giovedì 24 giugno 2021

LA LINEA INTERA E SPEZZATA DI MILO


                                                                   Chet Za  -  Mostri






NEMINI

Sali sul tram numero quattordici e sei destinato a scendere

in un tempo che hai misurato mille volte

ma non conosci veramente,

osservi in alto lo scorrere dei fili e in basso l'asfalto bagnato,

l'asfalto che riceve la pioggia e ci chiama dal profondo,

ci raccoglie in un respiro che non è di questa terra, e tu allora

guardi l'orologio, saluti il guidatore. Tutto è come sempre

ma non è di questa terra e con il palmo della mano

pulisci il vetro dal vapore, scruti gli spettri che corrono

sulle rotaie e quando sorridi a lei vestita di amaranto

che scende in fretta i due scalini, fai con la mano un gesto

che sembrava un saluto ma è un addio.


***

DOPPIO PASSO

Qui, fra le trottole e il gatto parlante, in questa camera

dove ondeggiavano i vetri e la fiaba ci proteggeva,

proprio qui si svuota più veloce la clessidra

nel pavimento rosso delle sette capriole

si asciuga all'improvviso l'oceano dell'infanzia

balbetta una lingua morta nelle nostre mani calcinate

che ieri furono sorgente e primavera, foglio e inchiostro,

proprio qui irrompe la fine che scruta solo noi e tace,

tace in un respiro di salgemma.



E allora facciamo silenzio, mio piccolo amore, slacciamo

i sandali, togliamo il braccialetto di cuoio:

chiuderemo la porta e scenderemo, scenderemo

con i nostri pochissimi anni nell'occulto che ci chiama,

mentre il pavimento prende il colore della notte,

scenderemo noi due, scenderemo noi soli, perderemo

la vita.


***

IL PENULTIMO DISCORSO DI DANIELE ZANIN

Le antenne si muovono nel vento

il corpo ondeggia ma è deciso a pronunciare

ad alta voce le sue accuse. E tutto il quartiere,

con il fiato sospeso, scruta quel ragazzo alto e magro

in piedi sul tetto, con il golf bianco e le dita

coperte di farina. Ognuno attende la sentenza.

Ognuno affonda nel mistero

di se stesso, guarda in alto e non sa

dove si trova esattamente

ma sa che quelle parole sono per lui

e lui, mentre ascolta, le sta pronunciando.



" Mi chiamo Daniele e ho pensato seriamente alla vita.

La vita ed io siamo state due creature

che si accusavano a vicenda, finché un'energia furiosa

ci ha spinti l'una contro l'altro e ho cominciato

a vedere l'altra faccia di ogni foglio, ho cominciato

a nuotare nei laghi del tramonto ed ora sono qui

con gli occhi forati e le lacrime di piombo

e vi ho chiamati ogni mattina, vi ho chiamati

uno per uno per nome e per cognome

finché non vi ho più visti e cominciò

questo mio sempre

di ore deserte e istanti morti".



" State attenti, tutti voi, perché non parlerò due volte.

Sono nato alla fine di una festa, al Gallaratese,

quando la bocciofila restò senza luci e tutti

se ne andarono.

Gridai che era tardi, ed era tardi.

La musica delle sfere precipitò in una zattera,

il mio pianto ammutolì e allagò tutta la vita,

mi divisi per sempre da me stesso, persi la mano

della fata e a tutti voi scagliai in faccia

il mio sacchetto di canditi".



" Nella vasca dove entrai un pomeriggio

vidi la fine separata dal suo inizio, vidi 

le prime crepe del sorriso e divenni un istante ossidato,

una mezza notizia che nessuno raccoglie, vidi

la folla disegnata sulle mie unghie, vidi

per la prima volta i miei amati cavalli

fermi in una giostra di pietra,

mi aggiravo fra spigoli di buio, avevo un piede

immerso nella calce, studiavo i libri

degli antichi e dei moderni, riempivo la cucina

di appunti e foglietti. Poi l'artiglio di un gattino grigio

lacerò tutto il pensiero do Hegel".



" Cominciai a vedere nelle lampadine spente

il viso di mio padre, cominciai con la mia cannuccia

a succhiare veleno, mi immersi

nell'acqua passata

e apparve l'ombra dei lupi, entrò come un arpione

nella bocca, mi tolse la parola: sentivo le urla

dei pazzi in una culla di catrame

finché di colpo appassì l'ibisco e mi accorsi

che ormai da sette giorni sotto il mio cuscino

dormiva la morte ".


***

UDIENZA

Ormai sta pulsando, nelle parole che hai detto, il respiro

di quelle taciute.E sono lì, sono lì, bussano alla porta

non se ne vogliono andare, restano ferme fino a sera,

ti sfiorano il viso e si allontaneranno solo all'alba.

Restano lì e la stanza diventa un'aula di tribunale e tu

sei l'imputato.L'accusa è sempre la stessa: il silenzio.

Le attenuanti non contano: dovevi parlare, dovevi

tirare fuori la bestia, esporre il demone nero al pubblico giudizio,

mostrarlo alla primavera, spargerlo per il mondo, guarire.





Milo De Angelis    da   Linea intera, linea spezzata




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