(...) Manovale vuol dire lavoro di mano - non di fino- ma fatto fino a sfiancarsi. Il manovale è lo zero della mano, la mano che irradia le dita, sembra un sole - in pugno , serrata, è la serra dell'ira. Mano che si dona, quella del manovale, che porta ad altri - è mano che serve, a servizio. La mano ha la bellezza di un viso, la sapienza di un cervello - a volte si muove, grumo di lucertole, altre ha ragione di radice. La poesia è manovalanza, lingua non specializzata, verbi come sementi, gettati nel giallo del futuro. Il manovale vive nell'anonimo dei santi, sembra che non serva ad alcuno. " Quando il poeta è grande e di sé dimentico, mette il nome sotto uno stuolo di stracci bagnati ".
Bisogna guardare nell'alcova dei dettagli, perché la poesia ha questa competenza nell'aggiustare le cose umili, alta all'umiliazione. Diario di un manovale è il libro di Thierry Metz più noto, pubblicato nel 1990 da Gallimard. Ora, per L' Edizione degli animali è stato tradotto ( 2020 ) da Andrea Ponso.
" Il manovale, il muratore, distrugge per edificare il nuovo che non sarà mai di sua proprietà : il suo nome non lascerà traccia. Proprio come accade per la poesia " scrive Ponso che è poeta e conosce la Bibbia ( Ha tradotto il Cant e il Qoelet ).
Vivere è qualcosa di terribilmente elementare : ogni mattina l'anima si sveglia nuda, e il lavoro, il dolore, la gente, l'assenza sono in piedi - con le braccia incrociate - ad attenderla con un duro sguardo esaminatore. Ma ogni sera, quando non è anestetizzato dalla fatica, Thierry Metz trascrive la parte respirabile delle ore attraversate. E quello che ci pareva un universo di banale mediocrità, si ritrova ad essere una meraviglia "
La vita di Thierry Metz - nato a Parigi il 10 Giugno 1956 - è scabra: non ha accoliti, non è accolto da una agorà di letterati ; lavora. E' fisicamente forte : è stato un talento nel sollevamento - pesi - la vita passa per l'equatore delle mani. A 32 anni pubblica il primo libro Sul la table inventée per il leggendario Jacques Brémond, ma la poesia non sana il maleficio di una sinuosa depressione, assatanata dall'alcol. In quello stesso anno, 1988, il figlio Vincent muore - a otto anni - travolto da un'auto. La ferita è come una cesoia, dolore come un tuono. Metz percorre la via di lavori saltuari e procede per perpetui ricoveri in ospedale. Nel 1995 pubblica per Gallimard Lettres à la bien aimée e nel 1997 L' Homme qui pence . Nello stesso anno, due mesi prima di compiere 41, anni si toglie la vita. (...)
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Il sole, la via. E poi: due o tre uomini, dei rabdomanti, forse. Non si sa.
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5 Agosto. Ho visto questo stamattina: un piccione morto su un mucchio di rovine.
E' segno di scrittura ciò che cade dall'albero.
Al manovale il gesto di raccoglierlo. Senza aspettare. Altrimenti come saprebbe che l'uccello dà forma alle sue mani? A quello che tocca ?
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Ancora due o tre file di mattoni. Poi si puliscono gli attrezzi. Si passano le mani sotto l'acqua, ci si asciuga il viso. La giornata è finita. Tutto rimane là, nel fuoco. Gesti e parole. Ognuno saluta e se ne va. Si potrebbero catturare come gli uccelli, gli uomini a quest'ora. Ma l'ala che ci porta è strattonata dal dio che ci fa segno - laggiù - sulla soglia : gli angeli del giorno.
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Mercoledi. Alba alle 4 :51. Tramonto alle 18: 57 . La gente è andata a lavorare, lasciando solamente i vecchi e i morti nel labirinto. Non c'è niente intorno, solo nuvole e molto vento. E sempre lo stesso rumore.
Non si può dire dove sia andata la gente. Non si può rispondere perché bisognerebbe chiedere all'uomo che ha sempre fame. Al fulcro di tutto.
Thierry Metz da Diario di un Manovale ( tratto da Pangea )
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