Jacopo da Ponte Bassano - L'Arca di Noè
All'estremità della notte le occhiaie
ci confortano, piccole chiazze di lune
piene sul volto. La redenzione del tunnel,
con i suoi boati corvini e le falene - bussole,
è una strada dì alluminio che accoglie
i nostri fantasmi, a 150 km orari.
Il roseto di abbagli e di errori resta fuori
da questa griglia di Hermann : le fucilate
degli antinebbia e i rimpianti sono espunti
da un elenco di cifre binarie, o bianco o nero.
Manca profondità a questo andare,
uno sguardo d'insieme,
il talento di sopravvivere alle lesioni del buio.
***
E' un lampione questa luce che piove sul tavolo,
allaga il conto delle notti a venire, un rebus scritto
con avanzi di briciole. La strada posa la sua coda
sonora per terra - dentro o fuori non fa più differenza -
Una volta c'era una casa fra ottantatrè geroglifici urbani
e tre colate di cemento in tiro, puntati negli occhi:
una sagoma abita la sera, dietro una lamina di dubbi,
nell'odore cinereo, come sfugge - ma dove -
domani le voci si stendono ad asciugare tutti gli incubi.
***
In caso di necessità rompere il vetro :
uscire dal campo recettivo, seguire
le coordinate che conducono alla curva
dello stupore, dopo una rotazione di 360°
favorire l'orogenesi della spina dorsale
diritta, per meglio fissare il teorema della creazione,
allenare il terzo occhio, la ghiandola pineale,
il sesto senso, darsi alla melatonina in giuste
dosi, alleggerire le pupille - vedette dal vizio
delle proiezioni, trafugare la frenesia degli amanti
e riprodurne gli aromi, dilatare il quotidiano
in campiture di bianche perla, non scambiare
con nessun altro bene la scorza di protezione,
accettare l'imprinting di un animo bifido.
Soprattutto, individuare subito - per prima -
fra tutte le altre evenienze, l'uscita di emergenza.
***
Non è chiaro se dopo nebbie fossili
e giorni di Nigredo, se dopo tutti
gli abbandoni in cui ci siamo persi,
arriveremo alla zolla dell'aurora
o al margine radioso d'un suburbio
con blocchi di edifici in successione,
una schiera di giganti cinerini
che roteano l'occhio dei balconi
verso l'antenna 5 G puntata ad Est.
L'impasto di paure nello stomaco
e gli sguardi strabici, un'infinita nausea
a orientare i nostri passi ondivaghi :
sapessimo trovare una stazione
di servizio, almeno dove mettere
a sedere ciò che resta del presente,
dargli un alibi per colazione,
mentre cerchiamo di inviare
a chi è rimasto indietro le coordinate
esatte della nostra posizione
( siamo a 74 cm circa
da qualsiasi morte capiti in sorte ).
***
Non eravamo pronti al dinamismo borderline
delle stagioni, a curvare gli sguardi
in una torsione - avvitandoli - fino a divaricare
il cristallino in congetture di salvazione.
Uno switch ha diretto le nostre giornate
in agglomerati di lontananze, un inverno
genuflesso alle abitudini, e poi la collisione,
il cielo bisestile, il triangolo equilatero
della paura, ogni passaggio interrotto.
E' stato l'avamposto delle gemme, in meno
di un nanosecondo, di taglio, a suggerire che
nonostante il distacco tra cornea e presente,
eravamo arrivati a una piazzola di sosta,
10/10 e 59 diottrie dopo, presi a guardare
di nuovo all'intorno le foglie emergenti,
tra un'antenna di fiori e una biocella
di compostaggio, il riavvio del sistema
trasmutato casualmente in una rinascita.
Silvia Rosa da Tutta la terra che ci resta
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