venerdì 24 gennaio 2020

PER UNA GRAMMATICA DELL'INTERIORITA' : LA GIOIA

 
 
 

                                               La gioia è uno spazio luminoso fatto visibile…


(…) La gioia la si definisce come l'aria della letizia, il suo spazio
       luminoso, e per questo espresso, fatto visibile, affidato a segni
       anche esteriori. La gioia è una letizia che cerca i segni per
       manifestarsi,una letizia che chiama i sensi in una congiunzione
       festosa. Oblìo temporaneo della caducità, di ogni terrestre
       complicità con il declino, la gioia chiama a sé - per definirsi
       meglio - aggettivi come " pura o assoluta, incontenibile o
       piena o celeste ":a dire il suo sottrarsi all'ordine delle passioni
       radicate nell'esercizio quotidiano dei rapporti. E tuttavia,
       nonostante la pulsione a manifestarsi, a dare una visibilità al
       suo traboccare, la gioia è l'interiorità contenta in sé, libera -
       per poco - dal tempo che la abita, dal suo assillo, dalla sua
      stessa rappresentazione,riempita da un presente che ha sospeso
      il patto con il transitorio. La gioia è un sentire aperto all'
    elevazione, allo sguardo dell'altro,un piacere sottratto all'ombra
     del declino: riflesso corporeo dell'impossibile. La gioia
     zampilla senza prosciugare la fonte, si manifesta senza
     consegnarsi del tutto ai segni del proprio manifestarsi: il riso o
     l'allegrezza sono solo delle forme profane e secondarie, e
     qualche volta oblique o persino dissimulatrici di quella pienezza
     tutta interiore del sentire che chiamiamo " gioia ". E tuttavia la
     gioia non è chiusura dell' Io al mondo, non è dimenticanza dell'
     altro: anche nella solitudine l suo sentire è appartenenza,
     relazione non solo con gli altri, ma anche con la terra, con il
     visibile, e persino con il ritmo del mondo. In questo senso ogni
     esperienza della gioia è un'esperienza d'amore. Shiller ha dato
     di questo legame una rappresentazione in un certo senso visiva
     ed esplicita, declinata nei modi di un universalismo romantico e
    attribuendo ad essa - che è celeste e che è magica - il senso della
     fraternità e allargando questa appartenenza amicale e amorosa
     al mondo intero. Beethoven, nell'ultimo movimento della Nona
     Sinfonia, accoglie questo abbraccio della gioia dando alla sua
    " celestialità " la lingua che più le appartiene, la lingua che è
    oltre la lingua, e portando alcune parole del poeta nel canto, nel
    gioioso dispiegarsi di una voce che è raggiunta da un'altra voce
    e si dischiude nel coro. Il passaggio dalla lingua alla musica
    comincia con la festa delle vocali, quando esse ritrovano la loro
  originaria relazione con la voce, al di qua e al di là del significato
    e dunque attingono alla purezza del canto: Alleluja della lingua.
    La musica è il respiro della gioia e Beethoven era
    meravigliosamente in grado di mostrarlo.  (…)


Antonio Prete da   Il cielo nascosto ( Grammatica dell'interiorità )


Nessun commento:

Posta un commento