Osservo l'insigne esaltazione delle stelle fisse...
" Con l'avvento dei social è stata distribuita una pistola carica ad ogni singolo individuo di questo mondo : peccato che i più non abbiano il porto d'armi".
Lui odiava anche i libri a basso costo, diceva: "Si autodistruggeranno! Di quella carta non rimarrà nulla e sarà come cancellare la Storia". Diceva che i libri meritano pagine eterne, carte bellissime, stampe a centomila colori.
*
Ho visto gente uscire impaurita dall' aula ( Antropologia culturale all' Accademia di Belle Arti ) e lui, con un meraviglioso assenso, si fumava una sigaretta. Soprassedendo.
LO VEDI, E' LA LINGUA
E così ora ti senti
piovigginoso, malato, pieno di avverbi autunnali,
di sostantivi astratti, di oggetti ritrovati
e subito perduti, sgretolati, di annotazioni che scorrono
per troppe pagine al piede della vita, e non sai
come funziona il gioco del rimando. La sola
ipotesi possibile ti sembra
l'invidia dello sguardo, la sua pena, Ma quando
ti soffermi alla soglia delle voci, al momento
che l'acqua si confonde
col pettirosso, con l'albero, con la collina,
è allora che le muffe
ti fioriscono intorno agli orecchi e con delicatezza
tremenda assopiscono i suoni. Ti credi
in ascolto dell'imminenza, ma non era questo
che ti aspettavi, non questa dispersione del dolore
per tutto il corpo. O meglio : non ancora.
Ti sarebbe piaciuto osservare con le dita,
e invece ti passano accanto i ritratti,
il ritaglio di un occhio, il profilo solenne o ridicolo
di qualche testa dai pensieri assorti.
Lo vedi, è la lingua
così cortese, ossequiante, precisa, ma in fondo
sempre più imbarazzante a pretendere tutta l'attenzione
di cui non sei capace,
e ti ritrovi impigliato in un frammento,
disperso dappertutto, un movimento estremo
quasi raccolto insieme dal no comment
che riprende ogni volta il suo racconto.
***
EPIGRAMMA
Tranne l'arte, che è già da tempo dannata
dalla curiosità degli inferni o dall'indifferenza,
La vita di Elizabeth Bishop, una delle più grandi poete americane del Novecento, fu costellata di perdite. Non che ne esista una che non lo sia : siamo tutti - ogni giorno - esposti al disastro della scomparsa, nostra, degli altri, perfino degli oggetti. Quello che cambia, se mai, sono le frequenze e le intensità : ci sono vicende umane in cui la perdita fa da tema costante e principale, batte il ritmo, tiene la trama. Queste esistenze si organizzano intorno ai loro vuoti e alle assenze, come certe architetture si sviluppano - e sostengono - a partire da uno spazio cavo.
Elizabeth è stata ( sin da piccola ) maestra nell'arte di perdere: lo sa fare. Ma è possibile imparare a perdere? Esiste una qualche competenza, una sapienza che col tempo matura, mancanza dopo mancanza? Certo che no. L'ironia con cui Bishop ne scrive, lo chiarisce bene. Non si tratta di un manuale di istruzioni per l'uso, né di un cammino filosofico : non c'è nessuna saggezza a cui aspirare, nessun equilibrio da raggiungere. Quella che Elizabeth Bishop ci mostra, è piuttosto una postura possibile, un modo di guardare e di attraversare il dolore : se è vero che le cose e le persone che amiamo contengono - ognuna in sé, come tratteggiarla - la parabola della nostra scomparsa dalla nostra vita, non per questo le ameremo di meno o vivremo nell'angoscia costante e paralizzante della loro perdita. Che si tratti di smarrire un oggetto caro, di abbandonare una casa amata, un paese che non rivedremo mai più, un'illusione che ci aveva nutriti o un amore che non potremo recuperare, sarà sempre un disastro. Ma un disastro che si può attraversare, se " attraversare" significa che dobbiamo percorrerlo da un capo all'altro e lasciarci percorrere dando spazio e territorio al dolore.
Ed è per tutti così : " Dura lex, sed lex".
L' arte di perdere non è così difficile da imparare;
così tante cose sembrano pervase dall'intenzione
di essere perdute, che la loro perdita non è un disastro.
Perdi qualcosa ogni giorno. Accetta il turbamento
delle chiavi perdute, dell'ora sprecata.
L' arte di perdere non è difficile da imparare.
Poi pratica lo smarrimento sempre più, perdi in fretta:
luoghi e nomi, e destinazioni verso cui volevi viaggiare.
Nessuna di queste cose causerà disastri.
Ho perduto l'orologio di mia madre.
E guarda : l'ultima e la penultima delle mie tre amate case.
L'arte di perdere non è difficile da imparare.
Ho perso due città, proprio graziose.
E, ancor di più, ho perso alcuni dei reami che possedevo,
due fiumi, un continente.
Mi mancano, ma non è stato un disastro.
Ho perso persino te ( la voce scherzosa, un gesto che ho amato ).
Questa è la prova. E' evidente
l'arte di perdere non è difficile da imparare,
benché possa sembrare un vero ( scrivilo! ) disastro.