Vivo del tuo amore e preso in una gabbia…
Io accadevo
così velocemente
salivo
a grandi sbuffi nella morte
per troppe conseguenze
senza
causa.
***
Vivo del tuo amore e preso
in una gabbia
strappato in pieno a questo secolo.
Bruciano gli inverni, le stelle
sotto il cielo alto dell'asfalto
del poco tempo che siamo stati noi.
Qui
si attraversa il liquido, la vena,
la fitta
questo esistere
sanguinato ai bordi del referto
il confine abraso
di un destino
che ci precede, gelidamente
ci mostra chi siamo.
Non puoi tacere, tra questi vetri, i chiodi
le lettere
è questo l'ordine, la legge, il tuo
nome,
l'unisono -
niente.
Anche noi
non siamo stati dove rinasce il tempo,
non siamo andati nella vita,
non siamo
rimasti fra i salvati.
***
NEL PATTO
Di questa guerra
estrema ed anonima,
di questa voce
scavata nella roccia
ti resterà
nel tempo la ferocia,
il delirio, l'insonnia
e il nodo,
l'unghia il tatuaggio
il silenzio
il vuoto.
***
E non sarò che terra,
ultima roccia
di un patimento lontano
qui venuto a prendermi vivo:
così
sarò
scarnito nell'elettrodo
piantato dentro il freddo
piegato come il miglio
da cui non c'è ritorno
affinché più mio più
mostrato
sia ciò che si diventa,
che si strappa, si perde in questo vento
con la morte e con il pianto
nel tempo e nell'urto.
***
Ciascuno non sa
per sempre
quale notte lo assegna
a quale grido, a quale affondo
lì, in bilico
tra il precipizio e la parola
supplice
e testimone
del buio vivo che lo nomina.
***
Della ferita conservi
il lembo che non rimargina,
l'ago
annodato al filo
e il rivolo
gelato nella garza.
Apri gli occhi, adesso
ascolta,
guarda :
sei un grido
che entra nel pensiero,
lo trapassa
e diventa carne,
vento,
uccello.
Tu
seguilo, tu
cercalo, di nuovo
stringilo
finché il quaderno sanguini
finché il foglio
voli, si strappi.
Alessandro Bellasio da Nel tempo e nell'urto
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