dolcissimi aderire ai miei per qualche secondo. Probabilmente
in quei momenti il suo sguardo è vicinissimo a me come quello
di nessun altro essere vivente. Eppure resta - in quello stesso
tempo - lontanissimo, inafferrabile, luogo di un'alterità totale,
inammissibile alla vita umana. Guardare lo sguardo di un cane
che ci ama " senza riserve" - che ci ama solo per quello che
siamo e non per quello che dovremmo o vorremmo essere,
preciserebbe, giustamente, Lacan - " significa essere di fronte
ad un segreto inviolabile, a un mistero in piena luce.
Questo sguardo - lo sguardo di Alaska - non è quello
semplicemente assente, robotico, anonimo della macchina
- come invece avrebbe pensato Cartesio -, ma una sorta di
profondità che non conosce fondo. L' animale può amare
" senza riserve", in modo assoluto, senza ambivalenza, senza
ambiguità, senza incertezze, fedelmente. Può amare così perché
è senza fantasma, perché in lui la forza dell'amore si
sovrappone pienamente a quella dell'istinto. Sa amarmi
- appunto - solo per quello che sono. Forse che lo sguardo dell'
animale nella sua profondità sia cieco? Forse che questo
sguardo non sia in grado di cogliere l'ambiguità e l'inganno?
Forse che questo sguardo non solo non sappia fingere ma -
come ricorda Lacan - non sappia fingere di fingere?. Dunque
non possa mentire, non possa frodare, non possa suggestionare
né possa conoscere la passione atroce del fantasma
sacrificale?. E' un'altra osservazione di Lacan: l'animale può
depistare l'inseguitore, ma non può fingere di depistarlo, non
può fingere di fingere. Il suo rapporto col linguaggio resta di
tipo reattivo e non soggettivo. Per questo forse, come si dice,
ogni animale assomiglia sempre al suo padrone, è catturato
in un'identificazione mimetica, senza scarti. Esistono storie di
cani o di cavalli che si gettano nelle acque tempestose per
salvare il loro padrone, " sacrificando" così la loro vita.
Ma questo sacrificio di sé non ha nulla a che vedere con la
trama inconscia del fantasma sacrificale. Sembra piuttosto
l'esito di una piena identificazione: il cane e il cavallo non si
aspettano nulla dal loro gesto, non hanno alcun Dio
onnipotente a cui rivolgersi,né alcun grande Altro da invocare;
nessun desiderio da realizzare. Il loro gesto è piuttosto segno
di un'adesione senza scarti al loro oggetto d'amore. Come
accadde ad Argo, il cane di Ulisse, che potè finalmente morire
solo quando ritrovò la sagoma perduta del suo vecchio
padrone. (...)
Massimo Recalcati da Contro il sacrificio ( Al di là del fantasma sacrificale )
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