Gustave Courbet - Gli spaccapietre , 1849
E' morto lavorando
ottant'anni l'ha passati sulla
fatica
sulla fossa che ha la croce di latta
un numero e un mucchio di
terra
andava a tutte le
manifestazioni di partito
diceva che non avrebbe voluto
il prete
ma la paralisi
non lo fece parlare.
***
Per colazione hanno acqua e
pane
bevono molta acqua
la saliva che hanno devono
sputarla sulle mani
perché il martello non scivoli
a mezzogiorno mettono nel
brodo d'erbe
il solito pane nero
al coprirsi del sole se io sono
pieno di malinconia
per loro è bello tornarsene a
casa ridendo
sedersi in famiglia giocare con
i figli
dopo dieci ore di lavoro sulle
pietre
per quel poco pane e perché la
moglie
continui a fare per ultimo il
piatto
perché a nessuno manchi la
parte.
***
La pensione da impiegato
comunale
è di ottanta mila al mese
quarant'anni di fatica
per pane e formaggio
grattugiato
per imparare a stendere la
mano e morire solo
oppure finire al ricovero dei
vecchi
ubbidire a bacchetta la madre
superiora
alzarsi presto imparare a
pulirsi l'anima
per avere un pasto
abbondante
e morire in un posto fatto per i
vecchi
perché crepino senza dare
fastidio.
***
E' morto con la testa spaccata
sul selciato
sporco di olio benzina sangue
e senza dignità buttando pezzi
di cervello
tutta la nostra fragilità davanti
ai mostri
in quello spavento del cozzo in
quell'ultimo istante
con gli occhi scoppiati vedere
la vita che esplode.
***
Il colpo di martello che spezza
il mattone
e il verso allucinato che
smaglia
guardare la cosa mentre ci
accieca
l' improvviso bagliore della
fiamma ossidrica
o quello che cadde nella vasca
della calce viva
scavata la fossa scaricate le
pietre cotte
poi con l'acqua tutto ribolliva e
fumava
il ribollire delle pietre cotte fu
l' ultima cosa che vide.
Luigi Di Ruscio da Poesie scelte 1953 - 2010
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