giovedì 30 gennaio 2020

IL TEMA DEL MALE NEL NOSTRO TEMPO

 
 
 
 
"Faust è un autentico mito, vale a dire una grande immagine primordiale nella quale ognuno di noi, a suo modo, deve saper cogliere per intuizione la vera sostanza e il suo destino ". ( Jung, 1911 )


(…) Negli ultimi anni  ( testo del 2004 ) si assiste a una progressiva
       metamorfosi nella rappresentazione del demonio. Il
       cambiamento si giustifica proprio in virtù della graduale
       demitizzazione della figura dello stesso che, svestito di una
       personalità ben identificabile, tende a diventare uno specchio
       degli eventi nefasti della società corrente. Nella successione
       delle vicende storiche, l'essere umano ha sempre più preso
       coscienza dell'esistenza del Male e, soprattutto, ha riflettuto
       sulla progressiva perdita di condizione di pienezza esistenziale
       originariamente presente nel suo rapporto con il mondo. In
       tal senso, il diavolo carica sulle sue spalle il fardello di questo
       malessere, e al contempo determina l' impoverimento della
       vita di tutti quei valori in grado di realizzare la condizione di
       felicità dell'individuo. Le forze infernali prendono - allora -
       il timone della parabola storica, conducendo la natura umana
       in direzione del Male e della negatività, verso territori bui e
       desolati, privi di sogni di pace e di giustizia.  (…)



Aldo  Carotenuto  da  La forza del Male ( Senso e valore del mito di Faust )

LA FORZA DEL MALE 1

 
 


(…) Il Male esiste davvero.

      " Il Male sta nel nesso fra la sofferenza e l'intenzione
         consapevole di provocarla " . ( Russell, 1984 )
 
     La fonte del Male diviene, pertanto, attinente alla coscienza
     collettiva dell'universo e si rivela in tutta la sua potenza negli
     eventi storici, superando in confini della coscienza individuale.
     Jung, infatti, asseriva che un tale Male potrebbe chiamarsi
     Diavolo, nel senso che cambiano le metafore nel tempo, ma non
     certo il concetto che le sostiene : la realtà del Male si manifesta
     ovunque, e quello ci cercare di eliminarlo non è che un vano
     tentativo.
     Nel momento in cui si affronta il tema  del Male, e del Diavolo
     di conseguenza, la riflessione si dirige immediatamente alla
     contrapposizione, nonché ad un eventuale  riavvicinamento tra
     la potenza benefica di Dio e la presenza del Male nel mondo.
     In altre parole, sembra esistere una dinamica, che ha poi
     condotto alla formulazione del concetto simbolico del diavolo,in
     base alla quale si sancisce il superamento di uno stato di vita
     precedente che, proprio soppiantando i vecchi ideali, fa di
     questi ultimi l'incarnazione del Male. E' il caso - questo - dell'
     avvento di un nuovo credo religioso che, contrapponendosi a
     quello precedente, interpreta come figure demoniache, proprio
     quelle stesse che un tempo erano, invece, considerate divine.
     Gli dèi pagani divengono, così, le allegorie di quelle forze
     demoniache che il Cristianesimo combatte. L'origine del diavolo
     si ascrive allora a un generale processo di opposizione
     concernente uno stato culturale passato e uno emergente.
     Anche l'emersione della figura di Mefistofele nel percorso di
     vita di Faust , può rappresentare simbolicamente il punto di
     contrasto tra una dimensione personale anteriore e un nuovo
     assetto emergente della dimensione psichica.
     Nel processo di individuazione illustrato da Jung, che è peraltro
     sovrapponibile alla storia faustiana, l'incontro con le parti
     negative, oscure, inconsce della propria personalità, genera una
     situazione critica e ambivalente. Sancisce - infatti - l'ingresso in
     una fase evolutiva nella quale la struttura precedente non ha
     più una valenza funzionale tale da persistere e dove invece
     nuove istanze muovono per essere sviluppate ed espresse.
     L'incontro con Mefistofele simboleggia dunque la nascita di una
     nuova dimensione spirituale che, proprio di quelle parti Ombra
     tenute nascoste, sente  ora di doversi nutrire.  (…)


Aldo  Carotenuto  da  La forza del Male ( Senso e valore del mito di Faust )

LA FORZA DEL MALE 2



(…) La compresenza dell'animo umano di BeneMale trova la sua
       esteriorizzazione el conflitto fra Dio e Diavolo, intesi come
      figure simboliche di elementi assoluti. Occorre poi sottolineare
      un elemento fondamentale, ossia il ruolo che riveste il demonio
      rispetto non soltanto al Bene assoluto, ma anche all'umanità
      tutta. Infatti, una caratteristica demoniaca, derivante da una
      competizione indiretta con Dio, è quella di indurre l'uomo in
      tentazione e di allontanarlo da Dio stesso. Il diavolo come
      istigatore rappresenta - dunque - il filo che, attraverso i piaceri
      mondani che egli è in grado di procurare, lo lega all'umanità.
      Questo legame tra l'uomo e il diavolo è, dunque, molto più
      stretto e frequente di quanto si pensi, dal momento che attiene a
      tutta la sfera non soltanto sensuale,ma anche relativa ai diversi
      piaceri che l'uomo può ricavare dal suo permanere sulla terra.
      D'altro canto, l'insoddisfazione spesso derivante dal vivere
      secondo i dettami della religione, soprattutto cristiana, procura
      nell'animo umano un'inquietudine che spinge alla ricerca di
     " altro". Questo altro può trovare la sua realizzazione nei
      meandri del male, o del piacere, o comunque di tutte quelle
      esperienze che potremmo definire " proibite ".
      Dilungarsi sul fascino che emana dal cosiddetti" tabù " sarebbe
 sicuramente dispendioso,ma va tuttavia sottolineato che se proprio
     le normali strade, le procedure convenzionali di conoscenza
   non soddisfano più l'individuo, lì insorge il desiderio di forzare le
     barriere dei dogmi ed esplorare i territori insondabili.
     Questo accade nell'animo umano, nel momento in cui una
     persona vive il confronto con i propri aspetti Ombra, che altro
     non sono se non le cristallizzazioni individuali di un male
     universale nella struttura stessa del creato. Ma quando l'ago
     della bilancia si sposta proprio verso l' Ombra, ossia verso la
     trasgressione, l'oscurità e il perturbante, allora l'uomo avverte
     l'esigenza di difendersi da quella che appare una minaccia al
     proprio equilibrio. In quei momenti, accade di puntare il dito
     contro il demonio, rinvenendo nel suo intervento l'origine delle
     proprie sventure.
     Se la ragione si rivela incapace non tanto di comprendere,
     quanto piuttosto di controllare ciò che accade in natura,
     soprattutto quando gli eventi mostrano delle tracce
  incomprensibili che, proprio per la loro irrazionalità, spaventano,
  allora diviene necessario etichettare tutto ciò come " intervento
  del maligno". L'inquietudine e il turbamento prendono il
  sopravvento. Ma proprio nel momento in cui prende vita questa
  sorta di sconvolgimento interiore, occorre superare le consuete
  credenze cui la ragione solitamente ama fare appello. Bisogna
 scorgere allora nei fenomeni stessi la compresenza di Bene e Male
  e legittimarla in quanto connaturata alla struttura dell'uomo
  come all'assetto del creato, fatto di opposti integratisi, ma pur
  sempre complementari.  (…)



Aldo  Carotenuto  da   La forza del Male ( Senso e valore del mito
di Faust )

martedì 28 gennaio 2020

DI UNA CURA ULTERIORE

 
 
 

                                                           Supererò le correnti gravitazionali…


" Lo sai bene, solo di ciò che è in tuo potere affrontare ha senso
  prendersi cura. Ma proprio nel momento in cui pensi di esserti
  preso già abbastanza cura - abbastanza - e che potresti
  accontentarti, rimane in fondo solo quel poco di cui mi occuperò
  domani - solo quel poco, che sarà mai quel poco - questa è la
  sicura spia che non ti stai prendendo cura quanto potresti. E non
  c'è domani, c'è solo la pienezza o il vuoto di oggi - a tua scelta -
 la gioia che oggi ti può dare in ogni condizione e in ogni momento,
anche il più faticoso,solo che tu capisca che c'è solo questo giorno,
questo unico giorno, e te ne stai prendendo cura - adesso - mentre
scende la sera.
Non c'è mai abbastanza cura per la Cura ".



                     Severino  Cesari   da         Con molta cura   


LA DONNA NASCOSTA

 
 

                                                                 René Magritte  ( Margutte )


Nonostante i legami in corso,
le sofferenze, i dolori, i traumi, le iniezioni
di fiducia, le perdite, le conquiste, le gioie,
il luogo in cui siamo diretti è la terra della psiche
abitata dagli avi,
il posto dove gli esseri umani rimangono
pericolosi e divini,
dove gli animali danzano ancora,
dove quel che è abbattuto ricresce
e dove i rami
degli alberi più vecchi
fioriscono più a lungo.
La donna nascosta
che custodisce la scintilla d'oro
conosce quel posto.

Lei sa.
E tu anche.



                              Clarissa Pinkola  Estés



QUALCOSA SE NE VA

 
 

                                                    René Magritte  ( The dangerous liasons )


Nel languore amoroso qualcosa se ne va, senza fine;
è come se il desiderio non fosse nient'altro
                                         che questa emorragia.

La fatica amorosa è questo: una fame amorosa
                                 che non viene saziata,
                           un amore che rimane aperto.



                                   Roland  Barthes


lunedì 27 gennaio 2020

27 GENNAIO 2020

 
 
 



           " Tutti coloro che dimenticano il proprio passato
              sono condannati a riviverlo "

                                            Primo  Levi


KAFKA E LA CHIAMATA DEL DAIMON 1

 
 

" La verità è ciò che ad ognuno occorre per vivere, ma non si può ricevere né acquistare da nessuno. Ogni uomo deve produrla continuamente dal proprio intimo, altrimenti perisce. E' impossibile vivere senza verità. Può darsi che la verità sia la vita stessa. " ( Janouch, 1951 )


(…) Kafka fu un uomo solo e tormentato. " Solo come Kafka", dirà
       lo scrittore al giovane Janouch per trovare l'unica, adeguata
       misura del suo stato : la metafora non era fuori, ma dentro,
       mescolata al suo essere. Nessuna condizione umana, neppure
       la più disperata, poteva essere altrettanto tragica. In una
       lettera che Milena scrisse a Max Brod ( 1937 ), dopo la fine
       della loro relazione, ella lo definiva " un puro, un uomo senza
       rifugio proprio a  causa della sua purezza. La vita era per lui
       qualcosa di ben diverso da ciò che essa rappresentava per tutti
       gli altri uomini: era un enigma, un " enigma mistico". Egli
       doveva sollevarla verso il puro, il vero, l'immutabile ".
       Kafka doveva risolvere questo enigma: doveva capire chi era
       lui e chi era l' Altro, quell'altro inquietante che compariva nei
       suoi scritti, vestendo ogni volta panni diversi : l'imputato, il
       giudice, il medico, l'insetto, il potente signore del Castello e la
       fitta schiera di amanti, di donne ora grasse, elefantiache e
       castranti come Gardena o Brunelda, ora invece magre e
       accoglienti come Frieda, immagine della passione.
       Se l' Altro, quale immagine endopsichica rappresentava una
       modalità di esistenza a lui sconosciuta, se incarnava una
       possibilità racchiusa in fondo all'anima, il volto di Kafka non
       poteva che mutare continuamente nella messa in scena dei suoi
       personaggi.   (…)



Aldo  Carotenuto  da  La chiamata del Daimon ( Gli orizzonti della verità e dell'amore in Kafka )

KAFKA E LA CHIAMATA DEL DAIMON 2



(…) Nelle sue opere, l'inconscio ha la voce di un deus absconditus
    che da lontano tuona la sua Legge, che da un luogo inaccessibile
    invita a mettersi in cammino, perché l'uomo possa incontrarlo.
    Nel mito greco la Sfinge divora tutti coloro che non sanno
    risolvere i suoi enigmi.Anche in questa ricerca esiste un pericolo
    mortale, perché la verità non vuole essere svelata, il suo segreto
    non può essere infranto, portando alla luce ciò che deve restare
    sepolto nell'oscurità della propria inconsapevolezza. Nel sogno
    di una donna compare un'immagine inquietante: la sognatrice si
    trova nei pressi della casa dell'uomo che ama.Quando ella varca
    il cancello di quella casa, comprende di non poter più uscire. L'
    atmosfera è solenne, come se ci si trovasse in una cattedrale.
    Adesso la donna sa che in quel luogo è custodito un segreto, un
    terribile segreto che ella deve svelare. Ma tutte coloro che hanno
    tentato l'impresa sono state scoperte e uccise. C'è una botola e
    una scala che porta a un sotterraneo buio e umido. Una donna è
    alle prese con un cadavere. Altri, in decomposizione, sono
   nascosti nelle vicinanze del palazzo.Chi ha visto non può lasciare
    vivo quel luogo. La sognatrice invece riesce a scavalcare il
    cancello e a portare fuori un biglietto su cui è scritta la verità.
    Ma non ha il tempo di leggerlo. Sa che può essere scoperta da
    un attimo all'altro e carca di nascondere quel foglio in un luogo
    alto, inaccessibile e insospettabile. Teme però che il mondo non
    lo trovi mai e che il suo messaggio non raggiunga mai il
    destinatario. Il suo sacrificio allor sarà stato vano. La donna
    sente che qualcosa di oscuro la minaccia: nessuno può rivelare
    la verità senza morire. Il terrore la invade, prendendo il volto
    della follìa. E' un terrore di morte, di possessione simile a quella
    diabolica: il volto segreto del fantasma potrebbe distruggerla,
    impadronendosi di lei, della sua ragione.  (…)


Aldo Carotenuto  da  La chiamata del Daimon ( Gli orizzonti della verità e dell'amore in Kafka )


  

KAFKA E LA CHIAMATA DEL DAIMON 3



(…) La ricerca di Kafka è la ricerca di questo segreto che deve
       essere svelato, dato al mondo. Il terrore della donna del sogno,
       le sue angosce, sono simili a quelle di Kafka. Il mistero che ha
       a  che fare con l' Alterità ,ha a che fare con un passato di cui si
       è persa la memoria. Per sapere chi è e chi siano gli altri che
       incontra sul suo cammino, Kafka deve aprire quella botola,
       scendere nel sotterraneo e guardare quei cadaveri. Deve
       incontrare il demone, sfidare la sua legge di silenzio. E' per
       questo motivo - allora - che Kafka scrive: i suoi libri sono il
       messaggio che lancia al mondo, sperando che riesca a varcare
       il cancello, sperando che qualcuno possa leggerlo. Questi testi
       a volte oscuri, queste metafore dense nelle quali ciascun
       interprete può cogliere una diversa verità, sono la sua
       testimonianza, sono quel biglietto che egli forse non ebbe il
       tempo di leggere, di elaborare sino in fondo, in maniera da
       non restare vittima del suo fantasma. Il Daimon evocato, si
       vendicò spietatamente con lo scrittore,procurandogli insonnia,
       angoscia e gettando in lui il seme della distruzione, di quella
       malattia che chiuse i suoi giorni. La tubercolosi lo colpì alla
       laringe e quell'incapacità di comunicare direttamente con l'
       Altro si cristallizzò nella degenerazione organica prodotta dal
       male : non gli restava che il mezzo scritto. Significativamente
       veniva condannato a servirsi unicamente di ciò che per anni
       aveva privilegiato quale via per aprirsi alla relazione. Le
       ultime comunicazioni dello scrittore furono costituite - infatti -
       da biglietti su cui egli annotava i suoi messaggi. (…)


Aldo Carotenuto  da   La chiamata del Daimon ( Gli orizzonti della verità e dell'amore in Kafka )

 

domenica 26 gennaio 2020

KAFKA E LA CHIAMATA DEL DAIMON 4



(…) La verità che Kafka ricerca è una verità nella quale il suono
       dell'emozione si rende Parola , attraverso cui l' Altro scopre il
       suo volto e nella quale si possano finalmente riaccostare i
       frammenti della propria anima, perché l'identità prende forma.
     " Una voce nel caos " è stata l'opera kafkiana ( Magris, 1974 ).
       L'esistenza dello scrittore si può forse riassumere nel tentativo
       di registrare il caos e l'assurdo, lo spalancarsi di quell' abisso
       di nulla che sembra voler inghiottire l'individuo. Di fronte a
       questo orizzonte, l'unica soluzione possibile sembra essere
       quella della domanda. La passione per l'interrogativo che
       contraddistingue tutti i suoi eroi, e che spinge il cane (Kafka,
       1922 ) a rifiutare il cibo, a osservarlo soltanto per poterlo
       analizzare e capire, contiene la drammatica metafora dell'
       incapacità di accostarsi direttamente alla vita, di lasciare che
       essa fluisca all'interno dell'essere. Il cane sa di essere diverso
       dal resto degli altri cani,perché qualcosa in lui - fin dall'inizio-
       non era in regola. In quel suo digiuno " scientifico" di cui
       nessun altro animale intorno a lui sembra curarsi, si consuma
       il dramma dell'abbandono, il quale si rivela - in realtà -
       auto - abbandono .

     " Era chiaro che nessuno si curava di me, nessuno sotto la
        terra, nessuno sopra, nessuno nell'alto: io perivo per la loro
        indifferenza, la quale diceva : ecco che muore, e così sarebbe
        avvenuto. E non ero forse d'accordo? Non dicevo la stessa
        cosa ? Non ero stato io a volere quell'abbandono?
        Forse la verità non era troppo lontana, né io quindi ero così
        abbandonato come credevo- abbandonato dagli altri - ma
        soltanto da me che  fallivo e morivo."  ( Kafka, 1922 )

     " Nessuno si cura di me", è una frase che sento ripetere molto  
       spesso dai miei pazienti e per la quale - in molti casi - c'è una
       sola, amara risposta : " Nessuno ha cura degli altri". La
       sensazione di essere abbandonati non nasce dalla mancanza
       delle persone intorno a noi,non nasce dall'assenza del sorriso,
       dall'assenza di un volto sul quale è scolpito l'interesse per la
       nostra vita. L'abbandono è dentro e contro di esso non si
       combatte attraverso un'incongrua ricerca di solidarietà.
       Proprio per alleviare questa penosa sensazione, il cane-Kafka
       decide di percorrere un'altra via. All'abbandono fa eco la
       ricerca. Nonostante non riesca mai a rispondere ai suoi
       interrogativi, l'animale - con il suo agire - pare indicare quale
       unica strada la ricerca della libertà, come risposta alla
       sofferenza dell'esclusione e della solitudine. Questa libertà che
     - nel caso di Kafka - sembra poter provenire soltanto dall'arte,
       fà di quest'ultima il tentativo di redenzione di un'esistenza
       altrimenti fallita. Attraverso le migliaia di pagine dei suoi
       diari, delle sue lettere, come dei suoi romanzi e dei suoi
       racconti, lo scrittore boemo dà un volto al caos interiore, lo
       affronta, ricerca una sua unità interiore. E se l'unica realtà
       che pare comunque aprirsi è quella del vuoto, della solitudine
       e dell'impossibilità di amare, dell'esilio come della privazione,
       la sua attività diventa testimonianza e " implacabile esegesi
       dell'esistenza " ( Magris, 1974 ).  (…)



Aldo Carotenuto  da  La chiamata del Daimon ( Gli orizzonti della verità e dell'amore in Kafka )


KAFKA E LA CHIAMATA DEL DAIMON 5



(..)Leggere Kafka significa interrogarsi continuamente su se stessi,
    scoprire con lui vuoti e fratture, e - come lui - desiderare un
    universo che sembra irrimediabilmente precluso. La scelta di un
    autore non è mai casuale: ogni interesse che proviamo verso
   qualcuno o qualche cosa rivela che una parte della nostra anima
   è stata proiettata su essi. Ed è proprio questo carattere proiettivo
   a dare all'esperienza il tono dell' incontro, del ritrovamento .
   Ed è proprio attraverso l'incontro con i vari personaggi delle
   opere di Kafka che ho scoperto delle parti di me stesso che fino a
   quel momento mi erano sconosciute. Dentro molti di noi c'è un
   Franz Kafka, un uomo solo che teme e ha bisogno dell'amore,
   mentre ricerca con tutte le sue forze i suoi orizzonti di verità.
   Kafka è un autore sconcertante, unico, la cui scrittura non cerca
 il coinvolgimento del lettore attraverso l'evocazione dell'emozione 
  e del sentimento. La sua è una prosa pura, limpida, essenziale,
  apparentemente fredda, staccata, che poco concede ai turbamenti
  dell'anima. C'è sempre un sottile argomentare. E' un labirinto
  razionale quello in cui il personaggio vaga, in attesa di incontrare
  i suoi mostri. Il daimon sconosciuto prende allora mille forme per
  sorprendere l'ignaro protagonista.
  La critica ha scandagliato l'opera kaftiana da una molteplicità di
  prospettive, da quella teologica all'approccio psicanalitico o a
  quello esistenziale, senza che nessuno sia mai riuscito ad esaurire
  il testo in una spiegazione unica ed esaustiva. L'opera d'arte ha
  in sé la propria realtà, la propria validità intrinseca, che non si
  lascia afferrare né rinchiudere da un particolare approccio
  teorico. In fondo, ogni interpretazione è valida e legittima perché
 - al di là della chiave di lettura prescelta, o forse proprio per la
  scelta metodologica che la informa - si rivela come il mezzo
  segreto per avvicinare un autore alla propria interiorità.
  Nella lettura che ne facciamo, noi risogniamo - con le nostre
  categorie personali - l' avventura umana e artistica di qualcuno
  che crediamo di poter assimilare e fare nostro attraverso l'
  interpretazione.  (…)



Aldo Carotenuto  da  La chiamata del Daimon ( Gli orizzonti della
verità e dell' amore in Kafka )

KAFKA E LA CHIAMATA DEL DAIMON 6



(…) L'intento con cui mi sono accostato agli scritti di Kafka esula
       da qualsivoglia valutazione estetica.Ciò che mi interessava era
       invece la dimensione psicologica emergente da quelle pagine,il
    portare alla luce quella trama interiore che - magari all'insaputa
    dell'autore -si era celata dietro la vicenda narrativa.Il complesso
    intreccio de Il Processo e de Il Castello mi ha fornito l'occasione
    per riflettere su una serie di tematiche sulle quali Kafka - più o
    meno direttamente - aveva soffermato la sua attenzione. Come
    quella di Dostoevskij, anche la prosa kaftiana è un continuo
    viaggio, un'esplorazione all'interno dell'anima umana. E' il
    mondo sognante e lacerato dell'interiorità, con i suoi desideri, le
    sue paure, le sue incapacità, le sua paralisi.Si può allora leggere
    lo scrittore praghese accompagnandolo con le dimensioni di
    sofferenza e di speranza di molti dei miei pazienti. Così la
    solitudine di Kafka, il suo bisogno d'amore come la sua
    incapacità di abbandonarsi all' Altro, di incontrarlo nello spazio
    della relazione, divengono la solitudine e la paura di noi tutti.
    Io credo che accostare sia il dolore dello scrittore, sia il suo
    disperato tentativo di ricerca della verità a quelli di molti altri
    uomini e donne, sia il più commosso e sincero riconoscimento
    della sua profonda umanità.  (…)



Aldo Carotenuto  da  La chiamata del Daimon ( Gli orizzonti della verità e dell' amore in Kafka )


MESSA A DIMORA

 
 


                                                         Sterrami, nel giorno delle nebbie…


Se
non mi fosse così chiara
la meta del tuo tacito orizzonte,
rimarrei sotterranea alla quiete.
Radicato nel mio ventre
l'apice mai spezzato
di un passato avvenire.

Sterrami, nel giorno delle nebbie,
nel liquido mattino
argenteo a ogni abbraccio.
E sentire com'è semplice
generarsi nell'aratro del sempre,
ubbidiente tessitore delle sorti.




                                       frida


sabato 25 gennaio 2020

AMORE E PSICHE 1

 
 
 
" Ai sogni miei, la tua sovrana imago, quanto mancò ?"  (G. Leopardi, Zibaldone )
 
 
" Nella favola di Amore e Psiche, tramandata da Apuleio e ripresa,
con variazioni che sono interpretazioni, con adattamenti che sono
reinvenzioni, da innumerevoli testi teatrali, composizioni poetiche,
opere musicali e figurative, sostiamo soltanto in quel passaggio
notturno in cui la bellissima fanciulla, dopo aver giaciuto con un
corpo che è fonte di indicibile piacere, vuole scorgere la natura di
questo corpo: " Possibile - pensa Psiche - che questo corpo sia quello di un mostro o di un serpente, come è stato predetto da un oscuro oracolo dato a mio padre, o come le mie sorelle mi inducono a sospettare ?" Così l'incantevole fanciulla, mentre Amore dorme, si solleva dal voluttuoso giaciglio, prende una lucerna e si avvicina ad illuminare un corpo che dall'ombra manda subito un lampo di luce rivelando solo per un istante una bellezza sovrumana. Un istante, solo un istante di contemplazione, e il tremito della mano che tiene la lucerna, lascia cadere alcune gocce d'olio bruciante sul corpo avorio di Amore che - con un balzo,le ali spiegate - vola via dal letto nuziale.  (…)
 
 
 
Antonio  Prete  da  Il cielo nascosto ( Grammatica dell'interiorità)
 

AMORE E PSICHE 2

 
 
(…) Le vicissitudini di Psiche, l'invidia di Afrodite per la bellezza
       della fanciulla, le vessazioni che costei è costretta a subire, le
       peripezie che la portano infine al nuovo e permanente incontro
       con Amore, svolgono la favola nel romanzesco mitologico. E
      offrono all'ermeneutica cristiana materia per variazioni intorno
      alle sofferenze terrestri che preparano il ricongiungimento dell'
      anima con Dio.
      Psiche è figurazione dell'interiorità. Con il suo nome greco
      andrà incontro alla costruzione del sapere analitico: psico -
      analisi. Quali modi assume, in quel sapere, nelle sue varianti,
      nelle sue pratiche, la tensione conoscitiva della fanciulla nei
      confronti del dio nascosto, un dio che è corpo dell'amore,
     presenza e sparizione,godimento e privazione ?Dove il desiderio
     si intreccia con la conoscenza e questa con l'impossibile
     rivelazione dell'altro?
     Una breve considerazione al margine della favola.
  L'incontro d'amore genera un'incontenibile voluttà di conoscenza.
  Conoscere la natura dell'amore, potersi sporgere sulla sua
  essenza, che è nascosta, protetta dalla notte, significa poter
  percepire,anche se solo per un istante,la bellezza, cioè la sorgente
  di un incantamento profondo, e allo stesso tempo avvertire la sua
  sottrazione a ogni ulteriore conoscenza, la sua fuga da ogni
  possibile analisi. L'esperienza d'amore comporta nello stesso
  momento una pulsione conoscitiva e la scoperta del limite di ogni
  conoscenza.
 Quel che si dice dell'amore - svolgendo la favola - si può dire della
 verità.  (…)


   Antonio Prete  da  Il cielo nascosto ( Grammatica dell'interiorità)


QUESTO SORRISO

 
 

                                             Voglio scivolare su questa vita…


Non voglio conoscere le ragioni
che hanno ragione, ché su questa strada
ho perduto il segno.
Voglio - adesso - scivolare su questa vita
e chiudere le mani a culla
se tu volessi ninnarti all'improvviso, oppure
raccogliere acqua fresca dalla fonte
e bere a gola aperta
senza cristalli d'occasione.

Non voglio le riflessioni che mi uccidono
mentre ancora respiro
questa vita: conosco quei sogni
che mi ammorbidiscono la bocca
e pennellano di rosso le mie labbra.

Questo sorriso è figlio della tentazione.



                                     frida






venerdì 24 gennaio 2020

PER UNA GRAMMATICA DELL'INTERIORITA' : LA QUIETE

 
 

                          " Così sei tu - quiete - amica consolatrice …" ( F. Hordelin )


(…) Al turbamento e all'affanno è legata l'immagine dell'amore,
      dalla classicità ai romantici.Eppure la quiete è l'oasi intravista
      nella battaglia d'amore. Non l'allontanamento dell'altro nell'
      opacità di una presenza inerte,ma l'accettazione dell'altro come
      presenza che fa del desiderio un movimento verso il possibile.
    " E' dunque l'amor quiete", scrive il Tasso dopo aver ricordato 
      le tante definizioni sull'amore - pronunciate da Euripide o dai
      personaggi del Simposio, da Lucrezio o da Plotino - per
      allontanarle nel territorio di una ricerca che non ha risposta,
      una ricerca che può sfiorare soltanto la natura del " demone".
      L' amore, come "quiete nel piacevole ": il compiacimento, il
       desiderio e il diletto, i tre tempi della considerazione tomistica
      dell'amore, il Tasso li riconduce alle tre età della vita, ma dice
      anche che è l'ultimo tempo quello più proprio dell'amore, il 
      tempo in cui il diletto consiste nella quiete.
      La quiete non attiene solo alla disciplina d'amore: riguarda 
      tutte le passioni. E' uno stato che, se non può sospendere le
      passioni, la loro spina, la loro tensione, tenta un punto d'
      osservazione su di esse, una distanza tutta interiore dal loro
      assillo.Un esercizio:anch'esso parte rilevante di quella che per 
      gli antichi era la cura di sé.La quiete ha qualcosa che somiglia
      all'epicurea " indipendenza dai desideri " qualcosa che può
      evocare il " riposo del desiderio ", ma che non si identifica con
      la fine di questo sentimento, se è vero che desiderio e bios sono
      congiunti. E' la condizione in cui l'interiorità si fa paesaggio
      aperto all'accettazione dell'esistenza, dei suoi imprevisti, dei
      suoi rovesci,si dispone verso l'attenzione,si lascia ritmare dalla
      misura. Molte delle componenti della quiete hanno a che fare
      con la " vita beata" della tradizione stoica. La quiete è il
    sentimento dell'istante,il senso dell'appartenenza del sé al tempo
    che scorre : un acconsentimento al passaggio, uno sguardo sull'
    orizzonte da parte di chi sa quanto l'impossibile resti chiuso 
    nell'impossibile, e quanto tuttavia sia necessaria la sua ricerca.
    Mentre si sente la forte appartenenza al cerchio della finitudine.
    C'è una profondità della quiete ( Infinito leopardiano ) e c'è 
  anche una quiete che si mostra come promessa di un compimento,
   di una pienezza che l'armonia della natura annuncia. A questa
   quiete leva la sua ode Holderlin : " Così sei tu - quiete - amica
   consolatrice! ".  (…)



 Antonio Prete da  Il cielo nascosto ( Grammatica dell'interiorità )


PER UNA GRAMMATICA DELL'INTERIORITA' : LA LETIZIA

 
 

                                                         " Servite Domino in laetitia "


(…)Una quiete trasportata in un grado termicamente più elevato,in
      una pianura più ventilata, è la letizia.Che respira anch'essa del
      presente: ecco l'oraziano laetus in praesens, colui che sa stare
      nel presente e sa temperare le amarezze con un sorriso. Ma c'è
      qualcosa, nella letizia, almeno nelle risonanze che il suo arco
      semantico ha avuto nei testi medioevali, che va al di là della
      sospensione del tragico propria dello stoico, e riguarda una
      condizione che è festa interiore, uno stato che non ha neppure
      bisogno del sorriso per manifestarsi. Un silenzio delle passioni,
      di cui si avverte - in lontananza - il suono.La letizia è come una
      luce del sentire. E' Dante che unisce in modo supremo la letizia
      con la luce, vede anzi la letizia come il modo d'apparire della
      figura nel Paradiso: certo, siamo nella Cantica dove è la
      beatitudine che con vari gradi e sempre con pienezza motiva la
      letizia. Nella cultura medioevale, accanto alla trasvalutazione
      dantesca - sovrumana e abbagliante della letizia - c'è un'altra
      memorabile rappresentazione : quella che i  Fioretti 
      attribuiscono a Francesco, quando egli invita frate Leone a
      riconoscere " la perfetta letizia" non nella soddisfazione per la
      carità compiuta, ma nell'accettazione di ogni sofferenza e
      umiliazione subita. La letizia paradisiaca di Dante e la letizia
      eroicamente religiosa di Francesco - trionfo di luce da una
      parte e dolorosa approssimazione alla sofferenza di Cristo dall'
      altra - sono figurazioni estreme di un sentire che ha per
  fondamento un sé in grado di sospendere il senso della mancanza.
   Una sospensione che non è rimozione della finitudine, ma sua
   accettazione serena. La letizia non cancella i sentimenti, infatti
   la sua modulazione avrà nella poesia d'amore molti gradi.
   Indicando sempre il momento in cui la spina dell'attesa o della
   privazione e l'assillo del desiderio lasciano il campo al dominio
   di una presenza - di un tempo presente - di una prossimità della
   figura amorosa. Analogamente, nel pensiero religioso, una
   preghiera pura, libera dalla necessità del soccorso e della
   disperazione, è quella che si svolge nella letizia, rispondendo all'
   invito del Salmo : " Servite Domino in laetitia " (99, 2 ).  (…)



Antonio Prete  da  Il cielo nascosto ( grammatica dell'interiorità )

PER UNA GRAMMATICA DELL'INTERIORITA' : LA GIOIA

 
 
 

                                               La gioia è uno spazio luminoso fatto visibile…


(…) La gioia la si definisce come l'aria della letizia, il suo spazio
       luminoso, e per questo espresso, fatto visibile, affidato a segni
       anche esteriori. La gioia è una letizia che cerca i segni per
       manifestarsi,una letizia che chiama i sensi in una congiunzione
       festosa. Oblìo temporaneo della caducità, di ogni terrestre
       complicità con il declino, la gioia chiama a sé - per definirsi
       meglio - aggettivi come " pura o assoluta, incontenibile o
       piena o celeste ":a dire il suo sottrarsi all'ordine delle passioni
       radicate nell'esercizio quotidiano dei rapporti. E tuttavia,
       nonostante la pulsione a manifestarsi, a dare una visibilità al
       suo traboccare, la gioia è l'interiorità contenta in sé, libera -
       per poco - dal tempo che la abita, dal suo assillo, dalla sua
      stessa rappresentazione,riempita da un presente che ha sospeso
      il patto con il transitorio. La gioia è un sentire aperto all'
    elevazione, allo sguardo dell'altro,un piacere sottratto all'ombra
     del declino: riflesso corporeo dell'impossibile. La gioia
     zampilla senza prosciugare la fonte, si manifesta senza
     consegnarsi del tutto ai segni del proprio manifestarsi: il riso o
     l'allegrezza sono solo delle forme profane e secondarie, e
     qualche volta oblique o persino dissimulatrici di quella pienezza
     tutta interiore del sentire che chiamiamo " gioia ". E tuttavia la
     gioia non è chiusura dell' Io al mondo, non è dimenticanza dell'
     altro: anche nella solitudine l suo sentire è appartenenza,
     relazione non solo con gli altri, ma anche con la terra, con il
     visibile, e persino con il ritmo del mondo. In questo senso ogni
     esperienza della gioia è un'esperienza d'amore. Shiller ha dato
     di questo legame una rappresentazione in un certo senso visiva
     ed esplicita, declinata nei modi di un universalismo romantico e
    attribuendo ad essa - che è celeste e che è magica - il senso della
     fraternità e allargando questa appartenenza amicale e amorosa
     al mondo intero. Beethoven, nell'ultimo movimento della Nona
     Sinfonia, accoglie questo abbraccio della gioia dando alla sua
    " celestialità " la lingua che più le appartiene, la lingua che è
    oltre la lingua, e portando alcune parole del poeta nel canto, nel
    gioioso dispiegarsi di una voce che è raggiunta da un'altra voce
    e si dischiude nel coro. Il passaggio dalla lingua alla musica
    comincia con la festa delle vocali, quando esse ritrovano la loro
  originaria relazione con la voce, al di qua e al di là del significato
    e dunque attingono alla purezza del canto: Alleluja della lingua.
    La musica è il respiro della gioia e Beethoven era
    meravigliosamente in grado di mostrarlo.  (…)


Antonio Prete da   Il cielo nascosto ( Grammatica dell'interiorità )


giovedì 23 gennaio 2020

NEL TEMPO E NELL'URTO


                                                   Vivo del tuo amore e preso in una gabbia…


Io accadevo
così velocemente

salivo
a grandi sbuffi nella morte

per troppe conseguenze
senza
causa.


                                                ***

Vivo del tuo amore e preso
in una gabbia
strappato in pieno a questo secolo.
Bruciano gli inverni, le stelle
sotto il cielo alto dell'asfalto
del poco tempo che siamo stati noi.
Qui
si attraversa il liquido, la vena,
                                                la fitta
questo esistere
                      sanguinato ai bordi del referto
il confine abraso
di un destino
che ci precede, gelidamente
ci mostra chi siamo.
Non puoi tacere, tra questi vetri, i chiodi
le lettere
è questo l'ordine, la legge, il tuo
nome,
        l'unisono -
niente.

Anche noi
non siamo stati dove rinasce il tempo,
non siamo andati nella vita,
non siamo
rimasti fra i salvati.


                                                 ***

NEL PATTO

Di questa guerra
estrema ed anonima,
di questa voce
scavata nella roccia
                             ti resterà
nel tempo la ferocia,
il delirio, l'insonnia

e il nodo,
l'unghia il tatuaggio

il silenzio

il vuoto.


                                                      ***

E non sarò che terra,
                                ultima roccia
di un patimento lontano
qui venuto a prendermi vivo:
così
sarò
scarnito nell'elettrodo
piantato dentro il freddo
piegato come il miglio
da cui non c'è ritorno

affinché più mio più
mostrato
sia ciò che si diventa,
che si strappa, si perde in questo vento
con la morte e con il pianto

nel tempo e nell'urto.


                                                    ***

Ciascuno non sa
per sempre
quale notte lo assegna
a quale grido, a quale affondo

lì, in bilico
tra il precipizio e la parola

supplice
e testimone
del buio vivo che lo nomina.


                                                     ***

Della ferita conservi
il lembo che non rimargina,
l'ago
annodato al filo
e il rivolo
gelato nella garza.

Apri gli occhi, adesso
ascolta,
           guarda :
sei un grido
che entra nel pensiero,
lo trapassa
e diventa carne,
                        vento,
                                uccello.

Tu
seguilo, tu
cercalo, di nuovo
stringilo

finché il quaderno sanguini
finché il foglio
voli, si strappi.




                     Alessandro Bellasio   da   Nel tempo e nell'urto