giovedì 18 maggio 2023

LA MANUTENZIONE DELLE MASCHERE DI ARBEN

 


                                           A poco a poco cominciammo a morire anche noi...



"Il memento mori di Dedja, caustico e ossessivo, che ritma la scansione dei testi nelle tre parti della raccolta: negli " Autoritratti" sul filo della memoria della prima sezione, nel divertissement scanzonato delle prose poetiche della terza, ma soprattutto nel " museo delle cere" della seconda, si manifesta come interesse per un'umanità riportata continuamente al grado zero dell'evoluzione, alla sua mortalità animale; è la voce del medico, dello scienziato che riconosce tutti gli esseri uguali nella contingenza, li riassume nella costante della deperibilità, della sconfitta biologica, che sola li accomuna in un'umanità democraticamente condivisa. Da qui scaturisce una poetica dal " basso" umore rabelaisiano perseguita con gli strumenti di un' ironia a tratti malinconica ( " sorridono come Charlot alle madames "), a tratti macabra e scoppiettante ( " su e giù con il morto di turno" ). 

 ( Dalla prefazione di Mia Lecomte )





EVVIVA!


Facendosi largo tra gli escrementi

entrò nella tenda dove partorivano

le deportate gravide

aiutate da una vecchia con voce stridula

e sangue fino ai gomiti.


Dal confine occidentale e da quello orientale

della tendopoli si intravedevano ombre di eserciti

nemici però così bravi a barattarsi

tra loro le maschere antigas appena il vento mutava

direzione per mandar giù la puzza

delle carogne umane non seppellite

sprofondate nelle loro feci.


Ma lui il suo sguardo rivolse

verso le fiere montagna e

con aria insalubre si riempì il petto.



                                             ***


SALMONE


Rete d'acciaio

dove sussultavamo

mentre si placavano

le nostre sette anime

ribelli

era la fibra

del cuore del marinaio

nostro implacabile Dio.


Adesso al mercato

al calduccio tra frammenti

di ghiaccio del Nord

semplicemente sorridiamo

come Charlot

alle madames.



                                          ***


IL RACCONTO DEL MEMBRO DEL POLITBURO


Agli inizi pranzavano e cenavano spesso

insieme

per i compleanni dei bambini delle mogli

poi cominciammo a incontrarci raramente

poi ancora di meno

( in pratica ogni cinque anni per la Festa della Liberazione )

poi soltanto per porgere le condoglianze

per la morte dei nostri genitori

a poco a poco cominciammo a morire anche noi

malattie incidenti

invecchiavamo intanto e le morti aumentavano

ancora malattie incidenti qualche suicidio

e fu così che aprimmo una parcella a parte al cimitero

poi allestimmo un servizio speciale di becchini

poi mettemmo delle guardie armate

per difenderli dai branchi di lupi

poi decidemmo di mollare picconi e pale

poi ordinammo ai becchini di tenere con sé un materasso

poi non inchiodavamo neanche più il coperchio della bara

alla fine usavamo una sola bara

su e giù con il morto di turno.



                                                 ***


IL DISCORSO DEL LEADER


Si mangiava cocomero nelle ultime file.


L' atmosfera era quella dei

momenti storici:

la sala in penombra

pronta ad essere illuminata 

dalla marea di applausi.


In prima fila 

si notava una stanchezza

di chiappe penzoloni 

tra i veterani.


Quando nel mezzo

di una lunga frase fece una pausa

e respirò profondamente si sentì

il tictac

dei tagliaunghie ( invenzione cinese ).



                                              ***


LA SEPOLTURA DEL MAESTRO


E noi che volevamo rendere

maestosa al Maestro la sua ultima

cerimonia ecco che iniziò

un acquazzone che

decimò i nostri ranghi da discepoli

mentre saltavamo tombe sbieche

rinculando verso le macchine sbattendo

le brache sporche di fango

appiccicoso di morti servili

raschiando le suole alle lapidi

per pulire le caccole delle pecore

liberate a pascere quell'erba

nutriente di chiappe marcite

mentre un hodja improvvisato

era a caccia di cerimonie mistiche.

Non si seppe mai come fecero

i becchini a calare la bara

così forte erano le corde della pioggia

ma dicono che la pioggia d'estate

sia come il correre dell'asino e perciò

dimenticammo già tutto infilati

nei nostri contemporanei pigiami.




                        Arben Dedja   da     La manutenzione delle maschere




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