Ho perso persino te...
La vita di Elizabeth Bishop, una delle più grandi poete americane del Novecento, fu costellata di perdite. Non che ne esista una che non lo sia : siamo tutti - ogni giorno - esposti al disastro della scomparsa, nostra, degli altri, perfino degli oggetti. Quello che cambia, se mai, sono le frequenze e le intensità : ci sono vicende umane in cui la perdita fa da tema costante e principale, batte il ritmo, tiene la trama. Queste esistenze si organizzano intorno ai loro vuoti e alle assenze, come certe architetture si sviluppano - e sostengono - a partire da uno spazio cavo.
Elizabeth è stata ( sin da piccola ) maestra nell'arte di perdere: lo sa fare. Ma è possibile imparare a perdere? Esiste una qualche competenza, una sapienza che col tempo matura, mancanza dopo mancanza? Certo che no. L'ironia con cui Bishop ne scrive, lo chiarisce bene. Non si tratta di un manuale di istruzioni per l'uso, né di un cammino filosofico : non c'è nessuna saggezza a cui aspirare, nessun equilibrio da raggiungere. Quella che Elizabeth Bishop ci mostra, è piuttosto una postura possibile, un modo di guardare e di attraversare il dolore : se è vero che le cose e le persone che amiamo contengono - ognuna in sé, come tratteggiarla - la parabola della nostra scomparsa dalla nostra vita, non per questo le ameremo di meno o vivremo nell'angoscia costante e paralizzante della loro perdita. Che si tratti di smarrire un oggetto caro, di abbandonare una casa amata, un paese che non rivedremo mai più, un'illusione che ci aveva nutriti o un amore che non potremo recuperare, sarà sempre un disastro. Ma un disastro che si può attraversare, se " attraversare" significa che dobbiamo percorrerlo da un capo all'altro e lasciarci percorrere dando spazio e territorio al dolore.
Ed è per tutti così : " Dura lex, sed lex".
L' arte di perdere non è così difficile da imparare;
così tante cose sembrano pervase dall'intenzione
di essere perdute, che la loro perdita non è un disastro.
Perdi qualcosa ogni giorno. Accetta il turbamento
delle chiavi perdute, dell'ora sprecata.
L' arte di perdere non è difficile da imparare.
Poi pratica lo smarrimento sempre più, perdi in fretta:
luoghi e nomi, e destinazioni verso cui volevi viaggiare.
Nessuna di queste cose causerà disastri.
Ho perduto l'orologio di mia madre.
E guarda : l'ultima e la penultima delle mie tre amate case.
L'arte di perdere non è difficile da imparare.
Ho perso due città, proprio graziose.
E, ancor di più, ho perso alcuni dei reami che possedevo,
due fiumi, un continente.
Mi mancano, ma non è stato un disastro.
Ho perso persino te ( la voce scherzosa, un gesto che ho amato ).
Questa è la prova. E' evidente
l'arte di perdere non è difficile da imparare,
benché possa sembrare un vero ( scrivilo! ) disastro.
Elizabeth Bishop
Che poi sarebbe una ragione valida per godersi tutto quel che c'è finché c'è
RispondiEliminaMi pare la logica e realistica conseguenza di ciò che nella poesia viene - più che espresso - ironicamente sottinteso.
RispondiEliminaSolo ne fossimo capaci!
L'uomo è un animale ben strano: sembra essere affascinato più dal dolore ( basti guardare a quanto spazio viene dato a questo sentimento in poesia ) che da altri stati d'animo, quali ad esempio la serenità e la gioia...
Vogliamo parlarne?
Effettivamente se dici: che bello, che contento, che felice
EliminaPassi per un cretino non certo per un poeta
specie nei blog dove critiche, ingiurie e lamenti vari prendono laik di qualsiasi ragionamento
Lasciamo ingiurie e critiche ( quando non motivate ) ai poveri di spirito.
RispondiEliminaPer il resto, nessuna apologia del dolore: ( era solo una costatazione) : si può essere buoni poeti anche parlando di speranza e senza dimenticare quanta Bellezza c'è intorno...
Grazie per la tua partecipazione.