martedì 29 giugno 2021

IL CANE DI PICASSO ( e altre storie di amicizia ) 4


(...) Un anno dopo Freud ricevette due nuovi chow chow: Jofi, la sorella di Lun, e Lun II, anche lei in qualche modo imparentata con la prima Lun. Ma poiché le due non andavano molto d'accordo, Freud dette via Lun II  e si tenne Jofi, con la quale strinse un rapporto più stretto che con i suoi altri cani. Per Freud. infatti, Jofi era l'incarnazione perfetta di tutti i vantaggi di un cane rispetto ad un essere umano, come scrisse in seguito in una lettera a Maria Bonaparte. " Affetto senza alcuna ambivalenza, vita semplice senza gli insostenibili conflitti della nostra cultura, la bellezza di un'esistenza che riposa in se stessa ". Quando accarezzava Jofi, spesso si sorprende a canticchiare una melodia, " che persino io che ho un pessimo orecchio musicale riconosco essere l'aria di Ottavio dal Don Giovanni ( " Un legame di amicizia ci unisce " ). Con Freud Jofi può permettersi di tutto: mangia dal suo piatto quello che lui non può finire, cancellando in tal modo le prove del progressivo indebolimento del suo corpo. Freud apprezza molto la sua tipica testardaggine da chow chow e scrive in una lettera che la cagnetta " è una creatura incantevole, così interessante anche come femmina: selvaggia, impulsiva, tenera, intelligente e non così dipendente come possono essere altri cani . Non si smette più di provare rispetto di fronte a tali animali".

I cani di Freud non svolgevano mansioni terapeutiche, alla stregua di liberi professionisti, soltanto nel contesto familiare: lo psicanalista li adoperava anche in modo mirato come cani per terapia, svolgendo in questo campo un lavoro davvero pionieristico. Nel corso delle sedute di analisi, Jofi era utile a diversi livelli:uno più profano, contabile, in quanto, dopo cinquanta minuti in punto si alzava e sbadigliava, segnando in tal modo la fine della seduta. A livello empatico - emozionale, Freud era convinto che avesse un effetto tranquillizzante sui propri pazienti: pensava di poter leggere dalla posizione assunta da Jofi nella stanza, ulteriori dettagli riguardo ad essi. Se erano rilassati, lei si sdraiava molto più vicina a loro di quanto non facesse con quelli agitati e nervosi. Inoltre Freud sosteneva che in base a una sorta di test immediato, Jofi era capace -a suo avviso - di scoprire quali tra i candidati si prestassero meglio ad affrontare la psicoanalisi: se al primo contatto distoglieva lo sguardo o guardava il paziente con diffidenza, ciò significava che quella persona non era adatta a quel tipo di terapia, e dunque veniva gentilmente invitata  ad andarsene. (...)



                              Anja  Rutzel  da     Il cane di Picasso ( e altre storie di amicizia )



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