L ' acqua che noi portiamo non ci salva...
Si può decidere, fiume
di non avere padre
di non dover a lungo espiare -
credersi di una specie che s'affranca
dall'impasto mortale
e scorda quando è cucciolo tra gli altri
le zampe dentro i mondi e la paura.
Un mondo dentro l'altro sta racchiuso
scostandosi in una trama acquorea
è questo è lo scendere nei pozzi
l'ottuso rantolìo delle cisterne
e un mondo ha
la faglie maltagliate del rancore
che schiumano, s'incagliano non tornano
all'armonia profonda, originale -
e questo mondo ha forma di un cavallo
l'afrore nello zoccolo pressato
il crine inumidito
il muso prominente nello stagno.
Dicono che talvolta una giumenta
esca dal fiume obliquo della notte
soffi dalle narici nelle bocche
un pasto disgregato di illusioni;
o un puledro tornito nella melma
divori gambe, braccia, desideri
e io rinsabbiato al niente
a resto nella fauce, a ghiaia
martellata nel torrente.
L' acqua che noi portiamo non ci salva
né ferma il modo in cui ci separiamo
molto peggiore del morire
o cedere al terrore di perderti
quando più ti amavo -
ma vibra nella conca della mano.
E questa è la distanza
da misurare al buio
le tue correnti - lucciola
i corpicini appesi alla spuma
prima di immergersi, svanire.
Io voglio - fiume - non essere più assolto
dall'altro a me dissimile, compagno -
trarre dalla tua schiena le parole.
Non vivere reciso dal passato.
Francesca Matteoni da Acquabuia
Nessun commento:
Posta un commento