" Selenia Bellavia non ha pietà alcuna per le sue creature. Ella procede implacabile come deve essere un poeta e per un momento dà realtà a quel nulla che ci attornia ".
Parlare oggi di virtù, significa in qualche modo andare contro corrente. Eppure, nessuna relazione funziona spontaneamente: ha bisogno di cura, allenamento, dedizione. Di virtù, Papa Francesco ce ne propone alcune, o dimenticate oppure neanche prese in considerazione: sopportazione, pazienza e mitezza, gioia e senso dell'umorismo. Innanzitutto la sopportazione. Dobbiamo ammettere che la capacità di sopportazione si è molto abbassata ai nostri giorni. Fatichiamo a sopportare i difetti degli altri, fatichiamo a tollerare gli sbagli, fatichiamo a sopportare chi ci sta antipatico, chi la pensa in modo diverso, chi ci critica, chi invade i nostri spazi. Non tolleriamo che l'altro sia diverso da come noi vorremmo. Fatichiamo ad accettare che l'altro non sia all'altezze delle nostre attese e pretese. Il Papa ci dice che " Occorre rimanere centrati, saldi in Dio che ama e sostiene". A partire da questa fermezza interiore è possibile sopportare, sostenere le contrarietà, le vicissitudini della vita, e anche le aggressioni degli altri, le loro infedeltà e i loro difetti. " Se Dio è con noi, chi sarà contro di noi ?" ( Rm 8, 31 ). Questo è fonte di pace che si esprime negli atteggiamenti di un santo. Sulla base di tale solidità interiore, la testimonianza di santità - nel nostro tempo accelerato, volubile e aggressivo - è fatta di pazienza e costanza nel bene. E' la fedeltà dell'amore, perché chi si appoggia a Dio, può anche essere fedele di fronte ai fratelli: non li abbandona nei momenti difficili, non si lascia trascinare dall'ansietà, rimanendo accanto agli altri anche quando questo non gli procura soddisfazioni immediate.
Derio Olivero da Verrà la morte e avrà i suoi occhi
La seconda virtù è la mitezza. Dice Papa Francesco :" La fermezza interiore, che è opera della grazia, ci preserva dal lasciarci trascinare dalla violenza che invade la vita sociale, perché la grazia smorza la vanità e rende possibile la mitezza del cuore. Il santo non spreca le sue energie lamentandosi degli errori altrui, è capace di fare silenzio davanti ai difetti dei fratelli ed evita la violenza verbale che distrugge e maltratta, perché non si ritiene degno di essere duro con gli altri, ma piuttosto li considera" superiori a se stesso" ( Fil 2,3 ). Non ci fa bene guardare dall'alto in basso, assumere il ruolo di giudici spietati, considerare gli altri come indegni e pretendere continuamente di dare lezioni. Questa è una sottile forma di violenza. San Giovanni della Croce proponeva un'altra cosa: " Sii più inclinato ad essere ammaestrato da tutti che a voler ammaestrare chi è inferiore a tutti.". E aggiungeva un consiglio per tener lontano il demonio " Rallegrandoti del bene degli altri come se fosse tuo e cercando sinceramente che questi siano preferiti a te in tutte le cose. In tal modo vincerai il male con il bene, caccerai lontano da te il demonio e ne ricaverai gioia di spirito. Cerca di fare ciò specialmente con coloro i quali meno ti sono simpatici. Sappi che se non ti eserciterai in questo campo, non giungerai alla vera carità né farai profitto in essa ",
Derio Olivero da Verrà la morte e avrà i suoi occhi
C'è una terza virtù che riconcilia con la vita, di cui abbiamo bisogno dopo tanta angoscia : parliamo di gioia e senso dell'umorismo. Afferma Papa Francesco : " Quanto detto finora non implica uno spirito inibito, triste, acido, malinconico o un basso profilo senza energia. Il santo è capace di vivere con gioia e senso dell'umorismo; senza perdere il realismo, illumina gli altri con uno spirito positivo e ricco di speranza. Essere cristiani è gioia nello spirito ( Rm 14, 17 ) perché all'amore di carità segue necessariamente la gioia. Poiché chi ama, gode sempre dell'unione con l'amato. Se lasciamo che il Signore ci faccia uscire dal nostro guscio e ci cambi la vita, allora potremo realizzare ciò che chiedeva San Paolo " Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti! " ( Fil 4,4 ). " Ordinariamente la gioia cristiana è accompagnata dal senso dell'umorismo, così evidente ad esempio in Tommaso Moro, in San Vincenzo de Paoli o in San Filippo Neri. Il malumore non è un segno di santità:" Caccia la malinconia dal tuo cuore" ( Qo 11, 10 ). E' così tanto quello che riceviamo dal Signore perché possiamo goderne ( 1 Tim 6, 17 ), che a volte la tristezza è legata all'ingratitudine, con lo stare totalmente chiusi in se stessi da diventare incapaci di ricevere i doni di Dio. La gioia non è qualcosa che si compra al mercato. E' un comando. Per essere un regalo per gli altri, dobbiamo cercare di essere gioiosi, di buon umore, positivi. La nostra gioia e il nostro buon umore facilita la relazione, crea uno spazio positivo in cui far entrare l'altro. Il nostro compito è quello di essere sale e luce per chi ci incontra. Per costruire una relazione, dobbiamo lavorare per portare all'altro qualcosa di gustoso, di colorato, cioè per offrire all'altro un volto gioioso, uno spirito positivo. Sarebbe bello se si potesse dire di noi cristiani: " Chi sono in cristiani? Quelli della gioia ". Amo ripetere una frase riferita a Martin Lutero: " Sono vivo; Dio esiste; mi stupirei di essere triste".
Derio Olivero da Verrà la morte e avrà i suoi occhi
"Il Coronavirus ? Una pandemia angosciante e noiosa" ( M. H )
(...) Sia chiaro : Houellebecq è un grande narratore. La vivacità e l'energia della sua prosa non sono in discussione. La sua resa al sentimento di decadenza non ha pari. Come ce lo ricorda lui, " che la vita fa schifo ", nessuno mai : è un vero gigante della pars destruens . Con le sue provocazioni e il suo tono dissacrante, riesce a risultare pure simpatico. Divertente come solo certi depressi sanno essere, cattivo ma forse no, volgare ma con stile, maschilista ma chi se ne frega.
Ora, di fronte a tutto il mondo culturale da mesi in attesa del suo sguardo sulla pandemia, Houellebecq finalmente si pronuncia, ma del virus dice poco, e per lo più cose già dette. Houellebecq, a ben guardare, parla solo di Houellebecq.
Il coronavirus è - per lui - banale, " senza qualità " " neanche sessualmente trasmissibile ", come se tra le righe gli rimproverasse di non essere in grado di sterminarci tutti sul serio. Afferma che - a suo parere - non è vero che " nulla sarà più come prima", e qui è coerente nel ricordarci che" la vita già faceva schifo, e rimarrà uguale, forse un po' peggio ". Possiamo essere d'accordo : ci piace - in fondo - la sua ironia nichilista. Poi però, quando si addentra nelle motivazioni, finisce per piegare i fatti alla sua narrazione preesistente : l'obsolescenza delle relazioni umane, i danni della tecnologia, l'Occidente in declino. Un processo già in corso, che il virus può solo accelerare. Ma questa volta sbaglia bersaglio. Perché questa volta la tecnologia è stata ossigeno per le relazioni umane, e l'Occidente ha mostrato di voler vivere. Con tutti i ritardi, le mancanze, le inefficienze e gli errori che sappiamo, ogni paese - chi più , chi meno - ha chiuso i battenti e serrande a tutela dei più fragili. L' ipotesi darwiniana di fare come se niente fosse perché tanto " muoiono solo i vecchi" è stata presto messa in minoranza. Ragion per cui, quando Houellebecq parla di limiti di età per essere rianimati, affermando che " mai prima d'ora avevamo espresso con una sfrontatezza così tranquilla il fatto che la vita di tutti non ha lo stesso valore ", pone certo un problema interessante ( per quanto già abusato ), ma trascura il fatto che si è trattato di drammatiche scelte contingenti. Il tema è quello eterno dell' Arca di Noè o delle scialuppe del Titanic. Quando non è possibile salvare tutti, chi ha più diritto di vivere? I forti, i deboli, le donne, i bambini, o si salvi chi può? Ai tempi dell' Arca, i prescelti lo erano da Dio, al tempo del Titanic, dal censo. E oggi? Oggi i medici- se costretti a scegliere - scelgono chi ha più probabilità di vita.
Dura lex, sed lex.
Che in fondo non dà tutti i torti a Houellebecq. (...)
" Anche se il timore avrà sempre più argomenti, scegli la speranza " .( Lucio Anneo Seneca )
Non sentire più le voci
è stato il dolore potente,
continuo e insormontabile
che ho scalato con le unghie
una notte dopo l'atra a occhi
spenti, per continuare qualcosa
che somigliasse di profilo alla vita.
Dovevo andare avanti in solitaria,
controvento, sempre e comunque,
come quando arriva un'alluvione
o un'ondata anomala ( le ho viste
un tempo in televisione, il Polesine,
Firenze ) che si porta via ogni cosa,
tavoli, letti, libri, animali, persone
e ci si trova per caso, per sbaglio
o condanna tra i sopravvissuti
a raccattare una pentola di rame,
un piatto, una bambola, una canottiera
strisciando nel fango, nella melma,
mentre l'eco delle voci scomparse
risuona a lutto nella memoria.
Si può andare via da quelle case
sommerse dall'acqua, distrutte,
ma non si può cambiare niente
come a quest'ora in un ospedale
della Lombardia o del Piemonte
un barelliere del turno di notte
che esce a fumare una sigaretta
nel parcheggio delle ambulanze
mentre là dentro, nelle corsie,
con lui o senza di lui, si muore.
Stefano Simoncelli da Un barelliere del turno di notte
(...) La febbre stavo dicendo./ Non so se siamo già grafici / di corpi scomparsi in un lampo / nei Pronto Soccorso degli ospedali / o gite di bagnanti sul lungomare / in attesa febbrile di un'estate / che si prepara su improvvisati patiboli . (...)
" Lo scopo dell'arte non consiste affatto - come a volte ritengono gli artisti stessi - nell'instillare pensieri, nel contagiare con le idee, nel servire da esempio. La sua finalità consiste nel preparare l'uomo alla morte, nell'arare e nel rendere tenera la sua anima, in modo che sia capace di rivolgersi al bene " ( A. Tarkovskij ).
Mi sembra che queste parole esprimano egregiamente il senso della poesia di Roberta Dapunt.
f .
DI RITORNO DALLA STALLA
In questo buio compatto è perpetuo novembre.
Sei tu Dio? Onnipresente sconosciuto.
Perché io so che tu sei,
lo sanno i miei sensi
quando tornano dalla stalla.
Tutto è qui nella riservatezza rurale che ripeto
mattina e sera, spesso unico sentiero
che pesto come a passeggio verso casa.
Tutto è qui, qui è l'avvenire,
qui è il tempo che passa e la morte che viene,
in questo gesto comune è la mia alleanza
posta fieno su fieno,
letame dopo letame,
solitudine per solitudine,
nell'amore alla vita, perché vita è l'unico supporto,
qui su questo percorso, umile gioia dei giorni.
***
Credo nelle anime sante,
nella loro indipendenza conquistata sui sensi di una preghiera.
Credo nel lamento di un uomo in agonia,
inaccessibile silenzio degli ultimi istanti di una vita.
Credo nel lavaggio del suo corpo fermo,
nel suo vestito a festa e nell'incrocio delle mani,
testimoni di un battesimo confidato.
Credo nella gioia dei vinti.
Credo nelle loro carni piegate sotto le macerie,
i loro respiri cessati.
Credo nelle distese di orti trasformati,
dentro al loro recinto le ossa dei popoli ammazzati.
Credo ai miserabili che annegano alle porte d'Italia.
Credo in quelli che rimangono e il giorno dopo chiamiamo
clandestini.
Credo nelle loro bambine vendute ai nostri piaceri,
nella loro tristezza che sorride vittima di un rossetto ingrato.
Credo negli angeli senza ali,
in quelli che a piedi nudi camminano dentro una fede.
Credo nel mondo,
quello fuori dalla vetrina in ginocchio a guardare dentro.
Credo nel colore delle pelli che indossa,
negli occhi neri dei figli che perde affamati.
Credo nella verità delle madri e del loro amore.
Credo nella miseria e nell'umiltà di questi versi.
Credo nella bellezza
e qui conviene fermarmi.
***
Voglio così come il sorbo tra i larici e gli abeti
coprirmi di infinita neve. Di bianche coltri
l'abbraccio, chiusa irreparabile del freddo ragionare.
Spalancare le labbra e lasciarmi nevicare
lì in fondo alla bocca, infelice incontrarmi
e sciogliere fiocco dopo fiocco fino a congelare,
e infine raccogliersi, riempirmi.
Mi voglio velare, voglio piano tacere. Sottrarmi
candidamente al complicato uso della voce.
Crescere, innevarsi il mio interno stare come fuori sto ferma.
Voglio immacolarmi, per sempre zittire,
interrompermi e tacere. Seppellirmi dentro
e intorpidire per sempre la facoltà del solo parlare.
Nel 1961 la poetessa Anne Sexton ha pubblicato " To Bedlam and Party Way Bach ". Le arriva una lettera. La colpisce tra le tante. L'ha scritta un monaco. " Non so molto della vita di un monaco, mi piacerebbe". La Sexton non crede in Dio come chi lo desidera ardentemente .Parla al monaco di Romano Guardini. L'epistolario sale di intensità quando il monaco le invia una sua fotografia. Lei non gliel'ha chiesta . " Ora che ti vedo, mi pare che tu sia un matador più che un monaco" . Poi, nel Febbraio 1962 " Sei terribilmente bello per essere un monaco, hai degli occhi incredibili". La bellezza però, è nella distanza irreparabile, il fatto di flirtare con Dio attraverso il monaco, di vincerlo. Sedurre Dio. Costringerlo a preferire ancora la carne per unirsi a una donna.
Del monaco non si sa nulla, non ne conosciamo il nome. La figlia della Sexton, collezionando le sue lettere, lo chiama con lo pseudonimo di Padre Dennis Farrell. Era giovane, insegnava : si era innamorato?. In una lettera, il monaco invita alla poetessa un crocifisso. Lei lo indossa. Gli scrive : " Quando me lo metto al collo sono presa da un senso di umiltà, di certezza " . E poi : " Ho bisogno di te in un modo che non so spiegare. Ho bisogno del tuo amore, per ciò che di esso vi è di vero, gentile, compassionevole".
La Sexton vede in questo rapporto, dispari - non vogliamo chi ci è uguale, chi ci rispecchia, ma chi ci si offre a contrasto - una risorsa estetica : " Le tue lettere influiscono nel mio stile, non puoi immaginare quanto" ( 17 Maggio 1962 ). E alcune settimane dopo: " Le tue lettere mi donano molte cose... l'aura di te stesso, di Dio, di una vita differente, di un'amicizia costante. Ti amo, so che mi ami, ma ti perderò perché continuo a perdere ciò che amo...". Gli invia una poesia " For Eleanor Boylan Talking Whith God ". In un distico vede Dio : " Enorme, che copre il cielo / come una gigantesca medusa che si dilata ".
La Sexton agisce come una serpe nella vita del monaco: a poco a poco lo svela, ne perfora le liminali resistenze. " Improvvisamente avverto una relazione umana di cui ho spesso sognato, ma che pensavo impossibile, le scrive lui. Già nel 1963, dopo due anni di scambi epistolari, annuncia di voler " saltare oltre il muro" e di lasciare il monastero. La Sexton è terrorizzata. " Le nostre lettere... non possono essere paragonate a una relazione. In una lettera - non importa se è stata scritta di getto, onestamente, liberamente o amorevolmente - è possibile essere più amabili che nella vita reale; non ci sono muri, né oggetti, né persone in una lettera, le parole volano dal cuore attraverso le dita... In qualche modo credo di averti ingannato se ti ho fatto credere che questa fosse una relazione". La poetessa non vuole il monaco : se il monaco non sarà più monaco, lei non raggiungerà più Dio. Continua : " Se lasciassi il monastero e ti sposassi, nessuna moglie ti consentirebbe di scrivermi". Di certo non è lei - Anne - a volerlo sposare.
Questo ignoto monaco, tuttavia, fà ciò che ha promesso: lascia il monastero. Agosto 1963. Poi - per anni- più nulla. Il 10 Dicembre del 1966, ritorna. Lei è arrabbiata. " Non dovevi lasciarmi in questo silenzio". Lui le dice di essere stato a Chicago, dove lei aveva una lettura pubblica. " Avremmo potuto vederci, potremmo parlare, ma non so dove sei ", dice lei.
"Forse si sono incontrati a Chicago, forse lui le ha stretto la mano, anche solo per un istante. Forse non diciamo mai la verità nelle nostre lettere, nei pensieri", dice con enfasi il giornalista. Infine, il poeta ha vinto sulla fede : si ha fede nel poeta più che nella divinità. Del monaco, ora ex, non sappiamo più niente- e lei non vuole saperne : se sei così debole da rifiutare Dio, cosa vuoi da me?
Roberto Vecchioni alle lettere d'amore ha dedicato una delle sue canzoni più belle. " Anche quando la guardi, anche mentre la perdi, quello che conta è scrivere".
Difficile credere che Ewa Lipska conosca Vecchioni, ed è solo un po' più probabile che lui conosca lei, eppure tra queste parole in musica del poeta professore e le opere della Lipska raccolte ne " L' occhio incrinato del tempo ", c'è un portato lirico molto affine.
Infatti il mondo emozionale di Ewa, perlomeno quello delle due raccolte originali riunite in questo volumetto italiano, è composto da lettere d'amore. Lettere d'amore scritte da un uomo alla donna amata, appunto la " Cara signora Schubert ". Sarebbe uno sbaglio tuttavia- vedendo la scrittura in prosa - farsi trascinare in un mondo narrativo, cercare un inizio e una fine, un nesso logico o delle vicende. I personaggi non esistono, la signora Schubert è un destinatario ideale, e sarebbe un peccato cercarla. L'uomo che le scrive - che ha amato e perduto - fa riferimento ad un passato contingente che sfugge, si confonde nella memoria, si perde in mille ossimori lirici e onirici. La corrispondenza a metà di quest'uomo infatti non è il diario intimo di un amore, ma nutrendosi più dell'assoluto che del contingente, si avvicina maggiormente al metafisico e alla filosofia.
( Salvatore Greco )
TRA
Cara signora Schubert, mi chiedo dove andremo ad abitare Dopo. Dopo, cioè dove prima c'era la fabbrica che produce la vita d'oltretomba. Sarà tra ciò che non abbiamo fatto e ciò che non faremo più.
***
Cara signora Schubert, il protagonista del romanzo trascina un baule. Nel baule ci sono la madre, le sorelle, la famiglia, la guerra, la morte. Non sono in grado di aiutarlo. Si tira dietro quel baule per duecentocinquanta pagine. Non si regge più in piedi e quando finalmente esce dal romanzo, viene derubato di tutto. Perde la madre, le sorelle, la famiglia, la guerra, la morte. In un forum su Internet scrivono che gli sta bene. Forse è un ebreo o un nano? I testimoni affermano che taceranno su questo argomento.
***
IL TESTAMENTO
Cara signora Schubert, le scrivo da Amsterdam, dove sono in borsa di studio per scrivere il mio testamento. Il nostro amore l'ho lasciato al Passato che - come sempre - rimettiamo al Futuro. L' ho sottratto al sonno. Sono spuntate le rondini. Il cielo era superfluo.
***
LO SPECCHIO
Cara signora Schubert, mi capita di vedere nello specchio Greta Garbo. E' sempre più simile a Socrate. Forse la causa è una cicatrice sul vetro. L'occhio incrinato del tempo. O forse è solo una stella che sbraita nel vaudeville locale.
***
L' AMORE
Cara signora Schubert, la temperatura del nostro amore è di 1200 gradi Celsius. E' sufficiente a fondere l'oro. Ciò che è iniziato nel fuoco ha qualche possibilità di divenire incendio? E facciamo ancora in tempo a fuggire in una fredda vecchiaia che possa prolungarci tutte le date di scadenza?
***
UN NUOVO PIANETA
Cara signora Schubert, prometto che scoprirò un nuovo pianeta sul quale stamperò il suo cuore. Sono un committente di alcuni profeti, sui quali faccio affidamento. Come sa, tutto ciò che è impossibile, si addice alla vita.
***
L'OSCURITA'
Cara signora Schubert, l'onda d'urto dell'oscurità è sei volte più rapida della pallottola sparata da una pistola. Si muove alla velocità di alcune migliaia di metri al secondo e mi assale sempre alla stessa ora del mondo.
***
L'ILLUSIONE
Cara signora Schubert, un mio amico pittore ritiene che la vita sia un inganno. " Dipingo l'illusione, mi inducono in errore l'occhio e la contraffazione della luce. E anche la paura del talento e il raggiro del blu oltremare". Mi specchio da anni nel suo autoritratto, sfregandomi via dalle labbra un acquerello taciturno. Le risparmio la provenienza ambigua delle domande che non porrò.
***
COME VA
Cara signora Schubert, mi chiede come va. Niente di nuovo. I crimini sono diventati adulti : ormai sono autosufficienti. Lo stesso monologo del toro che va al patibolo. Gli stessi picadores con facce da bambino. Lo stesso boia, un bellimbusto disincantato, un toreador. La stessa euforia della rivoluzione, un grido armato fino ai denti, le esplosioni delle gole. La stessa stanchezza. L'umiliazione della fame, sotto il cui naso agitiamo un pasticcino rosa.