giovedì 21 febbraio 2019
QUASIMODO A SIBILLA ( Introduzione ) 3
(…) Dal letto d'ospedale, riandava a quel legame - che già da una
delle poesie scritte a Sondrio risultava tanto doloroso:
Feroce mi sei,
d'attimo in attimo,
mi umili, mi offendi, mi indigni,
ogni gesto e parola tua
il segno reca - atroce - dell'ambiguità;
remoto mi sei
s'anche m'ottieni e in me svieni...
e nel Diario , 23 Luglio 1941 la confessione di quell'amore,
tra i tanti una volta di più andato a male, è impietosa:
" L'uomo per cui ultimo avevo pianto e ultimo avevo tentato
- stoltamente - di sottrarre ad una sorte torbida, e l'amore era
stato fra noi per un anno una sorta di vana battaglia, non
sarebbe più mai ritornato da me. Certa n'ero: ma da quel letto
di clinica,ancora gli scrivevo,le ultime notti della mia giacenza,
l'infermiera di ronda - apparendo - mi rimproverava piano - e
qualcosa in me le dava ragione. Riposare dovevo. Dimenticare,
anche questa volta. Dimenticare, ossia non continuare a
convergere su quell'uomo la mia speranza e ragion di vita,
umiliate superstiti. Non più attendere, né piangere. Vecchio mio
cuore, ancor non pago di sconfitte ! Quell'uomo non aveva
bisogno di me. Il suo viso, la sua voce, certi toni di sarcasmo si
confondevano con quelli di altri che anch'essi, dopo una o più
stagioni amorose, avevano cessato di aver di me bisogno, in
altri tempi. Ero stata cercata e desiderata: o sensualmente, o
col cervello,o per vanità o per curiosità; fors'anche - in qualche
momento - mi s'era voluto un po' di bene, ma necessaria -
com'io avevo creduto, no, non ero stata. Da quanti anni?
Vanità anche la mia, quell'eterno inseguimento chimerico. Si
fondevano, nella penombra della lampada notturna, i volti, i
gesti, gli addii feroci. Vane lacrime! Riposare dovevo, giacchè
la guarigione del corpo, senza intervento della mia volontà,
era avvenuta; poi andare verso terre e marine - da sola - terre
e marine chiare… (…)
Giancarlo Vigorelli ( Introduzione a ) A Sibilla
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