Ti lascio qui.
" In Tiresia la voce narrante procede rimontando i frammenti di un quadro frantumato, le schegge di un dire che si fa sempre più estenuante " scàpito " di fronte al peggio. In un'agghiacciante via crucis fra le vergogne e le catastrofi che hanno segnato gli ultimi anni della nostra storia, le pupille di un esausto Tiresia, ridotto a puro bisbiglio metallico del dolore, divengono la crepa, il canale per giungere ad uno sbigottimento tragico della parola. Il testo parte dalla frana che travolse nel luglio 2020 una baraccopoli di Manila, e qui la poesia, stretta tra mani e fiati ingolfati nella melma, si traduce in " impasto di macerie", per poi fissare le vittime dell'incendio di una fabbrica di bambole di Bangkok, gli esperimenti nucleari sulla popolazione inconsapevole, ( il cosiddetto Manhattan Project partito negli anni Quaranta ), il traffico degli organi fra Brasile e U.S.A, per chiudere il percorso, quasi a cerchio, tornando ancora sotto la terra, nelle fosse comuni che soffocano e stringono al silenzio, alla cancellazione il discorso autoritario, spietato che attraversa la nostra storia. Celanianamente, Mesa in quest'opera fonde la lingua nell'impasto dei corpi delle vittime, oltre il silenzio della loro testimonianza troncata, sepolta, cercando nel sibilo inesauribile e impercettibile delle loro voci l'alfabeto tragico che alimenta la sua scrittura, che muove il suo controdiscorso "
Alessandro Baldacci - Parola plurale
I
ORNITOMANZIA. LA DISCARICA . SITIO PANGAKO
vedi. vento col volo, dentro, delle folaghe.
vedi che vengono dal mare e non vi tornano,
che fanno stormo con gli storni neri, lungo il fiume.
guarda come si avventano sul cibo,
come lo sbranano, sbranandosi,
piroettando in aria.
senti come gli stride il becco, gli speroni,
che gridano, artigliando, facendo scaravento, in muta,
ascoltando la lunga parata di conquista, il tanfo,
senti che vola su dalla discarica, l'alveo,
dove c'è il rigagnolo del fiume,
l'impasto di macerie,
dove c'è la casa dei dormienti.
che sognano di fare muta in ali
casa dei renitenti, repellenti,
ricovero al rigetto, nutrimento, a loro,
scaraventati lì chissà da dove,
nel letame, nel loro lete, lenti,
a fare nicchia della terra nuova,
gomitoli di cenci, bipedi scarabei
che volano su in alto, a spicchi,
quando dall'alto arriva un'altra fame.
prova a guardare, prova a coprirti gli occhi.
***
II
PIROMANZIA . LE BAMBOLE DI BANGKOK
fumo. nugoli, sciami di gusci neri,
bruciano le mandorle degli occhi, le falene,
le dita piccole e incallite, le mani stanche, stanche.
bruciano, scarnite, a levigare guance,
i gusci gonfi delle palpebre
che si richiuderanno.
fumo portato via, che trascolora,
che porta via le guance, paffute, delle bambole,
le anche dondolanti, a fare il movimento di ripetere,
in altalena, in bilico di piede, che lenisce,
gioco che non finisce mai,
che non arriva mai,
tempo di ricordare, dopo,
di ritornare dove si era stati.
a fare il gioco del silenzio,
nel preparare doni, meraviglie, a milioni,
passate per le mani una ad una,
per farli scintillare, gli occhi stanchi,
tenerli aperti, sempre,
e quando arriva il fuoco, che sfavilla,
ecco, giocare a correr via,
gridando, ad occhi chiusi.
tu, se sai dire, dillo, dillo a qualcuno.
***
IV ONIROMANZIA
concave, ad accogliere, acqua di pioggia,
fitta, scura di polvere, e piume, albume,
lucidi, quei filamenti rossi, luci che sono lampi,
fanno tremare forte, l'acqua, nelle conche,
che sono mani semichiuse,
sono molluschi, muschio,
resina che brilla lucida,
dura, chiudendo le fessure.
sai. c'è solo il cavo, l'incavo, la conca.
non hai scavato tu, con le tue mani,
che tremolano morbide nel sonno, pingui,
né lui, da cui ricevi luce, e tu non sai
con quali arnesi, docili,
si fa la chirurgia.
con le sue tibie piccole, a condurmi,
titubante, che sento l'odore del tramonto,
le luci che si addensano, s'incrostano,
la stessa resina che cuoce nel tuo sonno,
gli stessi grumi che si ghiacciano,
dopo i rasoi, i forcipi, quel lento lampo,
scuro, che lo inscuriva, muto,
immobile, portandolo con sé.
la luce, questa luce, non sarà mai la tua.
***
EPILOGO
ti lascio qui
con queste nubi cariche di pioggia
striate da un bagliore
che ti risveglierà, anche domani,
quando avrai più ricordi
da pensare.
vado
nella penombra che rimane,
dove ritorno, adesso,
adesso che potrà ricominciare,
che potrei,
adesso c'è soltanto il desiderio:
lasciare, lasciare intatto
questo momento prima del dolore,
quando il dolore
è diventato nenia di conforto
e poi silenzio,
questo silenzio che sentiamo insieme,
adesso - è adesso che sappiamo,
in questo momento che divide
ti lascio qui.
Giuliano Mesa da Tiresia
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