Marc Chagall - Inverno a Vitebsk
GIORNO D'INVERNO
nevica, ma è nevischio
incerto che solo a tratti
imbianca questi colli
bassi, il mare li chiude
e orla del suo grigio azzurro,
ora sulle Cesane
corrono i caprioli
nei luminosi campi,
il lupo affonda
le sue zampe magre
dentro il folto bianco,
gli scotani stanno curvi
sotto il gran peso,
è d'argento l'abete
alto nel cielo,
l'ava dagli occhi azzurri
è alla fonte
e con la mano nuda
spezza il ghiaccio,
riempie la brocca d'acqua
la più fredda,
e lenta poi s'avvia
verso casa.
Febbraio 2021
***
28 AGOSTO 1944
eravamo sui tetti,
tutto Urbino sui tetti,
e scendono dalla Cesana
i carri, grandi dieci volte
quelli dei buoi
e fitti, fitti come grandine
quando fischia e rimbalza
sui vetri e contro i coppi,
perché la gente urla
e piange e ride?
che succede ai grandi
a te d'intorno
portano bene o male
carri immensi?
e dov'era la madre,
in quale punto esatto
di quel tetto immenso
che la memoria ti spalanca
e oscura,
e le sorelle,
quella castana
che già porta i tacchi
e l'altra, la bruna,
con quella gonna bianca?
tu giochi con la figlia
del capoguardia,
non lo ricordi,
te l'hanno raccontato,
l'orso di pezza
così morbido e folto
solo se lo sfiori
quella s'arrabbia,
tu t'allontani,
fissi campi e carri,
e s'odono colpi di mitraglia,
alla seconda pineta
c'è una pattuglia,
sola e sperduta,
ma spara,
spara con la testa nascosta
dentro l'erba alta,
spara sempre,
sono fatti d'acciaio
questi tedeschi come i carri
che a loro non danno scampo
e sopra i Torricini
passa un aereo
e vola basso,
verso Montecalvo,
dove i tedeschi
si sono trincerati
tu ti spaventi,
quel fischio era la porta,
la porta del Rifugio,
bassa e storta,
dove se entri
non sai
se riscappi
e allora piangi,
corri dalla madre,
afferri la sua gonna
e ti ci stringi
ma la sorella grande
ti consola
- la guerra s'allontana,
sopra Urbino,
sopra la nostra casa,
gli aerei non torneranno,
non torneranno mai. -
Luglio 2021
***
IN TEMPI OSCURI
c'è stato un tempo oscuro,
più triste e più nero
di ogni altro,
i vecchi di una volta
che sempre raccontavano
le storie,
mai,
mai m'hanno detto
d'un male più grande
- così parla l'Antico -
e i giovani morivano
schiantati tra gli spini,
e Berto di Che' Spasso
una pallottola gli spaccò
l'elmetto sulla tempia,
Giovanni di Che' Mandorlo
passò gli spini
ma una baionetta
tedesca gli sparse
sangue e budelli
sotto la cinta,
e gente
della tua razza
è lì caduta
in quei posti di pietre
così lontani,
uno forse è saltato
sulle mine,
l'altro non l'hanno mai
ritrovato
e non si sa niente
e dopo,
dopo era anche peggio,
tornavano dal fronte
bianchi bianchi
come cenci
con la tosse
e il catarro,
le donne li asciugavano
coi panni,
e anche loro bianche,
bianche come cenci,
nel respiro di quelli
c'era il male,
dopo prendeva i vecchi
e i bambini,
su, al cimitero
non si faceva in tempo
a scavare le fosse
- un tempo come quello
Antico oggi è tornato -
no, nessun filo spinato
dove schiantarsi
ma è ancora
il respiro,
il respiro fraterno
la minaccia
tu stai alla ringhiera
e guardi il mare,
passano sullo schermo
i cortei dell'assurdo,
filosofi famosi
li hanno benedetti
e la nebbia risale,
una bruma scura
immensa e sconfinata,
oceani e continenti
tutti li sommerge,
tormenti con le dita
le foglie del lentisco
così limpide e lievi,
inverno che procede
li cerchia
e minaccia,
tu guardi verso il mare,
appena lo intravedi.
Novembre 2021
Umberto Piersanti Inediti da " I luoghi persi"
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