Adesso tocca a noi alzare questa poca voce...
Camminerai sull'acqua per tornare
dove sei sempre stato. Intanto vivi
pagando vecchi debiti, coltivi
la tua puntigliosità militare,
accumuli prove a discolpa come
se la gioia che ti aspetta dovessi
davvero meritartela o potessi
perderla ancora, ostaggio d'un cognome
inventato da chissà quale mente
boriosa se lo si legge in Giovanni
20,16. Quanti e che duri anni
a sentirti padre infinitamente
volendo essere figlio, a scongiurare
ferite, tu che le hai così care.
***
Filare tra le lenzuola tremando
di febbre, di felicità al pensiero
d'essere esente dall'essere, libero
dal suo fiato, dal suo affanno - ma quando?
solo al tempo dei tempi, quando ero
un ragazzo, e proprio così, sfumando
il presente e il futuro in un rimando
sine die ne facevo più leggero
il morso? O forse la si prende, questa
malattia, anche da grandi, e forse è grazia
che sia così, è grazia per chi s'appresta
a lasciare la vita e ancora strazia
il moto che la consuma, l'impura
dolcezza che la feconda e l'oscura.
***
Quanti fossero i pioppi, che importanza
può avere? So che c'erano, che adesso
non ci sono, che a volte m'è concesso
di vederli, immenso fruscio, sostanza
visibile al vento, e so che è ancora
questa la linea che separa da
catastrofi nere o abbaglianti la
grigia dolcezza del giardino. Sfioralo
con gli occhi - soltanto - il sipario, lascia
che di là vada come sai che è andata,
che bruci la fabbrica bombardata
dalle fortezze volanti, che l'ascia
s'abbatta sulle betulle, che i morti
assassinino e perdonino i morti.
***
Così a volte succede che nel buio
s'insanguini un volto, una mano
ci implori - così c'è
chi ignora e chi invece ha nel cuore
la comunione dei vivi e dei morti.
***
Stare coi morti, preferire i morti
ai vivi, che indecenza! Acqua passata.
Vedo che adesso più nessuno fiata
per spiegarci gli osceni rischi e torti
dell'assenza, adesso che è sprofondata
la storia. Adesso tocca a noi, ci importi
tanto o quel tanto, siano fiochi o forti
i mesti richiami dell'ostinata
coscienza, alzare questa poca voce
contro il silenzio infinitesimale
a contestare l'infinito, atroce
scempio dell'esistere. ( Al capitale
forse è questo che può restare in gola,
l'osso senza carne della parola ).
Giovanni Raboni da Quare tristis
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