" L'affetto dolcissimo della pietà, madre o mantice dell'amore…" ( G. Leopardi )
(…) La compassione: una passione condivisa. Ma anche un patire
in comune, un patire insieme. Una prossimità all'altro, alla sua
ferita. La compassione è tuttavia un sentimento raro, perché
rara è l'esperienza in cui il dolore dell'altro diventa davvero il
nostro dolore. La parola " compassione " spesso copre, come
un confortevole velo, un sentire in cui l'attenzione all'altro, alla
sua pena, si accompagna a un compiacimento del soggetto
compassionevole, a una silenziosa conferma della sua bontà
d'animo.
Accade che il gesto visibile del soccorso possa ferire il pudore
col quale l'altro ha nascosto la propria sofferenza, sottraendola
a fatica all'altrui indiscrezione. Accade che la compassione
possa invadere il doloroso silenzio di chi ha deciso di portare
su di sé, con dignità, e forse fierezza, il fardello della propria
pena: essere compassionevoli - come si è detto -in fondo è come
disprezzare l'altro, non credere alle sue capacità di reggere l'
afflizione senza il lamento. E accade anche che dalla propria
quieta soglia si guardi all'affanno dell'altro come si osserva
dalla sponda il dibattersi del naufrago nelle onde: il sottile,
inconfessato piacere di trovarsi al sicuro può sovrastare e
rendere fievole l'ansia per il pericolo in cui si trova l'altro.
La compassione - come ha scritto qualcuno - è spesso soltanto
una pacificazione di sé. Può persino essere - la compassione -
maschera di orgoglio, esibizione della propria sicurezza, delle
sue salde radici. E' quel che La Fontaine mette in scena nella
favola La canna e la quercia dove le parole ipocritamente
compassionevoli del forte albero che invita il cespuglietto di
canne a crescere all'ombra del suo potente fogliame per potersi meglio difendere dal vento, ricevono presto una smentita: una
tempesta impetuosa e violenta sradica la quercia, ma non la
canna, che sa invece piegarsi, ondeggiando sotto la bufera.(…)
Antonio Prete da Compassione
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