La gioia è uno spazio luminoso fatto visibile…
(…) La gioia la si definisce come l'aria della letizia, il suo spazio
luminoso, e per questo espresso, fatto visibile, affidato a segni
anche esteriori. La gioia è una letizia che cerca i segni per
manifestarsi,una letizia che chiama i sensi in una congiunzione
festosa. Oblìo temporaneo della caducità, di ogni terrestre
complicità con il declino, la gioia chiama a sé - per definirsi
meglio - aggettivi come " pura o assoluta, incontenibile o
piena o celeste ":a dire il suo sottrarsi all'ordine delle passioni
radicate nell'esercizio quotidiano dei rapporti. E tuttavia,
nonostante la pulsione a manifestarsi, a dare una visibilità al
suo traboccare, la gioia è l'interiorità contenta in sé, libera -
per poco - dal tempo che la abita, dal suo assillo, dalla sua
stessa rappresentazione,riempita da un presente che ha sospeso
il patto con il transitorio. La gioia è un sentire aperto all'
elevazione, allo sguardo dell'altro,un piacere sottratto all'ombra
del declino: riflesso corporeo dell'impossibile. La gioia
zampilla senza prosciugare la fonte, si manifesta senza
consegnarsi del tutto ai segni del proprio manifestarsi: il riso o
l'allegrezza sono solo delle forme profane e secondarie, e
qualche volta oblique o persino dissimulatrici di quella pienezza
tutta interiore del sentire che chiamiamo " gioia ". E tuttavia la
gioia non è chiusura dell' Io al mondo, non è dimenticanza dell'
altro: anche nella solitudine l suo sentire è appartenenza,
relazione non solo con gli altri, ma anche con la terra, con il
visibile, e persino con il ritmo del mondo. In questo senso ogni
esperienza della gioia è un'esperienza d'amore. Shiller ha dato
di questo legame una rappresentazione in un certo senso visiva
ed esplicita, declinata nei modi di un universalismo romantico e
attribuendo ad essa - che è celeste e che è magica - il senso della
fraternità e allargando questa appartenenza amicale e amorosa
al mondo intero. Beethoven, nell'ultimo movimento della Nona
Sinfonia, accoglie questo abbraccio della gioia dando alla sua
" celestialità " la lingua che più le appartiene, la lingua che è
oltre la lingua, e portando alcune parole del poeta nel canto, nel
gioioso dispiegarsi di una voce che è raggiunta da un'altra voce
e si dischiude nel coro. Il passaggio dalla lingua alla musica
comincia con la festa delle vocali, quando esse ritrovano la loro
originaria relazione con la voce, al di qua e al di là del significato
e dunque attingono alla purezza del canto: Alleluja della lingua.
La musica è il respiro della gioia e Beethoven era
meravigliosamente in grado di mostrarlo. (…)
Antonio Prete da Il cielo nascosto ( Grammatica dell'interiorità )
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