domenica 26 dicembre 2021

LA DOMANDA DELLA SETE



                                                                 Sei l'unica me che ho...





Dove ti sei perduta

da quale dove non torni,

assediata

bruci senza origine.

Questo fuoco

deve trovare le sue parole

pronunciare condizioni

di smarrimento dire :

" Sei l'unica me che ho

torna a casa ".



                                                     ***


La pelle è sempre in prima linea

come i cappotti le madri i villaggi,

è un confuso conoscitore di mondi

è serbatoio e cemento

trasale fa barriera

è distendibile e delicatamente resistente

sanguina respira. Nuca mani e piedi

spalle petto fianchi conoscono

il mondo senza l'assedio della narrazione

stormiscono e scompensano il pensiero.

La pelle è educazione sentimentale

ogni parola un branco che preme i pori

e ne fa porte sul cielo vuoto dell'interno,

dove soffia la memoria

l'aria del tempo.

Per primo viene il tatto

quando mettiamo una parola

al mondo. Invecchiando la pelle

diventa più sottile

perché aumenta il desiderio

di mistero, diminuisce

la paura di attacco.

E' nuda su questa terra,

si sbriciola nel passaggio.

In lei la vita umana si consuma

e poi si spegne o forse vola

fuori di lei, la lascia,



                                          ***


La vita è vasta

ha bisogno di temperature elevate

e di capacità glaciali

di scompiglio del sangue

e di evaporazione,

di sgombero e sedimento.

La vita è grande

le dottrine avare

le menti mercenarie

non la riguardano;

nemmeno la punteggiatura

se non è musicale

la sfiora

perché ha andature immisurabili

e non consente punti fermi

né enunciazioni.

Ha movenze prodigiose

e tregue vulnerabili

nel fitto dell'inaspettato.

La vita ci sfoglia,

siamo appunti serali.



                                          ***


Tenere le braccia

la voce del mondo

ospitare i suoni ammucchiati

senza chiedere senso

cullare lingue e pelli

ossa di diverse misure

parole fredde e calde urla e bisbigli

una fioritura spinosa

e corrodere le frontiere

fare uno strepito sorridente:

sì, vieni, ben arrivato

nel mio sbando

c'è sempre posto per te.



                                        ***


Imparo a guardare

a imprestare lo sguardo;

a chi ha urgenza di tana

imparo a ospitare.

Custodisco con cura le parole

poi le silenzio per il suono

di un'altra lingua

per questo sentiero nostro

acuto e pugnalante

che non attenua gli urti

lascia il male così com'è

e accoglie tutte le ferite

come cani randagi

con improvvisate ciotole d'acqua

e parole poche smarrite

maldestre. Mani grandi

sorrisi abitabili.

Vivere è ospitare.




               Chandra Livia  Candiani  da    La domanda della sete




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