venerdì 27 maggio 2022

VERONIKA : LA SLOVENA IN POESIA

 


                                                            Rembrandt  -  Autoritratto





REMBRANDT VAN RIJN, AUTORITRATTO 1669


La fronte nuda è la parte più chiara del dipinto.

Lo sguardo è come affaticato, laconico,

il  berretto e i grigi capelli scompaiono nel buio dello sfondo -

il maestro è vecchio, la moglie e i figli sono morti,

gli averi venuti meno, i preziosi dipinti

venduti per poter pagare i creditori.

Di lui parlano al passato,

gli ordini sono pochi, sempre più

sono presenti i marroni e i grigi.

Anche se il maestro sa che è tutto

allo stesso modo instabile e irreale,

continua a sentire il dolore e la disillusione.

La sua esistenza si è fatta piccola,

l'ampiezza del braccio e dei pensieri si è fatta più corta, non può

fare altro che dei piccoli passi.

Tratto dopo tratto. Spesso senza un fine,

senza senso. Quando si ferma, per un attimo fissa

se stesso, i suoi volti dipinti -

da qualche parte nel fondo degli occhi trova

un mite e - malgrado l'amarezza - indulgente 

sorriso? L'arte è questo :

non offuscare gli occhi, piuttosto,

in mezzo al buio, ritrarre

l'inattesa sorgente di luce.



                                         ***


SASKIA


Ritrarre quella donna, la moglie,

la sua soffice pelle, il suo odore

prima che si lavi dopo una giornata faticosa,

come irradia calore da ogni movimento,

dove le parti del corpo si attaccano fra loro.

Il modo in cui si annoda i capelli,

come ogni tanto le scappa un ricciolo, come

sorride. Come le tremola

il petto dal riso, come quando fa l'amore e come dopo.

Come mentre dorme non si accorge che abbozzi i suoi segni

sui cuscini, le sue rughe, tutti i momenti

di una piccola esistenza raccolti

nel bacio fugace di un raggio di luce sulla pelle.

Le tracce dei bambini partoriti sul suo ventre,

e di quelli non partoriti e presi troppo presto da Dio

negli angoli della sua bocca e degli occhi,

nel taglio, nel modo in cui distoglie lo sguardo

un attimo prima dell'alba, o quando di nuovo finisce il giorno

e la tristezza ha la fredda, infrangibile lucentezza dell'acciaio.

Ritrarre ciò che ti sta davanti, anche lei

che non ti ha ancora lasciato. Finché morte non vi separi.

Comprendi ciò che serve? Attraverso ciò che hai,

attraverso il volgarmente nudo carattere descrittivo,

esalti tua moglie, esalti la destrezza delle sue mani

e la luce. Esalti anche l'oscurità e le ombre,

per esse la tela diventa un dipinto.

Per esse il tempo diventa vita.

Ciascuna ora e movimento del pennello sono solo in prestito,

appartengono al signore della luce e dell'ombra,

alle cose visibili e invisibili.

Giusto è che a ogni ora del giorno

senza posa prendi in mano il lapis

e con una rete di linee che aumentano sulla carta

testimoni la luce oltre il tempo,

le figure al di qua delle ombre.



                                    ***


LEA, FIGLIA DI LABANO


La guardo mentre mi dorme accanto.

Non conto le pecore per dormire,

desto per l'esaurimento.

Sette mesi e sette anni.

Migliaia di occhi di pecora,

mucchi di lana bianca e pezzata.

Di me ha fatto un uomo.

Non parlo del corpo,

seppure conti anche

che ti accolga in un abbraccio.

Né tuo padre né tua madre ti insegnano

a pretendere te stesso per te.

Prendere per te un pezzo di mondo,

invocare con la mano : E' mio!

Chinare il capo e sfaticare ancora,

mentre il desiderio si prende una parte della tua libertà.

Perché impari a dire sì oppure no

e tenere fede alla tua parola.

Essere uomo. Amare il proprio lavoro. La propria moglie.

A volte soppesare la vita e la morte.

La casa e i doveri.

Quando sono disteso e conto le mie benedizioni,

le pongo la mano sulla spalla.

Non c'è  stato tempo per spartire

il cuore con qualcun altro.

Dicono che la voce interiore, se

non l'ascolti, zittisce. 

Non rimpiango le ore né i giorni

accanto a lei. Domani

mi sposerò con Rachele.



                                      ***


CHE TEMPI SONO MAI QUESTI


La vulnerabilità si trasferisce negli

ospedali nei confessionali nelle stanze da letto.


Ha bisogno della vicinanza della morte,

dell'impotenza o almeno di una saltuaria perdita di dignità.


Ha bisogno dell'increscioso silenzio di un'intimità imposta,

ebbrezza o sostanze stupefacenti, affinché


le parole le sfuggano

e come un tagliacarte


squarcino 

il ventre del trantran quotidiano


e salvino ciò

grazie al quale la vita sembra vera.




                    Veronika   Dintinjana   Trad. di Michele Obit




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