Morte, non mi ghermire,
ma da lontano annunciati.
E da amica mi prendi
come l'estrema delle mie abitudini.
( Cardarelli, 1942 )
(…) Sebbene ai nostri giorni immagini di morte e di massacri ci
vengano fornite quotidianamente e in dosi sempre più massicce
dai Media - senza contare le razioni supplementari di " morti
virtuali" che tanti di noi assumono nel buio delle sale
cinematografiche o attraverso l'uso di " videogiochi" - si
direbbe che la morte non sia un tema molto sentito dall'uomo
d'oggi. Da un lato c'è stata una sorta di assuefazione a uno
spettacolo divenuto troppo frequente per suscitare un forte
impatto emotivo. Ma c'è dell'altro: siamo " cresciuti", le
conquiste della tecnica e della medicina ci hanno resi più
fiduciosi nelle nostre capacità di governare l'esistenza:
apparentemente ci sentiamo e ci diciamo più forti. Crediamo
sempre meno nell'aiuto di numi tutelari, ci affidiamo sempre
meno alla protezione di riti magici e confidiamo sempre più in
noi stessi, nella potenza della nostra ragione e della nostra
volontà. Il confronto con la morte si è fatto meno ravvicinato,
meno quotidiano, più prevedibile, ma paradossalmente più
difficile. Per quanto l'illusione del progresso abbia permesso
di procrastinare e in parte di controllare l'appuntamento con
la morte, il processo di rimozione dell'angoscia ad essa legata,
genera una distanza sempre più grande dalle radici emotive
della nostra vita. Ciò che si vuol dire è che più si rimuovono
l'angoscia di morte e i sentimenti panici, depressivi e
inquietanti connessi all'esperienza della caducità e del limite,
più si perde la possibilità di entrare in contatto con le
fondamenta della nostra sensibilità. Come afferma Norbert
Elias ( sociologo tedesco, n.d.r. ), ciò che caratterizza il vivere
e il morire dell'uomo civilizzato, è un controllo esasperato nell'
espressione dei propri sentimenti, delle emozioni e delle
passioni. Gli aspetti più istintivi e naturali della condotta
umana sono schiacciati e organizzati in modo artificioso. Le
emozioni più forti e i moti dell'animo più profondi vengono
vissuti con un senso di vergogna e di insicurezza e giudicati
dalla collettività come manifestazioni di debolezza e di
fragilità. Ci si abitua gradualmente e sottilmente a reprimere
le emozioni, e ciò tende a trovare una compensazione nella
ricerca dell'affermazione esteriore e dell' approvazione sociale.
La stessa sindrome bipolare maniaco - depressiva si è
trasformata in una formula unilaterale: la depressione è
è diventata oggetto di cure e preoccupazioni, mentre lo stato
maniacale, che ad essa solitamente segue, è entrato
progressivamente a fa parte di quella " normalità " socio-
culturale che vorrebbe fare dell'uomo il prototipo della massima
efficienza. (…)
Aldo Carotenuto da Eclissi dello sguardo
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