venerdì 29 settembre 2017

IL FIORE DELLA ROVINA

 
 


                                                        ...a confondere lo spreco di un amore sbagliato...




Infine
me ne andai via anche da quel sogno
che pure era stato mio e, chiudendo
la porta, l'anima s'impigliò nello stipite.
Ti stupisti per il mio non dolore, mentre
un sangue nero colava a colmare l'impazienza.
Un gambo, privo di petali e ormai prosciugato
per il disprezzo di ciò che avevi tolto,
ripiegò su se stesso.
Acqua marcia esalò dal vaso dell'indifferenza
a confondere lo spreco di un amore sbagliato.
Ne sorridesti, seminando altrove la tua rovina.



                     frida

               


SOLTANTO VIVE ( Introduzione )



 59 storie, 59 voci, 59 esperienze di donne che la violenza e l'abuso
 hanno segnato indelebilmente, diventano qui " parole salvate" per
 tutelare e rendere testimonianza di un silenzio che deve essere
 interrotto. Cronaca ( purtroppo quotidiana ) e ascolto sono i
 solchi narranti di queste piccole prose che chiedono al linguaggio
 poetico la sua autenticità e all'esperienza la sua evidenza.
 Un coro di donne capaci di dichiarare - a loro modo - l'abuso
 subito, per tentare una vita possibile di riscatto e di salvezza.


                     frida

SOLTANTO VIVE 1


(...) Lo so che sono una tra le tante: le
      murate, le sconfitte dal silenzio, le
      tolte male dai giorni, le
      lasciate sole.
      Lo so che sono come loro: le
      accusate, le impaurite, quelle
      con le porte chiuse, quelle
      lasciate lì a tremare.
      Lo so che sono come sono le
      soltanto vive. (...)




(...)  Basta togliermi gli specchi, le cose che
       ributtano i riflessi, le luci. Le vedo lo stesso
       le pelli rosse, slabbrate, sbendate, i buchi
       dell'acido che cantano da me preghiere
       come dalle cripte, suppliche ingioiate
       come dai sepolcri.  (...)




(...) Ho voluto studiare la parola, il suono che
      fanno nella mente. Ho voluto sapere di
      Antigone e le altre. Ho voluto solo sapere!
      E da qui faccio vermi e acqua insieme; da qui,
      sepolta come viva, tra la vagina e un muro. (...)
 





(...) Come questo giardino nascosto tra le case,
       resto ad aspettare il cigolare del chiudersi
       dei cardini e poi il sognare. Innaffio i fiori,
       parlo con la terra e dalla schiena scura
       sento l'umido girarsi sopra un fianco e
       sussurrare alle radici gesti muti, terminati.
       Solo tu cammini sulle aiuole, le calpesti,
       solo tu, visto dalle ombre. Strappi i germogli
       e nessuno che ti dica qualcosa, nessuno che
       blocchi questo scempio. Aspetto l'inverno
       come un sollievo. Il bacio di Proserpina
       è un perdono, dato come supplica e non
       come ringraziamento.  (...)


       Stefano Raimondi    da    Soltanto vive

  

SOLTANTO VIVE 2



(...) Ma quale amore, quale dolcezza mi resta attaccata a questi
       denti spaccati? Volevo sorridere senza sapere di te, che mi
       cercavi ancora come le foglie, quando si sfondano a vicenda
       sui tombini, per cadere. (...)



(...) Non ho trucchi, né colori per morire : ho solo paure.
      Non ho stoffe che mi sappiano coprire dal tuo sguardo che mi
      sbenda e che mi dice sì... e sul bianco ho del rosso che mi
      scende dalle gambe e non ha benedizioni.



(...) Sì! Sono una reliquia, un osso bianco messo sotto vetro, un
      brandello di tunica strappata, una goccia di sangue
      rinsecchita, una tibia slogata dalle preghiere, dalla forza delle
      tue invocazioni: piena di grazia morta.
      Tu sia benedetto da qui, ma altrove che si sappia il tuo nome
      e dove vivi.  (...)




(...)  Ti ho creduto come fa la messe a fine estate. Ti ho creduto che
       potevano bastarci, ti ho creduto come fece Sarah nella tenda
       dietro gli angeli - sì - ho creduto anche agli angeli.
       Ti ho creduto fino in fondo alle viscere, ti ho creduto - sì - ti
       ho creduto come la grotta crede al buio, al suo spiffero, al
       suo freddo che sale dalle pareti come le ombre salgono sopra
       i marciapiedi. Ma cosa faccio ora qui, lasciata stare come
       fossi io l'urlo della caduta, come fossi un cencio buttato tra il
       tavolo rotondo e la cucine nuova? Ti ho creduto, amore mio
       infernale: avevi occhi splendidi sulla lama e un sorriso
       bellissimo sulle labbra. Ti ho creduto - sì - ti ho creduto e non
       ho ancora detto nulla di me - incredula - che nel taglio aveva
       messo una gola che cantava .  (...)


             Stefano  Raimondi   da    Soltanto vive
   
     

Rain

 
 


                                                                Pioggia, pioggia, pioggia nelle mie lacrime...

DE LA CAUSA, PRINCIPIO ET UNO ( Della violenza sulle donne )



(...) Torno a scongiurarvi tutti in generale...che dismettiate questa
      rabbia contumace e quell'odio tanto criminale contro il
      nobilissimo sesso femenile;  e non ne turbate quanto ha di bello
      il mondo, e il cielo con suoi tanti occhi scorge. Ritornate,
      ritornate a voi, e richiamate l'ingegno, per cui veggiate che
      questo vostro livore non è altro che mania espressa e frenetico
      furore. Chi è più insensato e stupido che quello che non vede la
      luce? Qual pazzia può essere più abietta, che per raggion di
      sesso, essere nemico all'istessa natura...
      Mirate chi sono i maschi, chi sono le femmine. Qua scorgete
      per suggetto il corpo, ch'è vostro amico, maschio; là l'anima
      che è vostra nemica, femmina. Qua il maschio caos, là la
      femmina disposizione; qua il sonno, là la vigilia; qua il letargo,
      là la memoria; qua l'odio, là l'amicizia; qua il timore, là la
      sicurtà; qua il rigore, là la gentilezza; qua lo scandalo, là la
      pace; qua il furore, là la quiete; qua l'errore, là la verità; qua
      il difetto, là la perfezione; qua l'inferno, là la felicità. (...)


         Giordano Bruno   da  De la causa, principio et uno ( 1584 )

giovedì 28 settembre 2017

Firenze sogna

 
 


                                                                        ...in fondo c'è tanta poesia...

IL MIO PENSIERO NON VI LASCIA ( INTRODUZIONE )



Ci sono prosatori che nelle lettere raggiungono una sorta di perfezione assoluta, riuscendo - nel breve volgere di una frase - a toccare vertici di bellezza e di intensità. Che Cristina Campo sia uno di essi lo hanno dimostrato le Lettere a Mita  e Caro Bul, oltre  a questo epistolario che raccoglie le lettere scritte agli amici del periodo fiorentino.
Nel 1956, Cristina è costretta ad abbandonare Firenze per Roma ( a causa del lavoro del padre musicista ) e gli anni romani saranno costantemente pervasi dal ricordo struggente di quel giardino incantato che era la cerchia degli " amici d'infanzia" : Piero Draghi, Mario Luzi, Anna Bonetti, Giorgio Orelli. A tutti loro scrive dal suo " esilio" parole di nostalgico affetto. Ma il più rimpianto è senza dubbio Gianfranco Draghi, quel Gian che guarda i suoi stessi fari ( Hofmannsthal e Simone Weil ), lo scrittore e poeta di cui ammira la personalità e l'opera, l'amico che "conosce - sempre e sottilmente - il disegno del tempo e trova la parola magica per incidervi".
A lui, una Cristina ancora dolente per una pena d'amore, chiede di
assicurarle che " la felicità esiste"; con lui parla di Roma, che va scoprendo con meraviglia, delle sue letture ( Montaigne, Lawrence,
Auden e Pasternak), dei suoi momenti bui e dell'importanza della loro amicizia nella sua vita.
Per ogni corrispondente, la Campo trova un'intonazione diversa, ma sempre la sua voce suona alle nostre orecchie con una giustezza e una limpidezza incomparabili.


            frida

CRISTINA CAMPO ( LETTERE A GIANFRANCO DRAGHI )



Roma, prima del Natale 1956

Caro Gianfranco,
buon Natale! Ho voglia di scriverle a lungo, di raccontarle di un sogno nel quale ci siamo incontrati; ma queste sere di festa sono così difficili...forse per l'anno nuovo ritroverò un po' di silenzio.
Devo incontrare Silone in questi giorni: gli parlerò subito di lei e poi le scriverò una cartolina, così lei potrà mandargli direttamente il suo saggio.
Voglio bene a tutti e quattro e vorrei rivedervi

                          Vittoria



Roma, Autunno 1957

Caro Gianfranco,
sono a letto con la febbre e molto male agli occhi, ma non posso aspettare a dirle che la sua lettera da Bruges è una delle pochissime che vorrei portare sempre con me, dovunque io vada,
come un pegno, una lezione di bontà, un monito contro il mio orribile scetticismo e un dono puro e squisito della vita.
Perdoni le grosse lettere - dovrei scrivere piccolo perché certi ringraziamenti si fanno a bassa voce; ma con la febbre si parla forte - anche se lucidissimi nel cervello e nel cuore.
Un abbraccio ai quattro esseri, di cui spesso dico:
" Ma esistono davvero?"
A molto presto, spero.

                       Cristina


 Cristina Campo    da  Il mio pensiero non vi lascia ( Lettere a Gianfranco Draghi e ad altri amici del periodo fiorentino )

CRISTINA CAMPO ( LETTERE A MARIO LUZI )



Roma, 30 Dicembre 1958

Carissimo,
l'anno si è consumato così velocemente, eppure bruciava lento, ora altro, ora trepido - ecco, ne resta appena un guizzo, appena il tempo di augurarti tutto ciò che vorrei per te, di chiederti lo stesso augurio.
Ricordo un tuo bigliettino, due anni fa: di come mi accompagnò nell'anno, lo aiutò a fiorire. Vorrei di nuovo questo talismano, la silenziosa protezione del tuo pensiero: lo vorrei oggi come sempre, oggi più che mai.

                 V.



Roma, 12 gennaio 1965

Grazie, Mario.
Ogni giorno che passa morde più a fondo. E questo tempo di orrore appare eterno.
Ma averla avuta è una grazia terribile, di cui dovrò rendere conto e che certo non ha prezzo di lacrime.
Tu hai conosciuto e detto queste cose per entrambi.
Ti abbraccio

                      Vittoria


Cristina Campo  da  Il mio pensiero non vi lascia ( Lettere a Gianfranco

CRISTINA CAMPO ( LETTERA AD ANNA BONETTI )



Roma, 12 Dicembre 1957

Cara Anna,
dal primo giorno del mio ritorno ho sempre avuto la febbre. Oggi però mi sono alzata lo stesso perché erano arrivate le casse da Firenze e non volevo che nessuno toccasse la tua Vigna . Ora l'ho appesa di fronte all' Angolo di giardino, che a sua volta è tra i due piccoli Chinn. Così penso che qualche volta un sogno si realizza - anche se le barche diventano giardini e le cave di smeraldo stendardi con draghi rossi. Vorrei spiegarti quanto siano stati importanti per me questi minuti passati nel tuo studio. Come sentissi il colore schiarirmi dentro le parole, toccare quel che aspettava di essere toccato. Davanti a certi tuoi fondi mi sentivo ad un tratto un imbianchino della parola...ma era la prima volta che un pittore della mia età mi dava così a fondo la sensazione di voler
dire quel che io stessa volevo dire. Ma se potrò finire il nuovo libro
come lo immagino - dolce e terribile, vacillante e sicuro - credo che ad ogni pagina ci sarà l'eco dei tuoi colori, e anche forse di quelli che stai ancora cercando - perché, vedi, così capitò a me quel pomeriggio, allo studio.

        Cris


Ad  Anna

IL TONO DELL' AUTUNNO

Il tono dell'autunno non è rame
secondo me, secondo te,
né rosso.
Anna, il nostro autunno è rosa
sul nero, globuli rosa, viali
di quarzo intenso sul nero- pioggia
dei lecci.
Anna, il tuo autunno è nel parco,
nella valletta che chiamano
Valle dei Cani Lupi.
Tutti i nostri re della mano
sinistra vi nuotano, in un tripudio
di silenzio,
nell'alta marea di foglie
rosa e di nebbia bruna -
ed è l'ora che il sole si incontra
con la luna e s'arresta un attimo, lo ricordi,
come in Van Gogh a volte
quando i tronchi trapassano in sogno
dal blu- anatra al rosa-
fenicottero...
Poi sotto i faggi passano giovani di corsa
nelle tute ginniche azzurro- sabbia
trasognati cadenzati rompono
l'ondata di foglie fresche
di cani vellutati, il parco
l'ora -
( quest'ora che ci resta
da dipingere da scrivere tu ed io
tutta, fino all'ultimo
baccello di ontano, picchiettato
di rosso
fino all'ultima bacca di azzurronero
ginepro -
prima che il nostro tempo sia cancellato dall'universo
come un errore dell'eternità ) -
in un silenzio di cervi.


               Con tutto l'affetto


Cristina Campo   da  Il mio pensiero non vi lascia ( Lettere a Gianfranco Draghi e ad altri amici del periodo fiorentino )





CRISTINA CAMPO ( LETTERA A GIORGIO ORELLI )


Roma, Giugno 1958

 Mio caro,
avrei un bisogno estremo di silenzio, di un'aria che parli e nutra in
silenzio, della vicinanza dell'acqua. Di feste silenziose, umane, vicino all'acqua.
Questa gente impazzita come insetti, questo mondo che muore come un pesce buttato in secca; e la mia vita che non decifro, che non so se m'importa neppure decifrare, tanto sono snervata,
esasperata - al limite del respiro e del pensiero. E così passerà questo mezzogiorno stupendo, la nostra età perfetta , capisci Giorgio?Noi così giovani e saggi, disperati e attenti. Il mondo ci consuma in questa inutile resistenza. Sogno a volte un Decamerone sui prati ancora puri di Veio. Tutti i miei amici lontani - così incantevoli - poche donne ( ma belle ) - e lunghe storie e le tue canzoni, e una vita fresca vicina all'acqua. Quest'idea dell'acqua mi perseguita, come nella leggenda dove qualcuno diceva: " Quando vedrai terra e cielo oscurarsi, tuffa le mani nell'acqua".
Tu che farai, questa estate? Mi piacerebbe vederti, ma dove non saprei. Pensaci tu, ti prego.
Io non ho ancora deciso niente per Lerici; non arrabbiarti, non ho cervello per pensarci, e mi annoia. Ma sono contenta che l'abbia fatto tu - questo volevo, lo sai.
Iersera venne Luzi per poche ore. Lo portai ai Cavalieri di Malta,
quel luogo da Vida es sueno , illuminato dal plenilunio. Era incantato - ma anche lui ha imparato a salutare ogni luogo bello,
ogni minuto di silenzio e di vita come se fosse l'ultimo.
Perdona questa lettera, caro Giorgio. Salva tu quello che puoi, nei
tuoi versi. Ti abbraccia la

                Cristina


Cristina Campo    da   Il mio pensiero non vi lascia ( Lettere a Gianfranco Draghi e ad altri amici del periodo fiorentino )


 
 



                               

martedì 26 settembre 2017

IL SOLE AUTUNNALE E' UNA LUCE BREVE

 
 


                                                            il sole autunnale è una luce breve...( frida ) 



Il sole autunnale è una luce breve
interrotta da acidi piovaschi e dall'accumulo di nuvole -
la natura sbiadisce sulla pelle come la luce distesa sul tavolo.

E' la lunga estinzione dell'estate
ma il rimpianto del mare mi resta appiccicato
addosso come una vecchia abitudine.


           Daniela Attanasio   da     Il ritorno all'isola


                              


                                                         il rimpianto del mare...( frida )



" AUTUNNO" E' IL NOME SUO




                                 
                                                ...e sola mi lascia con i monti... ( frida )



" Autunno" è il nome suo.
Ha il colore del sangue:
arteria sopra il colle,
vena lungo la via,

globuli nei viali,
variegato diluvio
quando i venti sconvolgono la vasca
versando pioggia scarlatta.

Spruzza cuffie lontane,
forma pozze rossastre,
poi fugge via come una rosa, e sola
mi lascia con i monti.


      Emily  Dickinson    da       Tutte le poesie

AUTUNNO

 
 

                                                         ...sei rossa come il sole dei tramonti... ( frida )



( LA VITE DEL CANADA)

Nel giardino di sempreverdi, tu sola porti
le accese, crollanti insegne dell'autunno
al cielo: sei rossa come il sole dei tramonti
ed è veloce il tuo sfacelo.

Risali i cipressi, ti aggrappi alle spalliere
d'edera, abbracci il giovane ulivo:
loro non cambiano, non cadono, sei
tu condannata: resterà vivo

il giardino senza di te: i tuoi acini
scuri, secchi, impolverati
non giungeranno mai alla gioia del vino.
Così accadrà anche di noi.

Rimarrà tutto come prima
quando noi sanguinando ce ne andremo
e anche sognare - allora lo sapremo
che non vale , che è vano - vite del

Canada.


                 Giuseppe  Conte     da      Le stagioni




L'OSCURO DI OGNI SOSTANZA

 
 

                 
                                                                                    ...l'oscuro sfiorire di ogni cosa...



Ad attenderlo un poco sulla riva
scorrerà imbalsamato
il mondo nostro di cose dissolte
e ricucite a pezzi.

Ma è breve ora il respiro,
il sole declina.
E' solo polvere bianca
questo greto disseccato
nel mezzo

e alla fine del cammino.
Mi dici che dagli alberi
dobbiamo imparare e dai fiori
e da ogni forma vivente
che si protende verso la luce.





Una doppia cornice di parole,
un intralcio di materia,
una ferita, una lama
che volteggia e colpisce.
Essere per sempre così
tra un declino e una crescita,
essere nuvole, fiori, l'oscuro
sfiorire di ogni cosa.


       Francesco  Macciò     da     L' oscuro di ogni sostanza


" Lo stilus - incidere la propria esperienza nelle parole - è la forza
  interna della poesia di Macciò, che in questo ultimo libro
  perviene ad uno dei suoi risultati più alti. Le parole si
  intrecciano tra di loro, consentendosi libertà analogiche e
  strutturali. Il poeta le sceglie, le dispone, le combina. Organizza
  un contrappunto, un controtempo. Attraverso questo contrappunto
  la poesia è quella pausa, come direbbe Holderlin " fra pathos e
  precisione". Una pausa dove, se la materia verbale è visionaria,
  esige un'eccezionale chiarezza compositiva; dove, se la materia
  verbale è razionale, esige una particolare densità della sintassi.
  La costruzione è quella di una lingua esatta e classica, che
  domina la sua intima malinconia. "

       Marco Ercolani

ONDINA



                                                         ...e mi slanciai verso di lui....


Recise le eriche, spalò grigia melma
per darmi servitù di passaggio nei miei canali,
e mi slanciai verso di lui, mi pulii della ruggine.

Lui si fermò, vedendomi finalmente svestita,
correre libera, serena , spensierata.
Poi venne verso di me. Mi increspai ribollendo

dove i canali si intersecavano accanto al fiume
finchè mi affondò una vanga dentro il fianco
e mi prese. Inghiottii il suo canale

con gratitudine, disperdendomi per amore
giù nelle sue radici, arrampicandomi nel suo
grano d'ottone,
ma una volta che conobbe il mio benvenuto, io sola

potevo dargli crescita, e riflesso.
Mi esplorò così completamente, ogni membro
perse la sua libertà fredda. Umana, calda per lui.


     Seamus Heaney   da     Una porta sul buio


venerdì 8 settembre 2017

Amici del pittore dietro le quinte ( Degas )





              " A taluni, seppure personalmente incapaci 
                di sciogliere le proprie catene,
                è nondimeno dato affrancare gli amici ".




                            "Così parlò Zarathustra " di  Friedrich Nietzsche 



IL LIBRO CONTRO LA MORTE 2


1952

(...) La mia ingiustizia di fondo verso gli uomini deriva dal mio
      atteggiamento nei confronti della morte. Non posso amare
      nessuno che accetti la morte o la metta in conto. Amo-
      comunque egli sia - colui che aborre la morte, che non la
      accetta e che non la utilizzerebbe mai in nessuna circostanza
      come mezzo per conseguire i propri fini.
      Perciò non posso ammettere che qualcuno oggi lavori come
      fisico nucleare o intraprenda di sua volontà una carriera nell'
      esercito; ma nemmeno un religioso che ricorra a una vita
      futura come consolazione per la morte degli altri, mentre lui di
      per sé non pensa affatto di morire presto; né posso ammettere
      che qualcuno giudichi la morte di un parente o di un amico
      come giunta al " momento giusto ", quasi fosse una sorta di
      coronamento di quella particolare vita; o chi alla morte di
      un nemico provi soddisfazione invece che vergogna; o chi
      ancora abbia fatto conto su un'eredità; - a chi potrei
      ancora riservare la mia approvazione, chi non rientra- almeno
      qualche volta  o in rapporto a qualcuno - in una di queste
      categorie? . Perciò io, che dico sì alla vita senza riserve né
      limitazioni, devo condannare ogni uomo in base a una morale
      che di fatto è assolutamente inapplicabile finchè esiste la morte
      Sono a tal punto consapevole di questa contraddizione di
      fondo del mio essere che, a ogni piè sospinto, mi esorto a
      moderarmi e a soppesare con attenzione tutte le circostanze,
      dopo aver pronunciato ancora una volta la più dura delle
      sentenze all'indirizzo di un essere umano.(...)




1953

(...) E' mai possibile che la sua morte mi abbia curato dalla
      gelosia? Sono diventato più tollerante nei riguardi delle
      persone che amo. Veglio meno su di loro, concedo loro libertà.
      Penso così: fate questo, fate quello, fate quel che vi dà gioia,
      basta che viviate; fate, se così dev'essere, tutto il possibile
      contro di me: offendetemi, ingannatemi, mettetemi da parte,
      odiatemi,- non mi aspetto niente, non voglio niente, a parte
      un'unica cosa : che viviate .  (...)



1954

(...)  Ai vivi che conosciamo bene, abbiamo sempre qualcosa da
       rimproverare. Ai morti siamo invece riconoscenti perché non
       ci proibiscono il ricordo.  (...)



1976

(...)  Caro Thomas Bernhard,
       io L'ho criticata duramente e Lei adesso - fuori di sé - mena
       colpi alla cieca. Sa benissimo con quanta serietà io abbia
       sempre considerato il Suo lavoro: già Perturbamento mi
       aveva colpito moltissimo e Glieli avevo detto di persona. Ma
       poi Lei mi sbatte in faccia questa affermazione:" La morte è
       la cosa migliore che abbiamo ". Da uno che era stato in punto
       di morte e l'aveva scampata, mi è parso un ripugnante cinismo.
       Nessuno sa meglio di Lei quanto siamo contaminati dalla
       morte. Che Lei voglia diventarne pure il patrocinatore, mi ha
       riempito di diffidenza nei confronti della Sua opera. Sono
       persuaso che proprio questo Suo modo di pensare la
       indebolisca e volevo dirGlielo apertamente.
       Alle critiche Lei reagisce sempre accecato dall'ira. Ma poiché
       io non sono un imbrattacarte, pensavo che un duro colpo da
       parte mia - da parte di una persona che Lei in realtà considera
       ben diversamente da quanto emerge dalla Sue contumelie -
       potesse condurLa alla ragione. Lei non ha nessuno che Le
       dica la verità, e la verità Le è forse diventata indifferente?
      
      Volevo spedire questa lettera - il che avrebbe contraddetto nel
      modo più assoluto i miei principi - per il caso in cui Bernhard
      si fosse sentito eccessivamente urtato dalla mia critica, se
      davvero gli avessi nuociuto.
      Ma poi ci ho ripensato. La sua reazione, quale ne sia stata la
      causa, è talmente ignobile, talmente al di sotto di quanto di
      peggio gli uomini possano permettersi di dire anche se in
      preda all'ira,, che non devo farlo. La cosa potrebbe
      inorgoglirlo: come se fosse un tentativo da parte mia di
      sottrarmi alle sue contumelie. Ma in tal caso l'avrebbe vinta
      lui e si sentirebbe confortato nella sua bassezza. E questo
      sarebbe il contrario di ciò che volevo ottenere. La lettera
      resterà fra le mie carte, esattamente come l'ho scritta, a
      indicare qual era il mio vero stato d'animo. (...)


            Elias  Canetti    da   Il libro contro la morte
    
 

The city of the dead by Korngold

 
 


                         " Si muore troppo facilmente: dovrebbe essere più difficile morire.... ( Elias Canetti )

giovedì 7 settembre 2017

IL LIBRO CONTRO LA MORTE 1


15 febbraio 1942

(...) Oggi ho deciso di annotare i miei pensieri contro la morte così
      come mi vengono - a caso - senza stabilire alcun nesso fra loro
      e senza asservirli al dominio tirannico di un progetto. Non 
      posso lasciar passare questa guerra senza forgiare nel mio 
      cuore l'arma che sconfiggerà la morte. Diventerà tormentosa e
      subdola, adeguata alla morte. In tempi più lieti la volevo
      brandire fra scherzi e sfacciate minacce; mi figuravo  l'
      uccisione della morte come un ballo in maschera; e in 
      cinquanta travestimenti - una infinita serie di congiurati - 
      volevo farle la posta. Ma la morte adesso ha di nuovo 
      cambiato le sue maschere. Non contenta delle vittorie che
      riporta ogni giorno, allunga a destra e a manca i suoi 
      tentacoli. Setaccia l'aria e il mare: l'infinitamente piccolo come
      l'infinitamente grande le sono familiari e benaccetti, tutto
      affronta in una volta sola, per nulla più si lascia tempo. Così
      neanche a me resta tempo. Devo afferrarla dove posso e
      inchiodarla qua e là, alle prime frasi che mi vengono a tiro.
      Ora, per la morte, non posso più costruire bare, tanto meno
      ornarle di fregi. Pascal è arrivato a 39 anni, io fra poco ne
      compirò 37. Se avessi il suo stesso destino, mi resterebbero
      due miseri anni di tempo. Lui ha lasciato pensieri a difesa del
      cristianesimo, io voglio formulare i miei pensieri a difesa
      dell'uomo dalla morte.  (...)



1943

(...) Vivere almeno quanto basta per conoscere tutti i costumi e le
       vicende degli uomini; recuperare tutta la vita trascorsa,
       perché quella ulteriore è vietata; raccogliere se stessi prima
       di dissolversi; meritare la propria nascita; riflettere sui
       sacrifici che ogni respiro costa agli altri; non glorificare il
       dolore sebbene si viva di esso; tenere per sé soltanto ciò che
       non si può trasmettere, finchè non sia maturo per gli altri e
       non si trasmetta da sé; odiare la morte di chiunque come la
       propria; far pace una buona volta con tutto, ma mai con la
       morte.  (...)



(...) La frase più mostruosa di tutte: qualcuno è morto " al
       momento giusto "  (...)




1951

(...) Persino l'idea della metempsicosi appare più ragionevole di
      una permanenza nell'aldilà. I sostenitori della fede nell'aldilà
      non si rendono conto che si tratta di qualcosa che essi non
      chiamano nemmeno per nome: di un " rimanere insieme" nell'
      aldilà, di una massa che non si decompone mai. Una volta
      riuniti laggiù, vogliono non doversi più separare.
      Come sarebbe un Paradiso in cui i beati non riuscissero a
      vedersi mai, in cui tutti stessero da soli, quasi fossero beati
      eremiti, lontani dagli altri, tanto che nessuna voce potrebbe
      raggiungerli.Un Paradiso in eterna solitudine, senza bisogni o
      fastidi fisici; una prigione senza muri, grate e guardiani, da
      dove non si potrebbe fuggire in nessun luogo poiché non vi
      sarebbe alcun luogo cui approdare. Là ciascuno terrebbe
      discorsi a se stesso, farebbe il predicatore, l'insegnante, il
      consolatore di se stesso, e nessun altro ascolterebbe.
      Un'esistenza beata alla quale molti preferirebbero i tormenti
      dell' Inferno.  (...)


             Elias  Canetti    da   Contro la morte


     

IL LIBRO CONTRO LA MORTE ( Canetti )


       Il libro più importante della sua vita, Canetti lo portò sempre
      dentro di sé, ma non lo compose mai. Per cinquant'anni
      procrastinò il momento di ordinare in un testo articolato  i
      numerosissimi appunti che, nel dialogo costante con i
      contemporanei, con i grandi del passato e con i propri lutti
      familiari, andava prendendo giorno dopo giorno su uno dei
      temi cardine della sua opera: la battaglia contro la morte,
      contro la violenza del potere che afferma se stessa annientando
      gli altri, contro Dio che ha inventato la morte, contro l'uomo
      che uccide e ama la guerra. Una battaglia che era un costante
      tentativo di salvare i morti - almeno per qualche tempo ancora-
      sotto le ali del ricordo: " noi viviamo davvero dei morti. Non
      oso pensare che cosa saremmo senza di loro".
      Sospeso tra il desiderio di veder concluso Il libro contro la
      morte e la certezza che solo i posteri avrebbero potuto
      intraprendere il compito di ordinatore a lui precluso, Canetti
      continuò a scrivere fino all'ultimo senza imprigionare nella
      griglia prepotente di un sistema i suoi pensieri: frasi brevi e
      icastiche, fabulae minimae, satire, invettive e fulminanti
      paradossi.
      Quel compito ordinatore è assolto ora da questo libro,
      ricostruito con sapienza filologica su materiali in  gran parte
      inediti: esso ci restituisce un mosaico prezioso, collocandosi
      fra le maggiori opere di Canetti.


                         frida