mercoledì 31 maggio 2023

IL PANEGIRICO DELLA LIBERTA'



                                    Io non so se tra le pallide rocce il tuo sorriso...




L' originalità di Amelia Rosselli non si basa sui temi di cui nella sua poesia si parla. Non è difficile verificare che  i temi che caratterizzano la sua opera poetica sono tradizionalmente lirici, per quanto strano possa sembrare l'uso di questo aggettivo. Il punto è che questa sensazione di stranezza a parlare propriamente di lirica, deriva dal fatto che la strategia usata dalla poeta per affrontare dei temi tradizionalmente lirici ha ben poco a che fare con la lirica, così come essa ci arriva dalla tradizione. Se pure i temi sono quelli, troppo violento e straniato è il flusso verbale che li esprime, finendo per apparire in sé più pregnante dei temi stessi; finendo quasi per costruire la sensazione di una sorta di iperrealismo emotivo, comunque, crudo, scabroso, devastante nell'effetto.





Io non so se tra il sorriso della verde estate

e la tua verde differenza vi sia una differenza

io non so se rimo per incanto o per travagliata

pena. Io non so se rimo per incanto o per ragione

e non so se tu lo sai ch'io rimo interamente

per te. Troppo sole ha imbevuto il mare nella

sua prigionia tranquilla, dove il fiorame del

mare non vuole mettere mano ai bastimenti affondati.

L' alba si muove a grigiori lontana. Io non so

se tra le pallide rocce io incontravo lo sguardo,

io non so se tra le monotone grida incontravo

il tuo sguardo, io non so se tra la montagna

e il mare esiste pure  un fiume. Io non so se

tra la costa e il deserto rinviene un fiume accostato,

io non so se tra la bruma tu t' accosti. Io non so

se tu cadi o tu tremi, tu non sai se io piango 

o dispero. Disperare, disperare, disperare, è

tutto un fabbricare. Tu non sai se io piango

o dispero, tu non sai se io rido o dispero. Io

non so se tra le pallide rocce il tuo sorriso.




                   Amelia  Rosselli   da     La libellula, panegirico della libertà- 1958



venerdì 26 maggio 2023

RIPRENDETEVI L' ANIMA ( dall'ultima lezione di Jung )


      
Carl Gustav Jung


 

(...)  Oggi posso dire : sono rimasto fedele a me stesso; ho fatto quel che potevo secondo scienza e coscienza. Se sia stato giusto o meno, questo non lo so . Soffrire è stato - in un modo o nell' altro - inevitabile. Ma io voglio soffrire per cose che mi appartengono davvero. Chiunque viva la sua vocazione e la realizzi secondo il meglio che sa e può, non ha motivo di avere rimorsi . (...)




          Carl Gustav Jung  dall ' anteprima del libro di Aniela Jaffé  " In dialogo con Carl Gustav Jung "




sabato 20 maggio 2023

IL NOTTURNO FORMALE DI STEFANO

 

                                                      Le tue cicatrici si illuminano solo al buio...






tenere il conto delle cose che ho smesso.

perdere

ricordi e oggetti per disattenzione come

notti trascorse ad ascoltarti

bere

in stazione in cui non sei.


resti nel muro e non in bocca - a chiudermi

le labbra

____________________ oggetti di vita quotidiana.



                                            ***


ora le mie compulsioni

_______ti bagnano le dita.

scambiarci autoillusioni come in dono

angoli - andare ad aspettare

tra i canali

________________________cattive notizie.


io ti gattonavo accanto  e basta -

le tue cicatrici si illuminano solo al buio.



                                                   ***


tra i graffi sulle portiere

celebreremo in cattività come animali

_____________________________ le bottiglie

in equilibrio a chiederci per quanto ancora

durare - come avanzi

le microferite sulle tue pupille.



                                           ***


ci spezzeranno dentro altri ponteggi

a rimboccarti le coperte quando

_________________________ non avrò più

calma - sigarette accese a stento

per il vento

tremano le dita.


crolla

il ritmo del respiro negli oggetti.



                                            ***


oltre il muro

il rumore il pianto dei bambini

______________________come mantra

stampanti usurate nei dettagli dopo mesi

le ultime parole che ti ho detto.


questa notte

le fibrillazioni sono insegne luminose


morsi dati al braccio per sentirti.




              Stefano Bottero   da    Notturno formale



giovedì 18 maggio 2023

LA MANUTENZIONE DELLE MASCHERE DI ARBEN

 


                                           A poco a poco cominciammo a morire anche noi...



"Il memento mori di Dedja, caustico e ossessivo, che ritma la scansione dei testi nelle tre parti della raccolta: negli " Autoritratti" sul filo della memoria della prima sezione, nel divertissement scanzonato delle prose poetiche della terza, ma soprattutto nel " museo delle cere" della seconda, si manifesta come interesse per un'umanità riportata continuamente al grado zero dell'evoluzione, alla sua mortalità animale; è la voce del medico, dello scienziato che riconosce tutti gli esseri uguali nella contingenza, li riassume nella costante della deperibilità, della sconfitta biologica, che sola li accomuna in un'umanità democraticamente condivisa. Da qui scaturisce una poetica dal " basso" umore rabelaisiano perseguita con gli strumenti di un' ironia a tratti malinconica ( " sorridono come Charlot alle madames "), a tratti macabra e scoppiettante ( " su e giù con il morto di turno" ). 

 ( Dalla prefazione di Mia Lecomte )





EVVIVA!


Facendosi largo tra gli escrementi

entrò nella tenda dove partorivano

le deportate gravide

aiutate da una vecchia con voce stridula

e sangue fino ai gomiti.


Dal confine occidentale e da quello orientale

della tendopoli si intravedevano ombre di eserciti

nemici però così bravi a barattarsi

tra loro le maschere antigas appena il vento mutava

direzione per mandar giù la puzza

delle carogne umane non seppellite

sprofondate nelle loro feci.


Ma lui il suo sguardo rivolse

verso le fiere montagna e

con aria insalubre si riempì il petto.



                                             ***


SALMONE


Rete d'acciaio

dove sussultavamo

mentre si placavano

le nostre sette anime

ribelli

era la fibra

del cuore del marinaio

nostro implacabile Dio.


Adesso al mercato

al calduccio tra frammenti

di ghiaccio del Nord

semplicemente sorridiamo

come Charlot

alle madames.



                                          ***


IL RACCONTO DEL MEMBRO DEL POLITBURO


Agli inizi pranzavano e cenavano spesso

insieme

per i compleanni dei bambini delle mogli

poi cominciammo a incontrarci raramente

poi ancora di meno

( in pratica ogni cinque anni per la Festa della Liberazione )

poi soltanto per porgere le condoglianze

per la morte dei nostri genitori

a poco a poco cominciammo a morire anche noi

malattie incidenti

invecchiavamo intanto e le morti aumentavano

ancora malattie incidenti qualche suicidio

e fu così che aprimmo una parcella a parte al cimitero

poi allestimmo un servizio speciale di becchini

poi mettemmo delle guardie armate

per difenderli dai branchi di lupi

poi decidemmo di mollare picconi e pale

poi ordinammo ai becchini di tenere con sé un materasso

poi non inchiodavamo neanche più il coperchio della bara

alla fine usavamo una sola bara

su e giù con il morto di turno.



                                                 ***


IL DISCORSO DEL LEADER


Si mangiava cocomero nelle ultime file.


L' atmosfera era quella dei

momenti storici:

la sala in penombra

pronta ad essere illuminata 

dalla marea di applausi.


In prima fila 

si notava una stanchezza

di chiappe penzoloni 

tra i veterani.


Quando nel mezzo

di una lunga frase fece una pausa

e respirò profondamente si sentì

il tictac

dei tagliaunghie ( invenzione cinese ).



                                              ***


LA SEPOLTURA DEL MAESTRO


E noi che volevamo rendere

maestosa al Maestro la sua ultima

cerimonia ecco che iniziò

un acquazzone che

decimò i nostri ranghi da discepoli

mentre saltavamo tombe sbieche

rinculando verso le macchine sbattendo

le brache sporche di fango

appiccicoso di morti servili

raschiando le suole alle lapidi

per pulire le caccole delle pecore

liberate a pascere quell'erba

nutriente di chiappe marcite

mentre un hodja improvvisato

era a caccia di cerimonie mistiche.

Non si seppe mai come fecero

i becchini a calare la bara

così forte erano le corde della pioggia

ma dicono che la pioggia d'estate

sia come il correre dell'asino e perciò

dimenticammo già tutto infilati

nei nostri contemporanei pigiami.




                        Arben Dedja   da     La manutenzione delle maschere




mercoledì 17 maggio 2023

L'INCHIOSTRO DI GIORGIA



                                                                                Aspetto....





Persisterà l'idea

d'aver concesso

possibilità di salvazione.

O ancor meglio

grida d'aiuto,

varchi per ogni cunicolo.

Ma le orecchie forse

si spaventano,

mal percepiscono

l'angoscia.

Se mi chiami

e atrocemente invochi

il mio nome,

io sono cemento.



                                                 ***


Mi dilato

mi diffondo

sulle cose che sospiro

inspiro

mordo l'aria

mi contamino col tempo

così da non guardarlo.

Le lucciole si nascondono

sotto le siepi.



                                                 ***


Aspetto

lo sgranchirsi dell'aria

il lento flettersi

delle giunture

l'afflato tremulo 

degli spifferi.

Attendo il non gesto

il non atto

il non detto

che possa fluire sghembo

dalla mia nuca

fin sulla schiena.



                                         ***


Di verecondo furore

di cupa angoscia

mi rivesto

e ribalto le mie viscere

sul   soffio  di  ciò  che

sommerge.

Persisto

nell'udire il rumore del fuoco

per trarne

metafore mute.



                                           ***


Ho cercato

del midollo, il midollo.

Ho scostato l'impaccio

vagliato il tremito

ancora prima che spuntasse

sulla tua bocca.

Sorse e si spense

piegato dal gelo

dal ferreo tuo spirito.

Mi piaceva l'impaccio

e il taglio della tua fronte,

le ginocchia

le falangi rovinate.

Togli dal mio capo

le mani intrise

d'olio nero.




              Giorgia  Leuratti   da  Inchiostro



venerdì 12 maggio 2023

LA DISCIPLINA DELLA NEBBIA

 


                                                                   Abbi cura di me , dico.....




Sognano i bambini, ma non raccontano

agli adulti i loro sogni, solo ad altri bambini:

è necessaria una simile statura per abitare

mondi invisibili. Di notte certe creature hanno fame

e noi non sappiamo prevedere la prossima carestia.


Se aperti, i nostri libri non cantano più.



                                              ***


Bisogna essere prossimi alla terra

avere già nel corpo l'ambizione della fossa.

Sentire nella carne l'appassire delle ore.

E  come si fa urgente fare il bene

praticare la salvezza.


Avere già negli occhi un po' di quello che vedremo

quando gli occhi chiuderemo a questa luce.


Bisogna poi saperlo un po' di cielo

averlo imparato dall'allodola e dal gufo.

Seguire come cambia la stagione

intuirne nei colori le promesse.


E poi bisogna andare

quando è ora essere pronti.

Allora sarà chiaro finalmente

che avevamo fatto tante prove

che in fondo vivere è coltivare

il seme eterno dell'attesa.



                                             ***


Tutti siano benedetti

i baci che sorprendono gli occhi.



                                              ***


Vegliare si deve su ogni stelo

che sorregge un petalo solo

ora che cadere non ha età

e i nomi restano nomi, sulle labbra.


Necessario si fa, vegliare

per intuire il mormorìo del gelsomino

che fiorisce di nascosto nel buio

ma non cela all'occhio sveglio la sua bellezza.


Venuto è il tempo della veglia

per chi ha visto il mare gonfiarsi

e la pioggia scendere irruenta

i fiumi esplodere, il fango scorrere.

Abbiamo guardato gli occhi

dei padri oscurarsi giorno dopo giorno.

Li abbiamo visti diventare estranei al mondo

dirsi battuti.



                                                       ***


Abbi cura di me, dico,

tutto affidando.

Poi con la fronte tocco terra,

chiedo perdono al vicino di casa

perché quando lo guardo 

negli occhi non vedo

l'eterna sua giovinezza, non vedo

la fronte rugosa che chiama speranza

non vedo la sua adolescenza.


Vedo soltanto la forma del mento

l'imprecisione del colletto

della camicia, mal piegata

la giacca sgualcita.

Vedo il passo insicuro,stanco

adeguato al peso dei suoi settant'anni.

Vedo solo quello che misero

riesco a vedere.


La pelle che muore.




            Massimiliano Bardotti   da    La disciplina della nebbia



SALVATORE TOMA ( Memorando )

 


                                                      Io sono morto per la vostra presenza...







VENTO LEGGERO


Vento leggero che parli

con voci di foglie

che apri i germogli

e li fai trepidare

nella primavera.

Vento che asciughi

i panni, bianchi

come visi di bambini,

e a volte con dolcezza

il sudore della fronte,

fa' che la mia morte

sia liscia, serena

come il tuo respiro.


                            

                                                        ***


LIBERTA'


Vorrei ficcarmi le dita

allo stomaco

spaccarmi le costole

spezzarle    con   grandissimo

dolore

aprirle

so che non verrebbero fuori

viscere fegato cuore

verrebbero fuori

neve alberi fuoco

vento pioggia

perché io sono fatto così

vegetale e libero.

Io non sono cervello

ossessioni inibizioni

società paure

io sono vita

vita libera libertà foreste

gioia di esistere.



                                                  ***


DIO


Non ti credo

ma c'è chi giura che esisti,

forse non ti so cercare

o rassegnarmi a cadere

e tu giochi a nasconderti

non ti fai trovare,

sembriamo

due strani innamorati

ma io ti sento

qui alle mie spalle,

a volte mi sento toccare.



                                                     ***


AMORE


Non si può soffocare a lungo

un amore.

Lo si può ritardare questo si

per vari comodi

o per estreme deludenti

sensazioni

ma alla fine trionfa.

Lo si può nascondere

con violenza per anni

o con indifferenza

lo si può pietosamente subire

e soffrire in silenzio

ma alla fine trionfa.

E' un plagio istintuale

rapace che ci assale

serenamente ci opprime.

Così accadde a noi

tanti anni fa.

Dopo il fulmine

cercammo storditi

umanamente il sereno

il refrigerio del distacco

sperammo  a   lungo   con

passione

nella morte dell'altro

adducendo l'imprevedibile

trincerandoci   ostili   a

combatterlo

armati di nuove prove

e insormontabili difficoltà.

Ma l'ultimo appuntamento

sarà inesorabile

più delle nostre paure.

Come tanti anni fa

riaccadrà.



                                            ***


TESTAMENTO


Quando sarò morto

che non vi venga in mente

di mettere manifesti:

è morto serenamente

o dopo lunga sofferenza

o peggio ancora in grazia di

dio.

Io sono morto

per la vostra presenza.




              Salvatore  Toma   da    Canzoniere della morte




giovedì 4 maggio 2023

GLI SPOSTAMENTI DEL DESIDERIO DI RAFFAELA



                                                               Respira. La notte è fatta d'aria




( PER D. )


E' il cuore che detta 

la prima visione.

Quando mi hanno scritto

che eri morto

d'istinto ho cercato il motivo

di  quella finzione.

Ha il difetto di vedere

ciò che è suo

solo come vivo.



                                                ***


ANAMORFICO I


Il corpo che si tende

la nebbia che trattiene

la nebbia che nasconde

il corpo che le appartiene

hanno nel sogno

la stessa natura


così sul fondo della memoria

la cosa morta o la cosa viva

sono appena un mutare

di prospettiva


e nel passare

dal sonno alla veglia

la vita è uno sfaglio inatteso

quasi animale

l'istinto a tornare

o un pulsare indistinto

nel buio

nel folto

della boscaglia.



                                         ***


ANAMORFICO II


Nessuna cosa immaginata

torna indietro.

Appena concepita

entra nel tempo, si dilata

per il piacere ambiguo di esser

vista


infine destinata alla caduta

di nuovo si riduce

si fa muta

eppure mai si sveste

di un'anima sottile

di stupore.



                                                 ***


NON CREDE SIA ACCADUTO


Non crede

non solo chi non vede


non crede

chi beve allo zampillo

ricorda

il fresco sul palato

e ignora, non si cura

del ristagno


non crede

chi scambia ciò che vede

per riflesso

effetto secondario

provocato


non crede

chi ha fede solamente

in ciò che è familiare


non crede

chi crede

che l'ombra si redima

col suo aiuto

e non sospetta il buio

che finge e si sottrae


non crede

chi in fondo

non può farlo


se è vero

che forse non crediamo

in ciò che non sappiamo

poi affrontare.



                                                 ***


DISTOGLI LA VISTA


Distogli la vista

dal punto che fa male

al centro immaginario

- sia fuoco sia avamposto.

Non meno

affonderà i rizomi

reclamerà frattali all'infinito.

Ma cerca tutt'intorno

raccogli gusta guarda.

Diventa tu il terreno

che lo accoglie e che lo spoglia

( dall'interno ) di spore, di pretesti.


Respira.

La notte è fatta d'aria.




                     Raffaela  Fazio   da   Gli spostamenti del desiderio



lunedì 1 maggio 2023

IL LAVORO DI LUIGI DI RUSCIO



                                                    Gustave  Courbet - Gli spaccapietre , 1849



Luigi di Ruscio fu un poeta che scrisse di miseria, di lavoro, di vita vissuta in fabbrica e di morti sul lavoro. I suoi testi sono un esempio di umanità vera e attualità, un lascito crudo ma veritiero, reale e schietto. Di certo non scrisse né selezionò per le sue raccolte poesie belle a leggersi o che si attenevano ad uno standard di solennità nello stile e nel linguaggio, ma piuttosto che ci riportano alla violenta ( a volte ) concretezza del lavoro. La sua è - quindi - una poesia " di testimonianza" fatta di versi che si ispirano a fatti accaduti in un momento storico per l' Italia e per  il mondo.





E' morto lavorando

ottant'anni   l'ha   passati   sulla

fatica

sulla fossa che ha la croce di latta

un  numero   e  un   mucchio   di

terra

andava  a   tutte   le

manifestazioni di partito

diceva che non avrebbe voluto

il prete

ma la paralisi

non lo fece parlare.



                                            ***


Per colazione hanno acqua e

pane

bevono molta acqua

la  saliva  che  hanno  devono

sputarla sulle mani

perché il martello non scivoli

 a   mezzogiorno   mettono   nel

brodo d'erbe

il solito pane nero

al coprirsi del sole se io sono 

pieno di malinconia

per loro è bello tornarsene a 

casa ridendo

sedersi   in  famiglia  giocare  con

i figli

dopo   dieci  ore  di  lavoro  sulle

pietre

per quel poco pane e perché la

moglie

continui  a  fare  per  ultimo  il

piatto

perché   a  nessuno  manchi  la  

parte.



                                                 ***


La pensione da impiegato

comunale

è  di  ottanta  mila  al  mese

quarant'anni di fatica

per  pane  e  formaggio

grattugiato

per  imparare  a  stendere  la

mano e morire solo

oppure   finire  al  ricovero  dei

vecchi

ubbidire  a bacchetta  la  madre

superiora

alzarsi  presto  imparare   a

pulirsi l'anima

per  avere  un  pasto

abbondante

e morire in un posto fatto per i

vecchi

perché   crepino  senza  dare

fastidio.



                                                   ***


E' morto con la testa spaccata

sul selciato

sporco di olio benzina sangue

e senza dignità buttando pezzi

di cervello

tutta la nostra fragilità davanti

ai mostri

in quello spavento del cozzo in

quell'ultimo istante

con gli occhi scoppiati vedere

la vita che esplode.



                                          ***


Il colpo di martello che spezza

il mattone

e   il  verso  allucinato  che

smaglia

 guardare   la  cosa  mentre  ci

accieca

 l' improvviso   bagliore   della

fiamma ossidrica

o quello che cadde nella vasca

della calce viva

 scavata la fossa scaricate le

pietre cotte

poi con l'acqua tutto ribolliva e

fumava

il ribollire delle pietre cotte fu

l' ultima cosa che vide.




                 Luigi  Di  Ruscio   da   Poesie scelte  1953 - 2010



FESTA DEL PRIMO MAGGIO & slittamenti veri e presunti



 

                             Che il mondo sia diventato più giusto?


                                           Mah....



                                           frida