intero Occidente

un niente che è tutto e gli avari consola,

ecco, quel niente, alcun tempo ristora.

Come si affronta il niente da sola?

Io sono con lei soltanto quest'ora.


Vorresti risolvere il tuo delirio

o quello dell'intero mondo in martirio?



Dottoressa, non poniamoci limiti,

cosa possiamo noi contro il creato?

Non dico di essere Napoleone,

ma ciò non mi frena dall'emularlo,

sempre meglio che Garibaldi

anche se aveva dei nervi assai saldi.



                                                 ***


QUARANTESIMA ORA DI LAVORO


Bentrovata , Giulia, come si sente,

oggi crede nel passato o nel presente?



Dottoressa, la ringrazio per la domanda,

quanti giochi di luce nella sua veranda.

Lo vede, il giorno è più lungo e la sera

abbrevia la notte per chi è mattiniera.

Proprio oggi pensavo:

dovrà pur condurmi da qualche parte questa corsa

o il delirio gira in tondo dalla settimana scorsa?

Dottoressa, oggi la sento stanca,

la luce stasera la invita ad uscire

e certo non alla mia voce bianca, 

pallida e ingenua come il mese di aprile.

Il passato e il presente sono oltre la stanza

eppure abbisognano della sua presenza.

Dottoressa, ascolti attentamente,

restiamo un attimo con le luci spente,

come quel Cyrano che al buio, solo al buio,

svelò l'intima debolezza del coraggio,

giacché la bruttezza era stata l'oltraggio

al genio amante rendendolo spurio.


Cosa nello scuro ti fa sentire al sicuro?



La notte allevia l'evidenza,

ci restituisce all'incoscienza.

Grazie allo Scuro, Giulia può essere vaga,

ma Giulia allo Scuro consente una paga.



Lo Scuro e la Giulia sono sciocchi ad illudersi:

la loro scissione è illusoria.

Tutti gli attimi sono attimi persi

se il rifiuto diventa la scoria.


                                              ***


ULTIMA SEDUTA?


Dottoressa, il tempo passa lontano da lei

e io non ho più domande giuste,

solo qualche lacrimevole vorrei

e un po' di spesa nelle buste.

Non mi adagio nell'ozio,

mi ci dimeno, smaniosa:

m'inquieta e mi spossa

come a un goloso una crosta.

Penso a lei in quei momenti,

a ogni cosa, dal citofono

alle scale, allo scranno

che lei concede ai pazienti.

All'inizio non trovavo mai posizione,

troppo ingombrante nelle mie anche,

mi barcamenavo, scivolavo,

e con me le monetine dalle tasche.

Altre volte mi facevo piccolina

sedendomi sul bordo,

impettita, per farmi più vicina.

Ero in lei occhi e mani

tra poltrone e divani,

anticamera e studio,

qualche volta anche al buio.

Ho nostalgia di ogni oggetto

delle riviste sempre aggiornate

alle collezioni da rigattiere sempre ordinate,

ai ninnoli e posate spaiate.

Mi chiedo adesso: forse aveva paura del vuoto?

Anche gli incontri con noi,

- a ripensarci - come fiumi di male e di bene

scorrevano in serie tra tazzine e saliere.

Ora mi direbbe:


Non ti manco io ma tu stessa,

saresti ben accolta e invece

cedi l'indagine alla ripresa

di un'immagine muta in mia vece.



Nell'eco della sua voce, senza saluto,

s'insinua il dubbio atroce che il delirio è compiuto,

che giocare al suo ruolo confermi

il mio male assoluto.




                           Giulia  Scuro    da     Sedute in piedi



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