Sei l'unica me che ho...
Dove ti sei perduta
da quale dove non torni,
assediata
bruci senza origine.
Questo fuoco
deve trovare le sue parole
pronunciare condizioni
di smarrimento dire :
" Sei l'unica me che ho
torna a casa ".
***
La pelle è sempre in prima linea
come i cappotti le madri i villaggi,
è un confuso conoscitore di mondi
è serbatoio e cemento
trasale fa barriera
è distendibile e delicatamente resistente
sanguina respira. Nuca mani e piedi
spalle petto fianchi conoscono
il mondo senza l'assedio della narrazione
stormiscono e scompensano il pensiero.
La pelle è educazione sentimentale
ogni parola un branco che preme i pori
e ne fa porte sul cielo vuoto dell'interno,
dove soffia la memoria
l'aria del tempo.
Per primo viene il tatto
quando mettiamo una parola
al mondo. Invecchiando la pelle
diventa più sottile
perché aumenta il desiderio
di mistero, diminuisce
la paura di attacco.
E' nuda su questa terra,
si sbriciola nel passaggio.
In lei la vita umana si consuma
e poi si spegne o forse vola
fuori di lei, la lascia,
***
La vita è vasta
ha bisogno di temperature elevate
e di capacità glaciali
di scompiglio del sangue
e di evaporazione,
di sgombero e sedimento.
La vita è grande
le dottrine avare
le menti mercenarie
non la riguardano;
nemmeno la punteggiatura
se non è musicale
la sfiora
perché ha andature immisurabili
e non consente punti fermi
né enunciazioni.
Ha movenze prodigiose
e tregue vulnerabili
nel fitto dell'inaspettato.
La vita ci sfoglia,
siamo appunti serali.
***
Tenere le braccia
la voce del mondo
ospitare i suoni ammucchiati
senza chiedere senso
cullare lingue e pelli
ossa di diverse misure
parole fredde e calde urla e bisbigli
una fioritura spinosa
e corrodere le frontiere
fare uno strepito sorridente:
sì, vieni, ben arrivato
nel mio sbando
c'è sempre posto per te.
***
Imparo a guardare
a imprestare lo sguardo;
a chi ha urgenza di tana
imparo a ospitare.
Custodisco con cura le parole
poi le silenzio per il suono
di un'altra lingua
per questo sentiero nostro
acuto e pugnalante
che non attenua gli urti
lascia il male così com'è
e accoglie tutte le ferite
come cani randagi
con improvvisate ciotole d'acqua
e parole poche smarrite
maldestre. Mani grandi
sorrisi abitabili.
Vivere è ospitare.
Chandra Livia Candiani da La domanda della sete
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