Se bastasse il dolore per poter scrivere bella poesia, probabilmente saremmo tutti ( o quasi) autori di fama. Invece non è così, anche se accade spesso che alcune delle pubblicazioni più emozionanti affondino le loro radici nella perdita e nel distacco. Ma - appunto - il dolore non basta: la lancinante intensità del sentimento deve in qualche modo venire a patti con il mezzo espressivo - con la lingua - e forse serve anche fare i conti con la perdita - non metabolizzarla perché è impossibile - ma almeno venirci a patti, comprenderne la portata e le conseguenze, magari arrendersi alla desolazione. Questo testo di Anna Lombardi scava nel baratro del dolore: la morte del compagno di vita è infatti una sentenza di solitudine senza appello, senza possibilità di contatto, senza sollievo. Ma, al di là del rispetto e della pietas verso la sofferenza, non è questo che rende questo libro splendido nella sua durezza : quello che colpisce è l'asciuttezza di un sentimento che diventa anche austerità della lingua, nudità portata fino all'espressione necessaria del distacco, esposizione del sé così disincantata da diventare quasi una forma di verità. Non c'è nulla di più di quello che dovrebbe esserci, nulla di più di quello che serve, e in questo sconforto la necessità di parole che colloquiano con l'assenza, sapendo perfettamente che nessuna consolazione è possibile.
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