S' avanzano giorni più duri...
S' avanzano giorni più duri...
AUTORITRATTO
Un perenne sognare
colmo d'un tracimare dolcissimo di vita
incessante, con paurosi dolori dentro l'anima.
Divampa, brucia, sviluppandosi a conflitto -
spasmo del cuore.
Ponderare - follemente vivo di voglia eccitata.
Insensato è il torrente del pensare,
impotente a porgere pensieri.
Parli la lingua del creatore ed offra!
Demoni ! rompete questa furia !
La vostra lingua - i vostri segni - il vostro potere.
***
SCHIZZO PER UN AUTORITRATTO
In me scorre antico sangue tedesco e spesso sento in me la natura degli avi. Pronipote del consigliere di giustizia Friedrich Karl Schiele, sono nato il 12 giugno 1890 a Tulin sul Danubio, da padre viennese e madre di Krumau. Da paesaggi pianeggianti con viali primaverili e da furiose tempeste ho assorbito le impressioni dell'infanzia che si perpetuano nell'immaginario . In quei primi giorni era come se già sentissi o odorassi i fiori prodigiosi, i giardini muti, gli uccelli nei cui occhi lucenti mi vedevo rispecchiato in sfumature rosa. Spesso mi si inumidivano gli occhi all'arrivo dell'autunno. Quand'era primavera sognavo la musica universale della vita, poi mi rallegravo della splendida estate e ridevo, immaginando il bianco inverno nel suo pieno fulgore. Fino ad allora vissi felice, in una felicità mutevole, ora serena ora malinconica, poi iniziarono i giorni del dovere e le scuole senza vita. Giunsi in città sconfinate che sembravano morte e mi compiansi. In quel tempo assistetti alla morte di mio padre. I miei rozzi insegnanti mi furono sempre nemici. Loro - e gli altri - non mi capivano. Il senso più alto è quello della religione e dell'arte.La natura è funzione, ma Dio è là, e io lo sento intensamente, con la massima intensità. Credo che non esista un'arte " moderna", che non conosce interruzioni.
***
AUTORITRATTO
Io sono ogni cosa allo stesso tempo, ma non farò mai ogni cosa nello stesso tempo.
***
Io esisto per me e per coloro ai quali l'inestinguibile sete di libertà che ho in me dona tutto, ed esisto anche per tutti, perché amo - anch'io amo - tutti. Sono il più nobile tra gli spiriti nobili - e quello che più ricambia tra chi ricambia. Sono un essere umano, amo la morte e amo la vita.
***
Un eterno sognare colmo dei più dolci eccessi dell'esistenza - irrequieto - con travagli angosciosi, dentro, nell'anima. Divampa, brucia, si accresce dopo la lotta, spasimo del cuore. Ponderare - e la folle esuberanza con eccitato piacere -. Impotente è il rovello del pensiero, inutile giungere all'ispirazione. Parlo la lingua del creatore e offro. Demoni! Spezzate la violenza!
La vostra lingua - il vostro segno - il vostro potere.
***
Lassù sulla terra che stormisce circondata da ampi boschi, cammina lentamente alto e bianco l'uomo entro un vapore azzurro sempre fiutando i bianchi venti del bosco. Attraverso la terra che sa di cantina e ride e piange.
Egon Schiele da Io, eterno fanciullo e Ritratto d'artista
Cammina come un uccello su ghiaccio...
LA TUA STRADA
Nessuno ha segnato la strada
che tu devi percorrere
verso l'ignoto,
verso l'incerto.
Questa è la tua strada.
Solo tu
puoi percorrerla. E non
puoi tornare indietro.
E non segni la strada
nemmeno tu.
E il vento cancella le tue impronte
sulla montagna deserta.
***
IN BARCA
Il mare rumoreggia nel buio.
Uscire in barca ora?
Impossibile.
Sì, proprio ora.
La notte si apre, fa spazio.
Il cielo alza un muro a Occidente.
La luna si mostra luminosa -
ora deve accadere.
***
CANTO, CAMMINA ADAGIO SUL MIO CUORE
Canto, cammina adagio sul mio cuore,
cammina adagio come erica sull'acquitrino,
come un uccello su ghiaccio vecchio di una notte.
Se spezzi la crosta del dolore,
annegherai, canto.
***
LA FALCE
Sono tanto vecchio
da non lasciare la falce.
Canta sommessa nell'erba,
e i pensieri possono correre.
Non fa nemmeno male
- dice l'erba - cadere sotto la falce.
***
NON DARMI TUTTA LA VERITA'
Non darmi tutta la verità,
non darmi il mare per la mia sete,
non darmi il cielo, quando chiedo la luce,
dammi un riflesso, rugiada, pulviscolo,
come gli uccelli portano gocce d'acqua
e il vento un granello di sale.
Olav H. Hauge Traduzione di Fulvio Ferrari
XVIII
Dovrei paragonarti a un giorno d'estate?
Tu sei ben più raggiante e mite:
venti furiosi scuotono le tenere gemme di maggio
e il corso dell'estate ha vita troppo breve :
talvolta troppo cocente splende l'occhio del cielo
e spesso il suo volto d'oro si rabbuia
e ogni bello a volte da beltà si stacca
spoglio dal caso o dal mutevol corso di natura.
Ma la tua eterna estate non dovrà sfiorire
né perdere possesso del bello che tu hai;
né morte vantarsi che vaghi nella sua ombra,
perché al tempo contrasterai la tua eternità :
finché ci sarà un respiro od occhi per vedere
questi versi avranno luce e ti daranno vita.
William Shakespeare da I Sonetti
ERAT HORA
" Grazie, qualunque cosa avvenga". E volta,
come su fiori penduli la luce
sfiorisce quando il vento li solleva,
se ne andava da me. Qualunque cosa
avvenga, un'ora fu piena di sole
e nulla un dio di meglio può vantare
d'avere atteso che quell'ora passi.
Ezra Pound da Personae, Opere scelte
Mondo, esisti buonamente...
AL MONDO
Mondo, sii, e buono;
esisti buonamente,
fa' che, cerca di, tendi a, dimmi tutto,
ed ecco che io ribaltavo eludevo
e ogni inclusione era fattiva
non meno che ogni esclusione;
su bravo, esisti,
non accartocciarti in te stesso in me stesso.
Io pensavo che il mondo così concepito
con questo super- cadere super- morire
il mondo così fatturato
fosse soltanto un io male sbozzolato
fossi io indigesto male fantasticante
male fantasticato mal pagato
e non tu, bello, non tu " santo" e " santificato"
un po' più in là, da lato, da lato.
Fa' di ( ex - de - ob - etc ) - sistere
e oltre tutte le preposizioni note e ignote,
abbi qualche chance,
fa' buonamente un po':
il congegno abbia gioco.
Su, bello, su.
Andrea Zanzotto da La beltà
I grandi cambiamenti spesso sono solo cambi di indirizzo..
Calmati o il cuore ti scoppierà e non è metafora
poetica ma proprio sordo tonfo d'organo
risposta che travalica
domanda e nel vuoto degli occhi
si schianta
ora scrivi come hai sempre fatto
e non scherzare più col fuoco
della vita
o in una di queste mattine la piccola
storia sgangherata e per sempre
pronta a rimangiarsi il cielo
finirà tra lo strepito del condominio
non come si chiude un volo
ma come un colpo di tosse
calmati e scrivi : fallo anche ora
in mezzo ai capelli bianchi
fallo come quando eri ragazzo
col terrore negli occhi
fallo anche solo per non crepare
non si tratta più di conoscere
si tratta ora nel pericolo
grande solo di portare a casa
la pelle: non c'è niente in questo
di cui ti devi vergognare : è così
e basta.
e ora che la voce si alza riesci
perfino a vedere nella finestra
di fronte l'onda del mondo
che s'appiana in risacca di pietra
e metallo: senza prodigio non vai
da nessuna parte ché quello
che non ti fu dato all'inizio
non cesserà mai di mancare
e lo hai sempre saputo di andare
storto nel mondo come uno
che anche correndo lo fa
con una corda al collo : ora
non dare strappi : fa' colazione
fatti la barba siediti pure
ma fallo lentamente senza la stretta
non è colpa di nessuno se la voce
che ti dai è la sola che in piedi ti tiene.
***
ora ti tocca prendere
questo dolore rancido
e portartelo ovunque
con te: puzza, certo,
come ogni cosa che viva
è andata a male senza
per questo sparire
ma non hai scelta:
è roba umana comunque
pensa che ognuno c'ha
qualcosa nascosta
del genere da qualche parte
e come te è fresco
di scoperte o peggio
morirà senza averlo mai
saputo
e pensa anche che all'aria
il sapore rancido
si seccherà
e un bel giorno per via
farai finta che quella
muta non ti appartiene:
tirerai dritto
come se il verme
fosse di un altro
quello che ti tocca
ora
è tenerti una tristezza
in più
come ad un certo punto
uno accetta gli anni
che ha
e si sente la faccia
più calda e pesante
come se appunto
fosse passato del tempo
a dispetto delle ridicole
mosse che faceva
per restare in quella buca
dove una volta
era caduto
ora lo sai che se non esci
è perché hai imparato
a giocare
non importa con che
pur di restare:
hai fatto il morto
insomma
per non morire
e adesso che sei fuori
a metà
senti come normalmente
il mondo sia lontano
ed è giusto così:
ognuno parla davvero
se lo fa
dal chiodo
che un bel giorno
l'ha fissato
altrimenti è tanto per fare
altrimenti è il solito teatro.
***
certo, noi fummo ragionevoli
e non insistemmo più di tanto
ci tenemmo per noi
con l'alibi dell'arte
quest'eccedenza
di psiche - provammo
terrorizzati ad esorcizzarla
facendone bieco
commercio -
ma quella folla è infinitamente
più grande di noi
e oggi
nel meriggio della vita
siamo costretti ad ascoltarla
perché il bene non di dà
come intenzione buona
ma come una pura
possibilità di questa sofferenza
e di questa
agnizione
da giovani si cerca fuori
e si convince
o costringe
il mondo a seguirci
questo ovviamente non è vero
ma per un po' ci crediamo
e in quel po' di tempo sembra
che le cose confermino
le nostre attese : un quartiere
diventa tutta una città
una città diventa tutto il paese
un paese diventa il mondo
ed era solo un'idea o una fantasia
cresciute a dismisura
dove di reale c'erano solo
le disfatte che avremmo poi dopo
inseguite come spie di nascoste
verità : solo
che le disfatte come le vittorie
non contavano molto che contava
solo il nostro sentirci vivi
e di ciò soprattutto facemmo
esperienza
ma una volta sicuri
della vita
cominciò a contare la direzione
( della nostra vita )
e quindi ricominciammo
dalla fine : cose
e spettri si equivalgono per la vita
della mente
e la vita di fuori
( quella che resta
sottratta allo sterminio
della storia )
è ridotta a ben poca cosa :
i grandi cambiamenti
sono spesso solo cambi di indirizzo
o di modi di vestire.
Biagio Cepollaro da Lavoro da fare
Tenere ultima con sé quest'amicizia per onde senza mare...
" Ho sempre vissuto la poesia di Nanni Cagnone come un immenso lavoro di traghettamento dal silenzio alla parola. Ovviamente sarebbe troppo facile e profondamente ingiusto ritagliare il suo sforzo all'interno dell'asola pur prestigiosa dei poeti orfici. Ciò che lo distingue è l'aurea di un radicale dubbio rispetto a qualsiasi ottimismo riguardante l'estrazione del verbo dall'irrapresentato. Non c'è mai la gioia della conquista del ritratto, di sé o del senso, che accompagna la scrittura. Questa - anzi - è un atto sorvegliatissimo e di estrema deferenza. In Cagnone la relazione parola / silenzio è biunivoca. Si può passare dal silenzio alla parola, ma anche viceversa, con un gesto di pacificazione e di definitiva delusione nei confronti dell' esprimibilità ".
L' errore di fiorire - Paolo Aita
Giorni anneriti
e segnature d'infanzia.
Infine, questa stanza
oscuramente formata,
e oscura.
Anzi che il libro intero,
la stanca esultanza
dei frammenti.
Sì - dormiente
di sonno leggero, nome
senza testimoni che,
nel gonfiore del presente,
nel mai superato prologo,
qui, a costruire rovine.
***
Quando i nomi
ci fanno divergenti,
nomi che irretiscono
anche i morti,
ricorda il consiglio
dei colori cangianti,
piccole febbri
di chiaroscuro
che non scalfivano,
a cui bastò la gloria
d'infanzie a bocca aperta,
e quel sonnolento
andarevenire
entro invincibili metafore,
chiuse al tempo,
senza rovine.
***
Investiture di stanchezza
- un altro privilegio
da non spartire - mentre
si chiude alla costa
una marea, e tu
- sgomento esempio -
pensi agli invisibili
( oh il lamentato spreco,
il lacero saluto ),
pensi con sforzo
all'utilità del vuoto.
Tenere ultima con sé
quest'amicizia
per onde senza mare.
***
Sta fermo al diverso,
mentre tutto trabocca
spezza l'orlo.
E nuvole senza seme,
offuscate come
l'amico dello sposo
le vorrebbe, il solitario
ricordare - come
si sta attenti, nel sonno,
screpolati illesi
nell'incompiuto
torbido grembo.
***
Fine del mutevole.
Roveti di fiori. Abbàssati
finché l'argilla manda odore.
Non resta che la terra,
il polveroso promemoria,
il gelo il calco l'arsura.
Fossimo tra i primi,
macchiati da spavento,
la sapremmo dura sindone
di un'insaziata parte
del cielo.
Nanni Cagnone da Index vacuus ( non ancora edito in Italia ). Tratto da Poesia Italiana, Collana Inediti - B. Cepollaro .
Ti lascio qui.
" In Tiresia la voce narrante procede rimontando i frammenti di un quadro frantumato, le schegge di un dire che si fa sempre più estenuante " scàpito " di fronte al peggio. In un'agghiacciante via crucis fra le vergogne e le catastrofi che hanno segnato gli ultimi anni della nostra storia, le pupille di un esausto Tiresia, ridotto a puro bisbiglio metallico del dolore, divengono la crepa, il canale per giungere ad uno sbigottimento tragico della parola. Il testo parte dalla frana che travolse nel luglio 2020 una baraccopoli di Manila, e qui la poesia, stretta tra mani e fiati ingolfati nella melma, si traduce in " impasto di macerie", per poi fissare le vittime dell'incendio di una fabbrica di bambole di Bangkok, gli esperimenti nucleari sulla popolazione inconsapevole, ( il cosiddetto Manhattan Project partito negli anni Quaranta ), il traffico degli organi fra Brasile e U.S.A, per chiudere il percorso, quasi a cerchio, tornando ancora sotto la terra, nelle fosse comuni che soffocano e stringono al silenzio, alla cancellazione il discorso autoritario, spietato che attraversa la nostra storia. Celanianamente, Mesa in quest'opera fonde la lingua nell'impasto dei corpi delle vittime, oltre il silenzio della loro testimonianza troncata, sepolta, cercando nel sibilo inesauribile e impercettibile delle loro voci l'alfabeto tragico che alimenta la sua scrittura, che muove il suo controdiscorso "
Alessandro Baldacci - Parola plurale
I
ORNITOMANZIA. LA DISCARICA . SITIO PANGAKO
vedi. vento col volo, dentro, delle folaghe.
vedi che vengono dal mare e non vi tornano,
che fanno stormo con gli storni neri, lungo il fiume.
guarda come si avventano sul cibo,
come lo sbranano, sbranandosi,
piroettando in aria.
senti come gli stride il becco, gli speroni,
che gridano, artigliando, facendo scaravento, in muta,
ascoltando la lunga parata di conquista, il tanfo,
senti che vola su dalla discarica, l'alveo,
dove c'è il rigagnolo del fiume,
l'impasto di macerie,
dove c'è la casa dei dormienti.
che sognano di fare muta in ali
casa dei renitenti, repellenti,
ricovero al rigetto, nutrimento, a loro,
scaraventati lì chissà da dove,
nel letame, nel loro lete, lenti,
a fare nicchia della terra nuova,
gomitoli di cenci, bipedi scarabei
che volano su in alto, a spicchi,
quando dall'alto arriva un'altra fame.
prova a guardare, prova a coprirti gli occhi.
***
II
PIROMANZIA . LE BAMBOLE DI BANGKOK
fumo. nugoli, sciami di gusci neri,
bruciano le mandorle degli occhi, le falene,
le dita piccole e incallite, le mani stanche, stanche.
bruciano, scarnite, a levigare guance,
i gusci gonfi delle palpebre
che si richiuderanno.
fumo portato via, che trascolora,
che porta via le guance, paffute, delle bambole,
le anche dondolanti, a fare il movimento di ripetere,
in altalena, in bilico di piede, che lenisce,
gioco che non finisce mai,
che non arriva mai,
tempo di ricordare, dopo,
di ritornare dove si era stati.
a fare il gioco del silenzio,
nel preparare doni, meraviglie, a milioni,
passate per le mani una ad una,
per farli scintillare, gli occhi stanchi,
tenerli aperti, sempre,
e quando arriva il fuoco, che sfavilla,
ecco, giocare a correr via,
gridando, ad occhi chiusi.
tu, se sai dire, dillo, dillo a qualcuno.
***
IV ONIROMANZIA
concave, ad accogliere, acqua di pioggia,
fitta, scura di polvere, e piume, albume,
lucidi, quei filamenti rossi, luci che sono lampi,
fanno tremare forte, l'acqua, nelle conche,
che sono mani semichiuse,
sono molluschi, muschio,
resina che brilla lucida,
dura, chiudendo le fessure.
sai. c'è solo il cavo, l'incavo, la conca.
non hai scavato tu, con le tue mani,
che tremolano morbide nel sonno, pingui,
né lui, da cui ricevi luce, e tu non sai
con quali arnesi, docili,
si fa la chirurgia.
con le sue tibie piccole, a condurmi,
titubante, che sento l'odore del tramonto,
le luci che si addensano, s'incrostano,
la stessa resina che cuoce nel tuo sonno,
gli stessi grumi che si ghiacciano,
dopo i rasoi, i forcipi, quel lento lampo,
scuro, che lo inscuriva, muto,
immobile, portandolo con sé.
la luce, questa luce, non sarà mai la tua.
***
EPILOGO
ti lascio qui
con queste nubi cariche di pioggia
striate da un bagliore
che ti risveglierà, anche domani,
quando avrai più ricordi
da pensare.
vado
nella penombra che rimane,
dove ritorno, adesso,
adesso che potrà ricominciare,
che potrei,
adesso c'è soltanto il desiderio:
lasciare, lasciare intatto
questo momento prima del dolore,
quando il dolore
è diventato nenia di conforto
e poi silenzio,
questo silenzio che sentiamo insieme,
adesso - è adesso che sappiamo,
in questo momento che divide
ti lascio qui.
Giuliano Mesa da Tiresia
Sono cresciuti insieme a te i miei capelli,
io meno. Ancora sono tentata dallo svanire
se ogni giorno scavo un lembo di pensiero
e mi riduco a un liquido vischioso, irriflessivo,
che non lascio bere a nessuno. Potremmo
davvero esserci tutti senza nient'altro
- solo nutrirsi ogni tanto - umane necessità.
Cosa riempirebbe allora le coscienze,
quale commento, quante penose idee.
***
Come scende la vita queste scale
come si sottrae all'incontro, come
affonda dentro la ferita cava, pulsante
quando terminato il giorno guaisce
il cane disperato col seme in eccesso.
Vorrei che fossi tu, vorrei
che nulla restasse inviolato,
bere quanto trabocca, e infine
ubriachi, prossimi alla partenza
con le code che salutano e le lingue
asciutte, noi educati viaggiatori noi
bestie turbate, incontaminate.
***
Era reale sovrapporre l'andata al ritorno,
cambiare loro il nome, mutarne l'emozione
in cosa nuova, una barricata tenuta alta
dalle piccole povere mancanze
che non so evitare. Mi muovo assistendo
ad uno spettacolo che mi inquieta,
saturo tessuti troppo tesi per non lacerarsi :
lo faccio per capire se davvero
un momento è uguale a un altro, se
si può uscire dal guscio molle dei mesi,
masticandolo fino a saziarsi. Intanto
ti guardo fare gesti banali, rincorrere
la gioia, carezzare la bellezza, inchinarti
al suo idolo sfuggente : non so decidere
un amore, un dolore a te destinato :io
cerco solo una recinzione, un pascolo
sterminato, un istante terminale in cui
capire tutto prima di sparire.
***
Quando avremo terminato di contare
le partenze saremo come formiche
in processione, così superbe piccole
da una tana all'altra continuamente in esilio :
da qui ti scriverò un milione di lettere,
chiederò cosa portarti per farti contento,
perché sul tuo grembo mi spoglio
sognando l'infanzia, riallaccio la vena
fermandone ai tralci il sostegno,
ne impedisco l'uscita dal suo stato di grazia.
***
Possiamo ancora scegliere come invecchiare,
non c'è motivo di pensare ad altro : dove essere
quando il cielo si farà nero, con quale spugna
sfregarci le cosce, con quale punteruolo
profanare la ferita. Allora saprò dirti quanto
bene ho avuto per te, anima incredibile, per cui
ho lasciato sul tavolo le carte schiantando
la sedia, rinunciando all'inganno del gioco.
***
Coi muscoli rotti dall'umido passo
trasciniamo le settimane, pronunciamo
distintamente tre parole sole. Essere
stanco significa soffocare dentro a un letto,
spendere meno sangue possibile per non
replicare il dolore: in questo modo
non ricrescono le voglie, si eradicano
tutti i contagi e in me non resta
che il deserto asettico dove ci siamo
contaminati, in cui siamo stati lasciati.
***
Ormai non interessa più a nessuno
questa commedia, la ripetizione
dei singhiozzi, la filastrocca noiosa,
lo spreco di immagini, cibo, acqua :
non fa differenza mettere all'angolo
il nemico oppure salvarlo.
Ogni nostro gesto è messaggio
rigato sul vetro, corrotto.
***
Perdonami, sai com'è vivere quando
ti lanciano addosso le cose, una sola
adiacenza pagata, con questo spasmo sintetico
assorbito da carta che si scioglie,
che si mangia, che si digerisce come
un frutto appena colto nella nebbia
di un giardino
tu quale scegli
io sono preda dell'interruzione, per me
impiccata al ramo orientale sorretta
la sola impronta indelebile
commestibile era la tua.
Eleonora Rimolo da La terra originale
I CIECHI CONOSCONO I CIELI
I ciechi conoscono i cieli
e spesso hanno un loro concetto
degli arcobaleni.
Più di tutto sono esperti di spazi immensi
e di giorno vanno di notte nei deserti.
Ci vuole immaginazione
per credere nelle rose
ci vuole un bel po' d'esperienza
per setacciare la realtà dall'apparenza.
A volte un cieco giovane
ritorna un cieco vecchio
ma ho visto ciechi che hanno visto ciechi
che hanno visto ciechi
che hanno visto se stessi allo specchio.
***
MI SONO AFFACCIATO ALLO SPECCHIO DI UN ALTRO
Mi sono affacciato allo specchio di un altro
dev'essere un tipo sveglio
un uomo scaltro
capace di nascondere le ombre
lo sguardo impenetrabile a ogni emozione
assente impermeabile neutrale.
Eppure so che dentro
gli stanno sgozzando un maiale.
***
OGGI HO PIANTATO UN SASSO
Oggi ho piantato un sasso
innaffiandolo e parlandogli
dandogli semi e cercando
il terreno adatto.
Il mio sogno è che cresca come
un Partenone.
Oggi ho piantato in asso
un fiore per un sasso.
***
HO FATTO TESTAMENTO IN MIO FAVORE
Sono a centoventi testamenti
ammetto che amo lasciarmi
oggetti sempre più importanti.
La cosa più bella è toglierli agli altri.
Quando il notaio leggerà
le mie ultime volontà
vorrei che ci fossero presenti
parenti amici e conoscenti
e a ognuno di loro lasciare
il niente che mi accingo a diventare.
***
STO DIVENTANDO ME STESSO
Sto diventando me stesso
non ho bisogno di uno specchio per saperlo
sta accadendo proprio adesso
e non c'entra come mi sento.
Tra poco sarò un sasso
immobile e incapace
di fare un solo passo.
Non mi aspettare più in là
o domani
non dirmi di stringere
o aprire la mano
o stropicciare gli occhi
davanti al mare immenso
perché sto diventando me stesso.
Simone Consorti da Nell'antro del misantropo
IL VIAGGIO
E' un viaggio andarsene lungo le spiagge
strette dal sonno
coi piedi nudi che incespicano, sotto muraglie
di un tempo che non si misura.
Cerco un altrove dove incontrare folle
randagie di ignoti e, nella folla, volti
da tanto perduti:
in quale gesto fermarli, per quale parola?
Pure nel cuore batte ancora l'attesa.
E case d'ombra e stanze mai abitate
e mutazioni improvvise e tetre minacce,
sordi silenzi gridano un nome, che nome?
Forse un altrove, ma troppo simile al giorno :
a quell'andare stretto, abusato, inconcluso.
Elio Pecora da Forse un altrove. Ipotesi di viaggio dentro la poesia
Ci sono stati giorni in cui la gioia era un vento fresco, lieve...
Ci sono stati giorni
in cui forse la gioia
non era più di uno stordimento,
un vento fresco, lieve,
niente altro chiamava, valeva,
solo quel vento.
***
Sceglie le parole come un tubero o un seme da interrare
e sa che da questi verrà fuori un frutto, un fiore,
una foglia minuscola. Sa pure
che la parola non è più di un cenno, un avvio
per un altrove nemmeno ancora intravisto.
***
Un altro tempo corre in questo tempo
che contiamo a minuti :
è l'ansa dove il sogno della mente
non conosce durata,
la parola che tenta se stessa
esatta, svelata.
***
Tutti qui i paradisi e gli inferni, così da non avere più
ascendere o discendere. Di quel che chiamiamo
" felicità frammentaria" godiamo ignari - sempre
perdura nel desiderio. Nella parte infernale
mai beghe di diavoli o gironi roventi,
solo ansia e sconforto, " dolore frammentario".
***
" C'è stato un tempo in cui sono stato felice"
si dice l'uomo che non riesce a dormire,
ma cerca invano nella memoria confusa
anche una sola scaglia di luce;
eppure sa che gli è toccato quel bene
se ne conserva ancora il forte richiamo.
Di quali ragioni s'intesse il desiderio
se di continuo si mostra a dismisura !
Elio Pecora da Rifrazioni