Chet Za - Mostri
NEMINI
Sali sul tram numero quattordici e sei destinato a scendere
in un tempo che hai misurato mille volte
ma non conosci veramente,
osservi in alto lo scorrere dei fili e in basso l'asfalto bagnato,
l'asfalto che riceve la pioggia e ci chiama dal profondo,
ci raccoglie in un respiro che non è di questa terra, e tu allora
guardi l'orologio, saluti il guidatore. Tutto è come sempre
ma non è di questa terra e con il palmo della mano
pulisci il vetro dal vapore, scruti gli spettri che corrono
sulle rotaie e quando sorridi a lei vestita di amaranto
che scende in fretta i due scalini, fai con la mano un gesto
che sembrava un saluto ma è un addio.
***
DOPPIO PASSO
Qui, fra le trottole e il gatto parlante, in questa camera
dove ondeggiavano i vetri e la fiaba ci proteggeva,
proprio qui si svuota più veloce la clessidra
nel pavimento rosso delle sette capriole
si asciuga all'improvviso l'oceano dell'infanzia
balbetta una lingua morta nelle nostre mani calcinate
che ieri furono sorgente e primavera, foglio e inchiostro,
proprio qui irrompe la fine che scruta solo noi e tace,
tace in un respiro di salgemma.
E allora facciamo silenzio, mio piccolo amore, slacciamo
i sandali, togliamo il braccialetto di cuoio:
chiuderemo la porta e scenderemo, scenderemo
con i nostri pochissimi anni nell'occulto che ci chiama,
mentre il pavimento prende il colore della notte,
scenderemo noi due, scenderemo noi soli, perderemo
la vita.
***
IL PENULTIMO DISCORSO DI DANIELE ZANIN
Le antenne si muovono nel vento
il corpo ondeggia ma è deciso a pronunciare
ad alta voce le sue accuse. E tutto il quartiere,
con il fiato sospeso, scruta quel ragazzo alto e magro
in piedi sul tetto, con il golf bianco e le dita
coperte di farina. Ognuno attende la sentenza.
Ognuno affonda nel mistero
di se stesso, guarda in alto e non sa
dove si trova esattamente
ma sa che quelle parole sono per lui
e lui, mentre ascolta, le sta pronunciando.
" Mi chiamo Daniele e ho pensato seriamente alla vita.
La vita ed io siamo state due creature
che si accusavano a vicenda, finché un'energia furiosa
ci ha spinti l'una contro l'altro e ho cominciato
a vedere l'altra faccia di ogni foglio, ho cominciato
a nuotare nei laghi del tramonto ed ora sono qui
con gli occhi forati e le lacrime di piombo
e vi ho chiamati ogni mattina, vi ho chiamati
uno per uno per nome e per cognome
finché non vi ho più visti e cominciò
questo mio sempre
di ore deserte e istanti morti".
" State attenti, tutti voi, perché non parlerò due volte.
Sono nato alla fine di una festa, al Gallaratese,
quando la bocciofila restò senza luci e tutti
se ne andarono.
Gridai che era tardi, ed era tardi.
La musica delle sfere precipitò in una zattera,
il mio pianto ammutolì e allagò tutta la vita,
mi divisi per sempre da me stesso, persi la mano
della fata e a tutti voi scagliai in faccia
il mio sacchetto di canditi".
" Nella vasca dove entrai un pomeriggio
vidi la fine separata dal suo inizio, vidi
le prime crepe del sorriso e divenni un istante ossidato,
una mezza notizia che nessuno raccoglie, vidi
la folla disegnata sulle mie unghie, vidi
per la prima volta i miei amati cavalli
fermi in una giostra di pietra,
mi aggiravo fra spigoli di buio, avevo un piede
immerso nella calce, studiavo i libri
degli antichi e dei moderni, riempivo la cucina
di appunti e foglietti. Poi l'artiglio di un gattino grigio
lacerò tutto il pensiero do Hegel".
" Cominciai a vedere nelle lampadine spente
il viso di mio padre, cominciai con la mia cannuccia
a succhiare veleno, mi immersi
nell'acqua passata
e apparve l'ombra dei lupi, entrò come un arpione
nella bocca, mi tolse la parola: sentivo le urla
dei pazzi in una culla di catrame
finché di colpo appassì l'ibisco e mi accorsi
che ormai da sette giorni sotto il mio cuscino
dormiva la morte ".
***
UDIENZA
Ormai sta pulsando, nelle parole che hai detto, il respiro
di quelle taciute.E sono lì, sono lì, bussano alla porta
non se ne vogliono andare, restano ferme fino a sera,
ti sfiorano il viso e si allontaneranno solo all'alba.
Restano lì e la stanza diventa un'aula di tribunale e tu
sei l'imputato.L'accusa è sempre la stessa: il silenzio.
Le attenuanti non contano: dovevi parlare, dovevi
tirare fuori la bestia, esporre il demone nero al pubblico giudizio,
mostrarlo alla primavera, spargerlo per il mondo, guarire.
Milo De Angelis da Linea intera, linea spezzata
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