Sono stato un bambino insonne.
All'inizio era tutto catturare il momento
dello sprofondo, quando l'io vigile
si dissolve e subentra quell'altro che sogna
e sa che dorme.
Non è stato facile
rinunciare a un gioco dove pareva possibile
soffermarsi sulla soglia del perdere sé
e sorprendere - nella notte,
nel buio della mente, afferrando - l'istante
la chioma già sua di cometa già dentro il niente.
Tra me e me lo chiamavo il scappamorte.
E' stato l'altro, poi, a sorprendere me :
da un sogno dove l'avevo lasciato all'alba
senza più ricordarmi,
mi ha svegliato mentre mi stavo perdendo
dentro le solite cose
che perdono tutti ogni giorno.
***
Ti stai attardando e lo sai nelle stanze del sonno
dove il gufo e la donnola parlottano quieti
nello specchio che versa il liquore degli anni
sul pavimento: hai avuto paura, ma ora il tuo corpo
galleggia nel tempo, c'è il platano nel cortile
della scuola, il trattore, prendi il tuo posto
nella foto con la maglia a righe.
Ancora un minuto un minuto.
Ti riconosce una fuga di echi.
La proroga tra l'essere
chiunque e il diventare te stesso
dura l'incalcolabile.
***
Passi dall'altro mondo, ti lasci per sempre ore.
Non solo quando dormi
altri luoghi altri giorni abitano
la coscienza che forma il tempo
e ti ci immerge illudendo
che sei tu quell'assenza
che separa l'istante dentro l'istante,
e dubita della veglia, esposto nel corpo
sei tu che sprofondi nel sonno
e un nuovo abisso è il risveglio.
Chi è che pretende adesso
di essere te, attraversa
la soglia, chi è che sa cosa aspetta
in questa piega del buio, alle tre
di mattina, quando ha paura e non sa
se per la certezza dell'alba, oppure se più non verrà ?
***
Tutto questo tempo accumulato nelle facce
nelle pance alla base del collo sulle macchie
sui dorsi delle mani che ne facciamo
di tutto questo tempo che non mente
né ci lascia un istante mentre tenera
come un'amante che s'addormenta parlando
la mente investe le età come un vento
che ora è quieto e ora svelle ogni erba
o sospinge le nuvole nella solitudine.
***
Tornato dal sogno, una tristezza leggera
e silenziosa come il sorriso di una madre
accarezzava le immagini andate
dove avevi nel sonno perduto un giorno.
Un intero giorno non passato o futuro ma il giorno
che stavi vivendo si andava perdendo
e tu afferravi ( il tempo? ) e gridavi ( a chi
gridavi? ) di stare qui non portarti dentro
quel quieto niente. Un giorno intero
svaniva e - nel sogno - niente di vita
potevi tenere e gridavi ( che cosa ? ).
Piangevi ( per chi? ) mentre non era vero
ma crederlo faceva male uguale
a non credere in nulla ( inutile piangere, gridare )
Gian Mario Villalta da Il scappamorte
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