lunedì 29 gennaio 2018

LA MALINCONIA DI SOREN 1

 
 
 
Soren  Kierkegaard
 
 
(...) A Copenhagen " in questo angolo di cornacchie, questo covo
      della prostituzione borghese, in questa città dove non si può
      vivere felici se non a patto di essere una nullità " nasce, il 5
      Maggio 1813 Soren Kierkegaard.
      A ventiquattro anni conosce Regine Olsen,figlia quattordicenne
      di un influente consigliere di Stato, ragazza di bell'aspetto e di
      buon carattere, con la quale Soren si fidanzerà nel 1840, due
      anni dopo la morte del padre. Ma l'anno successivo, dopo varie
      peripezie che generarono nella ragazza gravi crisi depressive,
      Kierkegaard le restituisce l'anello di fidanzamento e rompe
      definitivamente il rapporto.
      Un gesto sofferto il suo, compiuto da un individuo affetto da
      una complessa sindrome psicopatologica, per la comprensione
      della quale andrebbe convocata l'intera letteratura psichiatrica
      filosofica e letteraria che si è espressa fin dall'antichità sul
      tema della malinconia . Nei Diari , Kierkegaard rappresenta
      costantemente il suo profilo psicologico come temperamento
      malinconico e considera tale peculiarità responsabile in ultima
      istanza dell'impossibilità di mantenere il rapporto di
      fidanzamento nella naturale prospettiva del matrimonio.
      In una lettera che accompagna il dono di una rosa e che rivela
      il profilo tetro del suo immaginario necrofilo, il filosofo scrive
      alla fidanzata che egli è " testimone malinconico del suo
      progressivo appassire ": constata come lo stelo si sia inaridito,
      come le foglie piegate lottino contro la morte, come il profumo
      sia andato perduto, come infine essa sia destinata ad essere
      deposta " in una tomba bianca e pura ", sigillata dalla donna
      amata.
      Indugiando nel suo spleen tardo romantico, Kierkegaard scrive
      di muoversi nel vuoto, l'unica dimensione che egli riesce a
      percepire, condannato a morire la morte giorno per giorno
      perché essa è la forma della vita, dalla quale non scaturisce un
      solo pensiero che sappia connettere il finito e l'infinito. Per
      effetto corrosivo di un dubbio ipertrofico, di un'angoscia
      onnipervasiva : " la mia anima è come il Mar Morto, su cui
      nessun uccello può volare perché - giunto a metà della via -
      precipita sfinito nell'abisso mortale".  (...)


Marco Vozza  da  A debita distanza ( Kierkegaard, Kafka, Kleist e le loro fidanzate )

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