lunedì 25 febbraio 2019

INVITO AL VIAGGIO

 
 


     T' invito al viaggio in quel paese che ti somiglia tanto...


                                    
                                           frida                                                         


NON ANGUSTIATEVI...

 
 
 
 


                                  E' solo un arrivederci !!!


                                         frida


domenica 24 febbraio 2019

POESIE D'AMORE E NOSTALGIA

 
 


                                               Tu sei diventato il mio ricordo…


NON SAPPIAMO CONGEDARCI

Non sappiamo congedarci -
vaghiamo sempre spalla a spalla.
Ormai comincia a imbrunire,
tu sei pensoso, io taccio.

Entriamo in chiesa, vediamo
messe funebri, battesimi, nozze,
senza guardarci usciamo.
Perché per noi non è così?

O sediamo sulla neve sfatta
al cimitero, sospiriamo lievemente;
col bastone tu disegni palazzi
dove insieme sempre saremo.


                                                ***


NOTTE DEL VENTUNO. LUNEDI'

Notte del ventuno. Lunedì.
La città è immersa nel buio.
Un qualche burlone ha scritto
che c'è amore sulla terra.
E per pigrizia o per tristezza
tutti ci hanno creduto. E così vivono:
anelano incontri, temono i distacchi,
cantano amorose canzoni.
Ma diverso si rivela il mistero
e il silenzio calerà su ognuno.
Anch'io mi ci sono imbattuta per caso
e da allora sono sempre come ammalata.


                                                    ***


OGNI GIORNO

Ogni giorno reca con sé
un'ora torbida e tesa.
Parlo con la mie pena a voce alta,
senza aprire gli occhi assonnati.
Ed essa batte come il sangue,
riscalda come il respiro,
come l'amore felice
è giudiziosa e cattiva.


                                                  ***


NE' MISTERO NE' DOLORE

Né mistero né dolore
né volontà sapiente del destino:
sempre quell'incontrarci ci lasciava
l'impressione di una lotta.

Ed io, indovinato dal mattino
l'attimo del tuo arrivo,
percepivo nei palmi socchiusi
il morso leggero di un tremito.

Con dita arse sgualcivo
la variopinta tovaglia del tavolo:
capivo fin da allora
quanto è angusta questa terra.


                                                    ***


AH, TU PENSAVI CHE ANCH' IO FOSSI UNA

Ah, tu pensavi che anch'io fossi una
che si possa dimenticare
e che si butti - pregando e piangendo -
sotto gli zoccoli di un baio.

O prenda a chiedere alle maghe
radichette nell'acqua incantata,
e ti invii il regalo terribile
di un fazzoletto odoroso e fatale.

Sii maledetto. Non sfiorerò coi gemiti
o sguardi l'anima dannata,
ma ti giuro sul paradiso
sull'icona miracolosa
e sull'ebrezza delle nostre notti ardenti:
mai più tornerò da te.


                                          ***



C' E' IN ME UN RICORDO

C'è in me un ricordo come un sasso
che biancheggia nel fondo del pozzo.
Né più voglio e non posso lottare:
quel sasso è il dolore,
quel sasso è l'amore.
Se guardi da vicino i miei occhi
subito lo scorgi: ti fai grave e pensoso
come per un triste racconto.
Sento che gli dei hanno mutato
gli uomini in cose, senza uccidere
la loro imprevidenza, affinché vivano
eterni stupendi dolori. Tu sei diventato
il mio ricordo.



                                    Anna Achmatova ( da Raccolte diverse )

sabato 23 febbraio 2019

GUARDAMI

 
 

Les yeux du coeur son plus forts que le pupilles d'or; les yeux  de l'ame son plus grands que le pupilles d'argent…



Lo vedi? Io non ho più paura
se posso immaginarti di sorriso
e respirare calma nella notte

serrata dentro te che mi sei nido
e vela e sponda verso cui nuotare
- mio infrangibile amore -

Guardami!

Guardami bene, prima e dopo e oltre
per essere certo di approdare al sonno.



                                    frida


DENUNCIA E PROVOCAZIONE DI LEON FELIPE


(…) Leòn Felipe fu uno spirito inquieto, difficile da inserire e
     classificare nel panorama della letteratura spagnola dell'epoca,
     al punto che il suo rifiuto delle formule adottate dai
     rappresentanti della Generazione del '27, come pure l'estraneità
     alle estetiche innovative dei movimenti d'avanguardia, hanno
     finito per creare l'immagine di un poeta ostinatamente assente
     dalla scena ufficiale della cultura nazionale. Anche quando,
     dopo l'evento bellico, la Spagna fa conoscere la sua eccezionale
     fioritura poetica ( pensiamo alle opere di Garcia Lorca, Vicente
     Aleixandre, Jorge Guillén, Rafael Alberti, Pedro Salinas ecc,
     Leòn Felipe continua a non avere una collocazione precisa o a
     essere semplicemente considerato - come scrive Luis Cernuda -
    " un poeta di transizione ".
     Solo e appartato nel lontano Messico- dove si è definitivamente
     stabilito,Leòn Felipe è il rappresentante di una poesia che eleva
     la protesta contro ogni sopruso e ingiustizia sociale. La sua
     parola, depositaria di una forza vaticinante, lancia accuse e
     anatemi contro tutti i responsabili della tragedia spagnola,
     superando le divisioni partitiche.
     La morte - come si vede nella sua poesia - è una delle ultime
     immagini che accompagnano il viaggio di questo instancabile
     viandante che ora - vecchio e stanco - attende l'arrivo della
     notte eterna, l'oscura prigione, il Nulla. Ma a parte quest'ultimo
     tono dolente che annuncia il silenzio finale, la poesia di Leòn
     Felipe è una poesia gridata, singhiozzata, legata al tragico
     momento storico che vive la Spagna e che, dal punto di vista
     formale, rompe ogni schema fonico e lessicale, investendo il
     lettore con la piena della sua forza ideologica. Una produzione
     letteraria che ingloba verso e prosa, supera la divisione dei
     generi e riunisce- assieme ai libri di versi- testi teatrali e
     traduzioni varie: la conferma della singolarità di un poeta che
     si è bruciato interamente, finendo per identificare se stesso con
     la tragedia della sua Patria.  (..)


                        Gabriele  Morelli 


 

LA DENUNCIA DI LEON

 
 

                                                           Così è la mia vita - pietra - come te…


PROLOGHETTI

Disfare questo verso,
togliergli le frange della rima,
il metro, la cadenza
e persino l'idea stessa…
Gettare al vento le parole
e se dopo resta ancora qualcosa,
quello
sarà la poesia.
Che
importa
che la stella
sia remota
e disfatta
la rosa?
Avremo ancora
la luce e l'aroma.


                                           ***


COME TE

Così è la mia vita,
pietra,
come te: come te
piccola pietra;
come te,
pietra leggera;
come te,
canto che rotoli
per le strade
e per i sentieri;
come te,
umile sasso delle grandi strade;
come te,
che nei giorni di tormenta
affondi
nel fango della terra
e poi
mandi scintille
sotto gli zoccoli
e sotto le ruote;
come te, che non sei servita
per essere né pietra
di un mercato,
né pietra di un tribunale,
né pietra di un palazzo,
né pietra di una Chiesa;
come te,
pietra avventurosa;
come te,
che - forse - sei fatta
solo per una fionda,
pietra piccola
e
leggera.


                                       ***


ORAZIONE

Signore,
io ti amo
perché giochi pulito:
senza imbrogli - senza miracoli -
perché lasci che esca
a poco a poco e
senza trucchi - senza utopie -
carta a carta,
senza scambi,
il tuo formidabile
solitario.


                                       ***


CRISTO

Sei venuto a glorificare le lacrime
non ad asciugarle.
Sei venuto ad aprire le ferite
non a chiuderle.
Sei venuto ad accendere i fuochi
non a spegnerli.
Sei venuto a dire:
che scorra il pianto,
il sangue
e il fuoco…
come l'acqua.


                                         ***


E' TUTTO UNA PRIGIONE

Adesso verrà la morte
dallo spesso muro della notte
a portarti dalla cella
al catafalco.
E' tutto una prigione.
E anche il Nulla… il nulla:
l'infinito prigioniero
dello zero vuoto ed assoluto.


                                      ***


CENERI

Sono figlio dell' Acqua e della Terra,
ma la mia sepoltura è nel Vento.
Che esso raccolga l'eredità di polvere e di cenere,
il minerale residuo,
la lieve reliquia che il fuoco non distrusse.



        Leòn  Felipe  da       El ciervo  ( Libro eretico e disperato )      


venerdì 22 febbraio 2019

LE PAROLE DEI BAMBINI ( Introduzione ) 1



(…)Le parole dei bambini  è un libro di quel che pensano e
       provano i bambini. Anzi, è un libro che fa parlare i bambini,
       dando voce al loro mondo di valori, al loro modo di
     relazionarsi con gli altri e di vivere la realtà esperita attraverso
     l'originalità, la creatività e soprattutto la magnificenza che li
     contraddistingue. Poiché i bambini possiedono parole che gli
     adulti non sanno più trovare. Parole del cuore, legate alla loro
     immaginazione, fantasia, voglia di comunicazione che spesso -
     però - sono anche intrise dei valori, dei disvalori, delle
     insicurezze e delle incertezze, delle paure,delle necessità,  del
     disagio e altro ancora che gli adulti trasmettono loro. Così
     questo libro è una profezia che si autoavvera : alle parole
     rivelatrici dei " profeti bambini " - che talvolta suonano come
     sentenze di assoluzione e talvolta come verdetti di condanna -
     gli adulti dovrebbero prestare massima attenzione e ascolto. 
     Perché i bambini sono poeti : agiscono.
     L'arte loro è agire la realtà, è interpretarla attraverso
     rappresentazioni drammatiche, comiche, gli psicodrammi che
     li educano e li preparano - quali prove generali - a vivere la
     vita nel mondo degli adulti.
     I bambini sono flessibili, creativi, adattabili.
     Sono pratici ma non rinunciano alla fantasia.
     Sanno  mescolare l'acqua del desiderio con la terra della
     possibilità.
     Grandi architetti dalle mani piccine non dimenticano mai il
     cuore e il futuro.
     I bambini hanno fiducia nello sviluppo, nel cambiamento, anche
     se aspirano alla stabilità.
    I bambini sono capaci di dare stabilità all'instabile, di accettare
    la morale di ciò che è osceno, di utilizzare l' ambivalenza come
    altalena della conoscenza e dell'amore.
    I bambini sono roccaforti penetrabili, passerotti sparvieri, tigri
    di carta e peluche, precari come le loro ire brevi, come la
    disperazione dei loro pianti inconsolabili.
    I bambini sono il dolore fatto allegria, l'impero lillipuziano dei
    sensi, la disperazione che si risolve, l'ignoranza della morte che
    affrontano come primitivi attaversandola poiché posseggono l'
    alchimia che tramuta in nulla ogni giorno che nasce a muore.
    Hanno il cinismo della sincerità, la qualità dell'innocenza, l'
    esercizio violento della verità.
   I bambini non aspirano alla gloria poiché sono la gloria e vivono
   nel mito. Non aspirano al sesso poiché essi sono il sesso, cigni
   ermafroditi alla ricerca di un lago, di un piedistallo adulto, di
   una possibile identificazione che diverrà - poi - identità. (…)



            Maria Rita Parsi  ( Introduzione a )  Le parole dei bambini



LE PAROLE DEI BAMBINI ( Introduzione ) 2


(..)Non temono la guerra perché dentro di loro si agita ogni guerra
    Potrebbero semmai patirla nel corpo poiché nell'anima già la
    conoscono, e da sempre quale disagio - angoscia per la 
    presenza - assenza, per il possesso del seno materno - terra -
    madre  che sfama, sapere- fonte che allatta - e quale conflitto 
    coi genitori, a cui assistere senza poter far nulla. I bambini
    odiano e vorrebbero eliminare, ma poi fanno resuscitare ogni
    avversario quando non è più pericoloso. I bambini hanno la
    prudente seduttività e l'apparente  rassegnazione dei deboli, ma
    agiscono col senso di onnipotenza dei despoti e manifestano la
    vocazione al martirio dei santi. Progettano fughe e ritorni, se
    delusi o feriti fantasizzano delitti di gelosia e vendetta, ma sanno
    poi sorridere al perdono per tutto dimenticare, poiché l'amore è
    alfa e omega. E' l'alfabeto per sempre.
    I bambini non temono la fame: sono la fame. Hanno fame di
    presenza come di cibo, hanno fame di cibo come d'affetto.
    Conoscono ogni possibile fame poiché è da sempre che l'essere
    umano patisce - nell'infanzia - l'abbandono e la cacciata dal
    paradiso terrestre del grembo materno. Sanno della fame poiché
    sono primordiali come Adamo ed Eva ed osano assaggiare l'
    albero della Conoscenza; si fanno tentare dall'esperienza  di 
    Dio, dal sapore del Bene e del Male,dal richiamo della Bellezza.
    I bambini aspirano alla pace e la realizzano nell'atto di creare
    e credere. Non attendono il Messia poiché ogni bambino è un
    messia e un messaggero. I bambini considerano l'infanzia un
    territorio su cui scorrazzare, un segreto armadio, una profonda
    grotta in cui rifugiarsi e attendere il tempo della crescita, la
    nascita del mondo degli adulti.
    I bambini considerano l'infanzia carta di giornale da ritagliare
    in cavalli, pupazzi e soldatini; foglio bianco da ricamare e
    imbrattare con colori e poesie; musica di rumori quotidiani, di
    sapori e odori che accentuano i bisogni e i ricordi; di corpi da
    esplorare nei giochi di penombra e del dottore; di feste e torte,
    di doni e Natali, di passeggiate, gite e vacanze.
    I bambini considerano l'infanzia un lutto di nonni che muoiono,
    di cani e gatti che muoiono, di vecchi che muoiono e- a volte -
    per male malissimo - anche di giovani che bisogna sotterrare
    tra i fiori dei cimiteri. Fiori che appassiscono e muoiono anche
    loro. I bambini vivono l'infanzia come un succedersi di distacchi
    e di arrivi. Soprattutto distacchi.
    I bambini considerano l' infanzia la bugia delle bugie. Non
    esistono bambini bugiardi perché i bambini abitano le bugie.
    Non raccontano bugie ma fiabe, perché sono fatti di fiabe.
    I bambini si specchiano accanto al genitore e si riconoscono
    solo perché nello specchio riconoscono il padre o la madre, il
    padre e la madre insieme, che stanno accanto a loro " Se quella
    è mia madre ( o mio padre ), quello accanto a lui sono io." (…)


              Maria Rita Parsi  ( Introduzione a ) Le parole dei bambini


  

LE PAROLE DEI BAMBINI ( Introduzione ) 3



(…) I bambini si specchiano vestiti con gli abiti dei grandi e
       abitano il fantasma di genitori assenti col gusto del
       travestimento. Non temono i travestimenti: essi sono già
       travestiti da angeli. Sono angeli travestiti.
       I bambini abitano i gabinetti e li onorano di ciò che il loro
       corpo produce. Non temono gli escrementi: abitano la cacca e
       la pipì, il muco, il vomito, il sudore, le lacrime.
       I bambini non temono il pianto: piangono con spontaneità e
       non sfuggono ai colpi della vita perché amano il colpire e
       affrontano il rischio di essere colpiti. E vengono colpiti: dalle
       mani degli adulti, dalla loro indifferenza, dalla loro
       disattenzione mascherata di pazienza, dall'ottusità delle loro
       buone intenzioni.
       E' facile colpire i bambini.
    Tra le mani essi tengono la molle cera di loro stessi da plasmare
      Ogni colpo resta impresso, ogni azione è traccia d'anima.
      I bambini osservano e partecipano.
      Agiscono e stanno a guardare.
      Sentono gelo e calore.
      Si difendono e sono disarmati.
      I bambini giudicano senza mai giudicare. Quel che somiglia a
      un giudizio è per loro soltanto un modo di abitare la paura.
      I bambini considerano i genitori degli dei: li temono, ne
      individuano l'apparente onnipotenza; ne condividono ogni
      scelleratezza. Li giustificano, li imitano e se sono costretti a
      disprezzarli, per troppo dolore, per l'orrore di una malvagità,
      come Isacco offrono loro stessi in sacrificio, affinché l'accordo
      con il Cielo torni a ricomporsi.
      I bambini considerano l'infanzia un tempo e un tempio nel
      quale il loro corpo verrà provato dalla fatica di trasformarsi,
      esposto alla santità del crescere, preparato, attrezzato " all'
      innocenza " del potere al codice nuovo dell'amore.
      L'infanzia è una prova di crescita, a volte una tragedia da
      attraversare, ma è anche attesa di eventi luminosi e lieti, eroici,
      sani e belli.
      Se l'infanzia di un bambino è stata buia, triste, grigia,
      spaventata, senza luce e nessun drago, fantasma o mostro è
      stato all'improvviso sconfitto, egli diventa un adulto, ma dentro
      di lui il bambino aspetta, murato nel semisonno dell'attesa.
      Aspetta che l'infanzia sia magica, bella e santa.
      Bisogna illuminare l'infanzia per far crescere un bambino. (…)



            Maria Rita Parsi  ( Introduzione a )  Le parole dei bambini


LE PAROLE DEI BAMBINI 1

 
 

" Se non diventerete come bambini, non entrerete nel regno dei cieli"  ( Mt, 18,3 )


ANIMALI

VINCENZO, 10 anni : "  Io non posso immaginare la mia vita senza gli animali. Li amo tutti, pure i vermi. Mia madre, invece, li odia e non vuole che in casa teniamo cani e gatti. E neppure il criceto. Io credo che mia mamma abbia paura degli animali, che possano attaccarle qualche brutta malattia o farle male e questo dipende da mia nonna che non può vedere neppure i giocattoli a forma di animale perché si mette paura. Per esempio, i serpenti o i ragni di plastica la fanno gridare. E' esagerata e io penso che fa pure finta per farsi notare. Mio padre, invece, non ha paura però non dice niente a mia madre e a mia nonna. E così io e mia sorella dobbiamo vivere senza animali e non possiamo accarezzare il morbido pelo della vita ".


MORTE

ELENA, 13 anni : " Quand'ero piccola, avevo un cane che era piccolo anche lui e cresceva con me. Però, quando io ho avuto dodici anni, e Dick quindici, lui si è ammalato gravemente. L'abbiamo portato dal veterinario che ha detto che aveva un tumore all'intestino e bisognava sopprimerlo. Così ho capito alcune cose bruttissime: anzitutto che per gli animali gli anni si contano diversamente che per gli uomini. Ogni anno conta per due, per tre o per quattro. Dick era vecchio a quindici anni e comunque, se si ammala un animale, lo devi sopprimere, mentre se sopprimi un essere umano gravemente ammalato è un delitto. Come dire che la vita degli animali vale meno di quella degli esseri umani perché loro non parlano e dipendono in tutto e per tutto dagli uomini. Dick è la prima morte vera che ho conosciuto nella mia vita e, ancora, non mi sono ripresa dal fatto che l'hanno soppresso. Perché questa ingiustizia ? ".



GELOSIA

LETIZIA, 11 anni : "   Io ho un gatto che è geloso di me come se io fossi la sua fidanzata. Appena arrivo a casa da scuola, miagola e vuole che lo accarezzi a lungo. Si acciambella sul mio letto se sono in cameretta, oppure sulla sedia  e se sono in giro per casa mi segue passo passo. Quando una mia amica mi ha lasciato il suo gatto perché andava in viaggio, Lollo, così si chiama il mio gatto, non solo ha soffiato a quel poveraccio e gli faceva continuamente agguati correndo da una parte all'altra delle stanze, ma gli ha impedito di mangiare e pure di dormire. Insomma, lo ha tormentato e quando finalmente è andato via, a Lollo sono caduti i peli a ciocche. La veterinaria ha detto che è stato per lo stress.Forse Lollo pensava che l'altro gatto, di nome Ruffino, sarebbe rimasto in casa nostra per sempre oppure si è sentito in pericolo perché temeva che l'altro potesse occupare non solo i suoi spazi, ma anche le carezze e il cuore. Mi ha fatto molta tenerezza. Perciò gli ho promesso :" Giuro, Lollo, che qui non verrà più nessun animale ". Forse è stata una combinazione ma Lollo, quando ho detto così, mi ha fatto una carezza sulla mano con la zampa. "



             Maria  Rita  Parsi     da    Le parole dei bambini

LE PAROLE DEI BAMBINI 2


BUGIE…

ANNA, 12 anni : "Io dico spesso le bugie. Però è un modo di rendere gradevole la verità. Tante volte le cose sono così amare che un pizzico di bugia può aiutare. Per esempio, io dico spesso che mio padre ci porta sempre in barca, in gita al mare, a sciare e al cinema. Ma mio padre neppure c'è. Neppure lo conosco bene. Io, un padre è come se non ce l'ho. Questa verità non mi piace ".


VEGETARIANA...

VERDIANA, 12 anni : " Io sono vegetariana perché a casa mia nessuno mangia  più la carne e io pure sono contenta perché è vero che non si possono mangiare i cadaveri delle galline, degli agnelli e delle mucche. Mio padre dice che non possiamo essere mangiatori di cadaveri e perciò mangiamo ceci, lenticchie, fagioli e farro. Insomma, tutti legumi, tutte piante. Le piante non hanno occhi vivi come gli animali perché forse protesterebbero pure loro. E allora cosa ci rimarrebbe da mangiare? Solo latte, formaggio, uova, frutta e castagne. E i pesci, poi? Non parliamo dei pesci! Loro gli occhi vivi ce li hanno e guardano pure loro e sono vivi e quando li peschi muoiono asfissiati perché fuori dall'acqua non respirano. E' brutto vedere i pesci che muoiono. E' brutta la morte per il cibo. "


SE FOSSI DIO…

EMANUELE, 12 anni : " Se fossi Dio, farei il clima di tutto il mondo con temperatura di 24 gradi. Né caldo né freddo e le persone starebbero tutte subito meglio. Non ci sarebbero i deserti e neppure i ghiacciai perché io -  da Dio - metterei tutta l'acqua dei ghiacciai a irrigare i deserti e le zone brulle e senz' acqua. La gente avrebbe sempre bene e allegria nel cuore, sarebbe più sorridente e avrebbe meno voglia di combattere guerre disperate. Infatti, con un bel clima, ti viene voglia di fare pace, picnic, pausa "


DOLORE

GERARDO, 9 anni : " Quando i miei parenti vengono a trovarmi in ospedale, mi dà fastidio perché si vede che sono preoccupati  e mia madre cambia e si agita. Lei è sempre con me così, quando soffro, aspetto sempre che lei sia fuori dalla stanza per piangere  o fare le smorfie o urlare. Non voglio che provi dolore di più a vedere che sto tanto male. Il dolore è più forte se gli altri ti stanno a guardare e pare che soffrano più di te che stai già tanto male ".



ESCORT

MARIA TERESA, 10 anni : " Mia madre mi ha detto che " escort"  è una brutta parola rivolta a quelle ragazze che, invece di studiare e lavorare con impegno e fatica, scelgono la strada più facile per arrivare alla ricchezza e al successo. Ma se è solo la strada più facile, allora sono soltanto furbe! Se invece è una parola brutta da dire alle ragazze, significa che c'è dell'altro che mia madre non vuole dirmi. E mio padre ride! ".



            Maria Rita Parsi   da     Le parole dei bambini

giovedì 21 febbraio 2019

QUASIMODO A SIBILLA ( Introduzione ) 1



(…) Sono forse tra i pochi amici, certo tra i primi, ad avere avuto
 notizia, già più di quarant'anni fa, degli incontri tra Quasimodo
e Sibilla Aleramo, perché alcuni avvennero a Lecco e in qualche
albergo del circondario; e me ne parlò Quasimodo stesso, venuto
a trovarmi nella città della mia infanzia qualche settimana dopo che ero stato nominato preside del liceo Manzoni. Anzi, a
ripensarci, già s'era lasciato scappare un'allusione, quando mi aveva letto " Sera nella  Valle del Masino", che poi mi dedicò, ed aveva finito per dirmi che proprio quell'estremo lembo della mia Lombardia era stato teatro delle sue notti d'amore con " La Sibilla di Cuma "; e io - allora - avevo creduto si riferisse all'altro amore, la danzatrice Cumani che dal giugno del '36 - subito dopo la rottura con Sibilla, era entrata nella sua vita.
Dalla stazione dove gli avevo indicato il monumentino allo scapigliato Ghislanzoni, l'avevo accompagnato all'Albergo Croce di Malta : " Mi porti sul luogo del delitto…", ripeteva, e si lisciava i baffetti : " Qui, con me la Sibilla - parola mia - non ha rimpianto nessuno dei suoi amanti…". Ed entrò subito in particolari che risparmio, raccontandomi un po' tutta quella storia segreta, che ora ho ritrovato in questo carteggio, dove manca però la voce di Sibilla. Le lettere di lei rimangono ancora sepolte nell' archivio dell' Istituto Gramsci e che rivelano le avversità del loro rapporto.
Scrive tuttavia Sibilla, in una pagina del Diario del 7 Dicembre 1947 : " Mi trovavo a Lecco, e ivi attendevo la visita che, due o tre sere per settimana, mi faceva l'uomo che allora amavo, che chiamavo Virgilio, e dal quale - due mesi di poi , a fine Ottobre - fui lasciata brutalmente dopo solo otto mesi d'amore straziato .."
 
 
 
                 Giancalo Vigorelli  ( Introduzione a ) A Sibilla
 
 

QUASIMODO A SIBILLA ( Introduzione ) 2



(…) Nel Diario , Sibilla torna altre volte a parlare, piuttosto ad
       alludere, di Virgilio - Quasimodo. Ma resta misterioso il passo
       del 23 Ottobre 1945:
     "Dieci anni fa - di questi giorni - mi ammalavo, dopo le atroci
       rivelazioni fattemi da Virgilio, lassù a Milano…", ma quali
       rivelazioni non è dato conoscere né immaginare. Soltanto il
       pittore Mucchi, grande amico di Sibilla e che era presente alla
       scena, sa quali furono queste atroci rivelazioni,a meno che per
      Sibilla l'atrocità sia stat l'essere venuta a conoscenza del vivere
      a tre di Quasimodo. Infatti va ricordato che Quasimodo, nelle
      povere stanze di Viale Mugello 6, a Milano, viveva tanto con la
      moglie Bice Donetti ( " la donna emiliana da me amata, quella
      che non si dolse mai dell'uomo…" ), quanto con Amelia
      Spezialetti, già sposata, incontrata ad Imperia, dove sempre
      come geometra del Genio Civile era stato trasferito da Reggio
      Calabria sul finire del '31 . La Bice, venuta a conoscenza del
      nuovo rapporto con Amelia, aveva tentato di opporsi e di
      troncarlo, chiedendo e ottenendo il trasferimento del marito da
      Imperia a Cagliari. Il povero geometra- poeta dovette
      imbarcarsi per la Sardegna, senza più contatti con gli amici
      genovesi e milanesi: per fortuna quell'esilio durò pochi mesi,
      dopodiché riuscì a farsi assegnare un posto a Milano, da dove
      però venne presto rimosso e retrocesso a Sondrio.
      Sibilla, dopo quelle oscure rivelazioni - rotto ogni indugio -
      lasciò Milano; pochi giorni dopo - a Roma - affetta da pielite,
      entrò alla Clinica Quisana e venne operata e curata a spese
      della regina Elena.  (…)



              Giancarlo Vigorelli  ( Introduzione a )  A Sibilla

QUASIMODO A SIBILLA ( Introduzione ) 3



(…) Dal letto d'ospedale, riandava a quel legame - che già da una
       delle poesie scritte a Sondrio risultava tanto doloroso:

      Feroce mi sei,
      d'attimo in attimo,
      mi umili, mi offendi, mi indigni,
      ogni gesto e parola tua
      il segno reca - atroce - dell'ambiguità;
      remoto mi sei
      s'anche m'ottieni e in me svieni...

       e nel Diario , 23 Luglio 1941 la confessione di quell'amore,
       tra i tanti una volta di più andato a male, è impietosa:
      " L'uomo per cui ultimo avevo pianto e ultimo avevo tentato
      - stoltamente - di sottrarre ad una sorte torbida, e l'amore era
        stato fra noi per un anno una sorta di vana battaglia, non
       sarebbe più mai ritornato da me. Certa n'ero: ma da quel letto
      di clinica,ancora gli scrivevo,le ultime notti della mia giacenza,
      l'infermiera di ronda - apparendo - mi rimproverava piano - e
      qualcosa in me le dava ragione. Riposare dovevo. Dimenticare,
      anche questa volta. Dimenticare, ossia non continuare a
      convergere su quell'uomo la mia speranza e ragion di vita,
      umiliate superstiti. Non più attendere, né piangere. Vecchio mio
      cuore, ancor non pago di sconfitte ! Quell'uomo non aveva
      bisogno di me. Il suo viso, la sua voce, certi toni di sarcasmo si
      confondevano con quelli di altri che anch'essi, dopo una o più
      stagioni amorose, avevano cessato di aver di me bisogno, in
      altri tempi. Ero stata cercata e desiderata: o sensualmente, o
      col cervello,o per vanità o per curiosità; fors'anche - in qualche
      momento - mi s'era voluto un po' di bene, ma necessaria -
      com'io avevo creduto, no, non ero stata. Da quanti anni?
      Vanità anche la mia, quell'eterno inseguimento chimerico. Si
      fondevano, nella penombra della lampada notturna, i volti, i
      gesti, gli addii feroci. Vane lacrime! Riposare dovevo, giacchè
      la guarigione del corpo, senza intervento della mia volontà,
      era avvenuta; poi andare verso terre e marine - da sola - terre
      e marine chiare… (…)



               Giancarlo Vigorelli  ( Introduzione a )  A Sibilla
     

QUASIMODO A SIBILLA 1

 
 

" Quando un amore finisce, uno dei due soffre. Se non soffre nessuno non è mai iniziato; se soffrono entrambi non è mai finito " (Marilyn Monroe )


Milano   6 Febbraio 1935

(…) Amore,
       ora sono io ad attendere una tua parola. Ebbi il telegramma e
      la lettera, appena a Milano;e ogni giorno ho sperato che la tua
      voce mi venisse a cercare. Questo presagio di primavera mi
      aveva messo in cuore una voglia di canto; ma è tornata la
      nebbia e vedo il cielo di Lombardia nemico e lontano. Che
      farò senza amore, senza nessuno che mi voglia bene?. Ti
      rivedo, su  in alto: la tua mano pallida vuole salutarmi ancora.
      Il calore è anche luce nella tua stanza, la notte. Ti sento vicina
      al mio corpo stanco: ho desiderio d'amare.Anche tu sei stanca,
        ma non sei cenere - amore mio - nel mio cuore. Ritornerò - tu
     dici - e se potrò vivere un po' della tua vita, saprai- cara - di
     quanto cuore io abbia bisogno per sopportare la terra.
     Tu dici: " Sì alla terra". Vorrei poter credere alla " volontà".
     Inganno triste, disumano della poesia.
     Vedrò Solmi in questi giorni, ma tu - Sibilla - non lasciare il tuo
     cuore deserto di me.
     Ti bacio lungamente

                                                    tuo

                                              Salvatore (…)


                      Salvatore Quasimodo   da   A Sibilla


QUASIMODO A SIBILLA 2


Sondrio   5 Marzo 1935

(…) Amore adorato.
       la tua lettera l'ho avuta al mio ritorno. Hai saputo confortarmi,
       hai voluto confortarmi. Io invece con te sono sempre amaro.
       Ma qui, sulla soglia dei vinti e a capo chino attenderò la
       primavera. A Milano non trovai alcuna lettere: nessuno si
       ricorda di me. Tu sola mi vieni a cercare.
       Forse oggi nel pomeriggio andrò in montagna: mi avvicinerò
       al Bernina, ma quel bianco dei ghiacciai aumenterà la mia
       tristezza. L'aria è come consolata,l'erba suo prati buca la neve.
     " Amore, perché mi hai lasciato solo? ".Le mie braccia cercano
       il tuo corpo bianco, la notte e il tempo è " vita perduta ".
       Quanto di te io perdo così lontano ?.Voglio riudire la tua voce 
       presto, il suono della tua bocca che dice il mio nome.
       Tu leggi parole d'amore: ancora ti cercano sulla terra.Tu ridi,
           ma so che ti guardi vivere ogni giorno. E la tua bellezza ha
       bisogno di amore per restare intatta.
       Fosse mio, completamente mio, il tuo cuore!
       Ti bacio infinite volte sul cuore

                                                     Tuo

                                                 Virgilio  (…)


                              Salvatore Quasimodo    da    A Sibilla



QUASIMODO A SIBILLA 3


Sondrio  26 Aprile 1935

(…) Amore,
       non soffro leggendo Amo , ma sono come umiliato. Come tardi
       entro nella tua vita! Tu hai la voce dolce ancora per l'amato,
       sei capace - forse - di più sovrani abbandoni. Ricordo il tuo
       pianto nella notte di Lecco: che cosa volevi donarmi di più in
       quell'ora? So. Certo aspettavi il miracolo - tu Sibilla - della
       trasfigurazione. Hai pregato e tremato per la tua carne. La 
       Dea era con noi. Udivo in te correre il suo giovane sangue.
       Batteva fertile per ogni minuta costellazione di cellule.
       Tu eri - come sempre - adolescente e mitica.
       Io sono l'ultimo che prende gioia dal tuo grembo. Non vorrei 
       essere stato il primo, poi che tanto male ti venne da esso. Ma
       come posso sognare di essere l' ultimo che vide Sibilla nuda
       giacersi per amore?
       T' attendo qui quando vorrai. Alla stazione chiederai dell'
       Albergo Stazione. Io, dalla mia stanza, che è il numero 33 del
       terzo piano, scenderò verso le 22,30 in cerca di te. E' meglio
       che si appaia estranei.Tu verso quell'ora ( non saprò il numero
       della tua stanza ) aspettami vicino la porta socchiusa del tuo
       alloggio. Il sabato e la domenica ci vedremo a Milano in quell'
       albergo di Porta Genova. Ma poi ne riparleremo con maggior
       calma.  Domani andrò a Milano e lunedì aspetto tue notizie
       qui.
       Scriverò a Pavolini, ma non ora.
       Mi dirai - poi - della tua lettera non spedita.
       Addio. Amami. Ti desidero.

                                                  
                                                Tuo

                                           Virgilio  (…)


                             Salvatore Quasimodo  da     A Sibilla

QUASIMODO A SIBILLA 4



Sondrio   25 Novembre 1935

(…) Sibilla!
     " Ecce Sibilla !" Letteratura, sempre letteratura. Io sono stato
       distante da ogni cosa, e anche dalle tue lettere colme
       inconsapevolmente di piccole vigliaccherie. Sono stato distante
       dal tuo dramma  immaginato perché questo mese che muore è
       stato uno dei più duri, dei più atroci. E lontano anche dagli
       amici ho vissuto ore di patimento e di prostrazione: ho capito
       che si può con dignità rinunziare anche al pane. Ora, queste
       cose non le scriverei a nessuno perché non sento bisogno
       alcuno di confessarmi. Ogni uomo basta a se stesso . Non ho
       neppure " sognato" di chiedere aiuto a qualcuno. Tu ti sei
       sentita invece abbandonata e tradita: forse l'hai desiderato.
      Avviene questo ai piccoli borghesi che- al sicuro d'ogni danno -
     attendono lettere di convenevoli durante il corso di una malattia
     da chi non possiede nemmeno il danaro per affrancare una
     istanza per essere al più presto giustiziato.
     Non credere c'io non abbia preso o non prenda parte alla tua
     sofferenza fisica, ma c'è modo e modo di " raccontarsi" : credo
     di averlo scritto una volta. Tu mi hai scritto una frase che già
     verbalmente mi aveva impressionato per la sua crudezza ( forse
     sarebbe meglio crudeltà ) e per la volgarità. Ora, certe parole
     sono permesse soltanto durante l'agitazione sessuale, ma a
     distanza di tempo e di luoghi acquistano un valore negativo
     altissimo…
     Quando tu partirai per Capri o per la Sicilia, pensa che io resto
     quassù nella mia cupa lotta contro la fame. Non per " volontà"
     ma per " sentimento" della mia morale ( oh quanto diversa da
     quella di chi butta dietro le spalle ogni peso e ogni sacrificio! ).
     Tu potrai lavorare in serenità senza pensarti né tradita né
     odiata: gli anni camminano e la saggezza è l'ultima meta
     dignitosa e nobile.
     Tu mi hai scritto che soltanto ora avevi capito con chiarezza
    " alcune cose". Quali cose? Non chiedo. Penso solo che per
      amore di te ho vinto persino certe misteriose riluttanze della
     carne.Livigno non fu che una tappa verso l'abbandono completo
     Che avresti voluto ancora più da me? O soave ingenuità degli
     anni alti, simile a quella degli anni della pubertà !
     Tu credi veramente di amarmi? Forse è vero: ma non mi vuoi
      bene. Capisci che cosa è mancato per l'armonia? Non per nulla
      ti ho detto una sera del tuo Ego sum .
      No. L' Aretusa che avrei rivisto con dolce pianto resterà nella
      memoria. Dovrò rinunziare anche al mio riposo per gli oscuri
      giorni che verranno.
      Qual Dio ha mutato un'alfa dal corso d'una vita?
      Ti abbraccio e ti auguro la guarigione più assoluta.

                                             Tuo

                                           Virgilio   (…)



                    Salvatore  Quasimodo   da    A Sibilla


   

QUASIMODO A SIBILLA 5


Udine    13 Marzo 1936

(…)Gentilissima Signora Sibilla,
    non tento neanche di giustificarmi perché sono perfettamente
   convinto che il mio modo di agire è assolutamente imperdonabile
  Se la mia coriacea epidermide fosse capace di diventare scarlatta,
  la mia faccia dovrebbe essere - alla vista della data della Sua
  ultima lettera - per lo meno rosso fuoco dalla vergogna. Non ho
  nemmeno il coraggio - questa volta - di chiedere alla Sua grande
  bontà di voler passare sopra questa mia enorme sconvenienza.
  Dal giorno in cui ho rivisto Virgilio a Milano, quando sono stato
  appositamente a trovarlo dopo essere stato a Roma da Lei, non ne
  so più niente. Anzi, veramente so che sta bene perché così ha
  scritto Ettore ai miei.
Virgilio quest'anno non ha scritto neanche ai vecchi la tradizionale
 cartolina di auguri per Natale e Capodanno.
 Forse lei potrà darmi delle notizie più dettagliate di quelle in mio
 possesso!
 E mi farà cosa gradita se vorrà darmele unitamente a quelle
 riguardanti la Sua salute, ch'io spero siano ora ottime.
 Cordiali saluti

                                                dev.mo
                                          V. Quasimodo   (…)


                          Salvatore Quasimodo  da    A Sibilla