... apri la solitudine "
" Dio viene nei miei sogni inquieti,
al bivio di ogni trepida vigilia,
non ignoto, né carico di lucidi amuleti,
ma Padre di creatura che si umilia ".
( Da " Notturno del re silenzioso" )
(...) Tutte le persone che incontrarono Quasimodo, senza che fosse loro offerta l'opportunità di approfondirne la conoscenza, ebbero l'impressione di un uomo chiuso in una gabbia di ferro, una corazza, e che le sue parole fossero un aut - aut, dei frammenti di una lunga, ininterrotta partita contro il superficiale, lasciate cadere in veste di battuta, di provocazione e verniciate talora di ironia. Si presentava, almeno nell'età matura e dopo il Nobel, con una specie di prosopopea che gli spingeva il petto all'infuori, più che altro una forza di affermazione, e un sorriso tagliente in sintonia con la sua voce che esibiva espressioni talvolta oracolari, ma più spesso era secca e aveva scricchiolii come di lamiera che sta per rompersi. Mai accenni sopraelevati: quando accadeva, sembrava stupirsene lui stesso e immediatamente recedeva nei confini della consueta gamma tonale. Portava cravatte sgargianti, gilet damascati con l'orologio a catena infilato nel taschino. Le labbra erano invisibili sotto una riga di baffi a coda di topo. Tinti. Orbite un po' gonfie, pupilla rapace. Sembrava guardare un qualcosa che va oltre il confine dove l'occhio comune si arresta impotente, e questa poteva essere una posa da attore perché il gusto per la scena ce l'aveva nel sangue. Scrisse molto di teatro - infatti - con rara competenza, mettendone a nudo la " materia" e giocando liberamente con i suoi congegni. Giustificava certi atteggiamenti personali un po' frivoli dicendo che Dante non disdegnava di percorrere in maschera le vie di Firenze. Nel corso di una conversazione amichevole, a ruota libera, e dopo aver alzato il gomito più del solito, poteva sfoderare battute mordaci e maldicenze, giudizi all'arsenico - capaci di distruggere reputazioni consacrate. Doppiezza da funambolo, che era solo finzione e gioco. Ma Quasimodo non era afferrabile in un unico sguardo: accadeva che l'intrattenitore pittoresco e temerario, capace di lepidezze da " cabotin", davanti allo specchio o se, per strada, si vedeva riflesso in una vetrina, si trovasse misero e sciupato. E si rattristasse. Più di una volta ho intuito che cercava conforto nel mio sguardo, forza nel mio sorriso. E liberazione, " come scroscio sull'erba del prato". (...)
Curzia Ferrari da " Dio del silenzio, apri la solitudine" . La fede tormentata di Salvatore Quasimodo .
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