giovedì 24 febbraio 2022

TUTTA LA TERRA CHE CI RESTA ( dopo il diluvio )

 


                                                 Jacopo da Ponte Bassano -  L'Arca di Noè





All'estremità della notte le occhiaie

ci confortano, piccole chiazze di lune

piene sul volto. La redenzione del tunnel,

con i suoi boati corvini e le falene - bussole,

è una strada dì alluminio che accoglie

i nostri fantasmi, a 150 km orari.

Il roseto di abbagli e di errori resta fuori

da questa griglia di Hermann : le fucilate

degli antinebbia e i rimpianti sono espunti

da un elenco di cifre binarie, o bianco o nero.


Manca profondità a questo andare,

uno sguardo d'insieme,

il talento di sopravvivere alle lesioni del buio.




                                             ***


E' un lampione questa luce che piove sul tavolo,

allaga il conto delle notti a venire, un rebus scritto

con avanzi di briciole. La strada posa la sua coda

sonora per terra - dentro o fuori non fa più differenza -


Una volta c'era una casa fra ottantatrè geroglifici urbani

e tre colate di cemento in tiro, puntati negli occhi:

una sagoma abita la sera, dietro una lamina di dubbi,

nell'odore cinereo, come sfugge  - ma dove -


domani le voci si stendono ad asciugare tutti gli incubi.



                                                 ***


In caso di necessità rompere il vetro :

uscire dal campo recettivo, seguire

le coordinate che conducono alla curva

dello stupore, dopo una rotazione di 360°

favorire l'orogenesi della spina dorsale

diritta, per meglio fissare il teorema della creazione,

allenare il terzo occhio, la ghiandola pineale,

il sesto senso, darsi alla melatonina in giuste

dosi, alleggerire le pupille - vedette dal vizio

delle proiezioni, trafugare la frenesia degli amanti

e riprodurne gli aromi, dilatare il quotidiano

in campiture di bianche perla, non scambiare

con nessun altro bene la scorza di protezione,

accettare l'imprinting di un animo bifido.

Soprattutto, individuare subito - per prima -

fra tutte le altre evenienze, l'uscita di emergenza.



                                             ***


Non è chiaro se dopo nebbie fossili

e giorni di Nigredo, se dopo tutti

gli abbandoni in cui ci siamo persi,

arriveremo alla zolla dell'aurora

o al margine radioso d'un suburbio

con blocchi di edifici in successione,

una schiera di giganti cinerini

che roteano l'occhio dei balconi

verso l'antenna 5 G puntata ad Est.


L'impasto di paure nello stomaco

e gli sguardi strabici, un'infinita nausea

a orientare i nostri passi ondivaghi :

sapessimo trovare una stazione

di servizio, almeno dove mettere

a sedere ciò che resta del presente,

dargli un alibi per colazione,

mentre cerchiamo di inviare

a chi è rimasto indietro le coordinate

esatte della nostra posizione


( siamo a 74 cm circa

da qualsiasi morte capiti in sorte ).



                                             ***


Non eravamo pronti al dinamismo borderline

delle stagioni, a curvare gli sguardi

in una torsione - avvitandoli - fino a divaricare

il cristallino in congetture di salvazione.

Uno switch ha diretto le nostre giornate

in agglomerati di lontananze, un inverno

genuflesso alle abitudini, e poi la collisione,

il cielo bisestile, il triangolo equilatero

della paura, ogni passaggio interrotto.

E' stato l'avamposto delle gemme, in meno

di un nanosecondo, di taglio, a suggerire che

nonostante il distacco tra cornea e presente,

eravamo arrivati a una piazzola di sosta,

10/10 e 59 diottrie dopo, presi a guardare

di nuovo all'intorno le foglie emergenti,

tra un'antenna di fiori e una biocella

di compostaggio, il riavvio del sistema

trasmutato casualmente in una rinascita.




                    Silvia  Rosa     da     Tutta la terra che ci resta 



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