mercoledì 13 aprile 2022

LO ZERO AL QUOTO DI FABRIZIO


                                                      G. Klimt - Il destino di Cassandra



Poesia che si distingue nettamente nel panorama letterario odierno: per lo scavo sulle frange, i frattagli della vita e il suo scarto. Resta impregiudicata la necessità a fondo e irrisolto l'amore per la vita stessa. " Si mette zero al quoto tutto intero /. Si dice vedo: e più non ci s'imbroglia ".   ( Maria Lentini )

                                                         




CASSANDRA


Straniera la mia lingua,

antro di silenzio le mie parole.

Lamprede su uno spartito d'abisso.

Padre, non sono lacrime a cadere

dalle vuote orbite dei nostri giorni,

ma spore di polvere e vento.

Queste mura di frumento e di carne

presto non saranno che mito e argilla

un fiore impietrito sul grembo

un latte che non sfama.


La mia mano separa luce e palpebra

e genera in un embrione di buio

croci e sciabole, scettro e cenere.

Siedo su un opaco spigolo d'ore

dove un corvo annoiato lacera

quest'atavica corteccia, le sue tempie.

E già scioglie grumi di secoli, scempi 

di madri al rogo del loro respiro,

mutilazioni di angeli ed ésodi

di moltitudini e scie di cani.

Lacerti da un altrove, memorie da un futuro.



                                           ***


OSTELLO DEGLI INGUARIBILI


Scartocciò foglia a foglia quel granturco

come fosse la pergamena attorta

di una profezia, lo macinò

chicco a chicco fino ad estrarne indenne

la preziosa filigrana, l'essenza

a colma maturità di quel sole.

Questa la tua sapienza, il  catechismo

paziente della terra

per anni a fendere zolle, strappare

loglio e gramigne, scrutare il favore

volubile della luna, fiutare

la scia di pioggia tra le canicole.

Predò giorni, gli stessi che lo visitano

di fretta, che gli corrispondono una

carestia di mani.


Nel suo fosco iride bruciò le nuvole

di tutti i solstizi, vi rovinò

la sabbia di insaziabili clessidre.

Oggi qui, nell'oppio della sua sera

ad assecondare il pieno compimento

del male, a celebrarne la vana terapia.


Dunque non lo inquietò

l'arrestarsi del fiato. E non fu rantolo

ma uno spiccare d'erba, una vela.



                                          ***


PODERE CARESTIA


Non si chiedeva il senso del vegliare,

lui guardiano di cosa poi

se era tutto disfacimento, i muri

una rovina di scorpioni ed edera.

Pure lo inebriava sostare immoto

tra quegli aratri, sfregarne residui

di spore e letame tra i polpastrelli,

sentirsi anche lui zolla di quel destino

di terra e nuvole.


Non lo turbava l'insignificanza

di quel cerimoniale:

restare desto ogni notte, la nebbia

le calli dove scantona smarrita

qualche volpe esausta, ai tetti sconci

il raro guizzo d'un gatto selvatico

e il mattino sulla soglia il bicchiere

di latte tiepido, la ricompensa

di chissà  quale mano

debitrice d'oblio o di pietà.

Non lo inquietava assolvere

l'ambasciata a baluardo del nulla,

sorbirlo stilla a stilla. Non diverso

sarebbe stato vivere.



                                            ***


CONCETTO SPAZIALE. ATTESA


La luce, quel confine da violare

e che ogni volta sa scivolare oltre

sprofondare nella sua bocca d'ombra.

E' questa tela ad esserne la lama,

a farne dello scempio un varco, crosta

che si spezza tra le dita. Lo spazio

fu acqua dove intridersi

vena che s'offre al boia.

Lo stanai nella sua casamatta

al baratto di tutte le se nascite.

Forse bastò solo schernirlo.

Fu come appoggiare l'orecchio

su una sistole del cosmo, impietrirvi

la pupilla. Per questo scelsi minima

l'arte, perfetta

la sottrazione.



                            

                       Fabrizio  Bregoli    da   Zero al quoto




 

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