(... ) La natura umana non cambierà certo per questa crisi, ma altrettanto certamente nulla resterà come prima nella nostra cultura. Il problema sta nel fatto che questi mutamenti minacciano di cascarci addosso senza che alcuna seria analisi delle loro cause e dei loro effetti abbia promosso coerenti azioni di governo. E' come si inseguisse il destino attraverso interventi che cerchino di contenere la crudeltà. Non si vuol comprendere che nel mondo del nuovo millennio, mondo già chiaramente prevedibile nel tremendo Novecento, l'accelerazione straordinaria che stressa tutti i fattori della nostra vita, crea fisiologicamente le condizioni per una perenne emergenza, per uno stato continuo di crisi, anche se esso assume di volta in volta maschere diverse. Prevedere e prevenire è ancora possibile? La pandemia ha accelerato un processo che sta scardinando non solo le forme tradizionali dell'azione politica, ma anche i nostri comportamenti e il senso comune. Possiamo seguire nella direzione di marcia, come gli schiavi in catene dietro il vincitore. Oppure possiamo almeno cercare di comprenderne il significato. Assistiamo a un formidabile processo di disgregazione di ogni forma autonoma di rappresentanza nella cosiddetta società civile, frantumazione che affonda le sue radici materiali nell'organizzazione della produzione del lavoro. La secolare storia dell' individuo moderno si compie decretando la sua impotenza nel dar vita a qualsiasi comunità. La prova inconfutabile di questa deriva? Il continuo ripetere che occorre " distanziamento sociale". L' attenzione va posta sull'aggettivo : sociale. Il moto oggi ovunque ripetuto, non è riducibile all'infelice lapsus di qualche burocrate o comunicatore di passaggio, ma è davvero rivelatore : non si parla di distanza fisica, bensì di distanza sociale. Occorre davvero essere ciechi e sordi allo spirito dei tempi se non si avverte, come anche il " tutti a casa " sia infinitamente più di un imperativo dettato da indubitabili ragioni sanitarie. Se davvero si cristallizza l'idea che sia meglio lavorare ciascuno a casa propria, che sia opportuno discutere da qui e per sempre via Zoom o Google Meet, che sia bene tenere lezioni a distanza, che ne sarà della comunità umana? Il contagio è sempre in agguato quando non si è soli. Ma la pur legittima e doverosa difesa sanitaria - se assolutizzata - diventa una mina per la comunità. La prossimità è cura, affatica, arrischia, può sempre capitare che nel colloquio, nell'incontro ravvicinato, nasca il germe di un pensiero critico, di una volontà collettiva. O almeno che l'individuo in quanto tale riconosca con dolore la propria impotenza. Può darsi che ciò stia bene ai grandi imperi del capitalismo politico, a cinesi, russi e americani che sognano un mondo globale che abbia l'aspetto di un mucchio immenso di case private abitate da individui e non da persone, iperconnessi grazie al web e ai social, ma incapaci di comunicare tra loro. E' questo che vogliamo? Ne siamo consapevoli?
Pensiamoci . (...)
Massimo Cacciari da Nella paura di contagiarsi, la fine della comunità. (N. 23 Espresso del 31 Maggio 2020 )
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