G. Klimt - Il destino di Cassandra
Poesia che si distingue nettamente nel panorama letterario odierno: per lo scavo sulle frange, i frattagli della vita e il suo scarto. Resta impregiudicata la necessità a fondo e irrisolto l'amore per la vita stessa. " Si mette zero al quoto tutto intero /. Si dice vedo: e più non ci s'imbroglia ". ( Maria Lentini )
CASSANDRA
Straniera la mia lingua,
antro di silenzio le mie parole.
Lamprede su uno spartito d'abisso.
Padre, non sono lacrime a cadere
dalle vuote orbite dei nostri giorni,
ma spore di polvere e vento.
Queste mura di frumento e di carne
presto non saranno che mito e argilla
un fiore impietrito sul grembo
un latte che non sfama.
La mia mano separa luce e palpebra
e genera in un embrione di buio
croci e sciabole, scettro e cenere.
Siedo su un opaco spigolo d'ore
dove un corvo annoiato lacera
quest'atavica corteccia, le sue tempie.
E già scioglie grumi di secoli, scempi
di madri al rogo del loro respiro,
mutilazioni di angeli ed ésodi
di moltitudini e scie di cani.
Lacerti da un altrove, memorie da un futuro.
***
OSTELLO DEGLI INGUARIBILI
Scartocciò foglia a foglia quel granturco
come fosse la pergamena attorta
di una profezia, lo macinò
chicco a chicco fino ad estrarne indenne
la preziosa filigrana, l'essenza
a colma maturità di quel sole.
Questa la tua sapienza, il catechismo
paziente della terra
per anni a fendere zolle, strappare
loglio e gramigne, scrutare il favore
volubile della luna, fiutare
la scia di pioggia tra le canicole.
Predò giorni, gli stessi che lo visitano
di fretta, che gli corrispondono una
carestia di mani.
Nel suo fosco iride bruciò le nuvole
di tutti i solstizi, vi rovinò
la sabbia di insaziabili clessidre.
Oggi qui, nell'oppio della sua sera
ad assecondare il pieno compimento
del male, a celebrarne la vana terapia.
Dunque non lo inquietò
l'arrestarsi del fiato. E non fu rantolo
ma uno spiccare d'erba, una vela.
***
PODERE CARESTIA
Non si chiedeva il senso del vegliare,
lui guardiano di cosa poi
se era tutto disfacimento, i muri
una rovina di scorpioni ed edera.
Pure lo inebriava sostare immoto
tra quegli aratri, sfregarne residui
di spore e letame tra i polpastrelli,
sentirsi anche lui zolla di quel destino
di terra e nuvole.
Non lo turbava l'insignificanza
di quel cerimoniale:
restare desto ogni notte, la nebbia
le calli dove scantona smarrita
qualche volpe esausta, ai tetti sconci
il raro guizzo d'un gatto selvatico
e il mattino sulla soglia il bicchiere
di latte tiepido, la ricompensa
di chissà quale mano
debitrice d'oblio o di pietà.
Non lo inquietava assolvere
l'ambasciata a baluardo del nulla,
sorbirlo stilla a stilla. Non diverso
sarebbe stato vivere.
***
CONCETTO SPAZIALE. ATTESA
La luce, quel confine da violare
e che ogni volta sa scivolare oltre
sprofondare nella sua bocca d'ombra.
E' questa tela ad esserne la lama,
a farne dello scempio un varco, crosta
che si spezza tra le dita. Lo spazio
fu acqua dove intridersi
vena che s'offre al boia.
Lo stanai nella sua casamatta
al baratto di tutte le se nascite.
Forse bastò solo schernirlo.
Fu come appoggiare l'orecchio
su una sistole del cosmo, impietrirvi
la pupilla. Per questo scelsi minima
l'arte, perfetta
la sottrazione.
Fabrizio Bregoli da Zero al quoto
Nessun commento:
Posta un commento