sabato 9 gennaio 2021

L'IRIS SELVATICO DI LOUISE

 


                                                               
                                                               Vincent Van Gogh -   Iris




L' IRIS SELVATICO


Alla fine del mio soffrire

c'era una porta.


Sentirmi bene: ciò che chiami morte

lo ricordo.


Sopra, rumori, rami di pino smossi.

Poi niente. Il sole debole

tremolava sulla superficie secca.


E' terribile sopravvivere

come coscienza

sepolta sulla terra oscura.


Poi finì : ciò che temi, essere

un'anima e non poter

parlare, finì a un tratto, la terra rigida

un poco curvandosi. E quel che mi parve

uccelli sfreccianti in cespugli bassi.


Tu che non ricordi

passaggio dall'altro mondo

ti dico che seppi parlare di nuovo : tutto ciò

che ritorna dall'oblio ritorna

per trovare una voce:


dal centro della mia vita venne

una grande fontana, ombre blu

profondo su acqua di mare azzurra.



                                             ***


MATTUTINO


Padre irraggiungibile, quando all'inizio fummo

esiliati dal cielo, creasti

una replica, un luogo in un certo senso

diverso dal cielo, essendo

pensato per dare una lezione: altrimenti

uguale... la bellezza da entrambe le parti, bellezza

senza alternativa... Solo che

non sapevamo quale fosse la lezione. Lasciati soli,

ci esaurimmo a vicenda. Seguirono

anni di oscurità; facemmo a turno

a lavorare il giardino, le prime lacrime

ci riempivano gli occhi quando la terra

si appannò di petali, qui

rosso scuro, là color carne...

Non pensavamo mai a te

che stavamo imparando a venerare.

Sapevamo solo che non era natura umana amare

solo ciò che restituisce amore.



                                                ***


APRILE


Nessuna disperazione è come la mia disperazione...


Non avete luogo in questo giardino

di pensare cose simili, producendo

i fastidiosi segni esterni; l'uomo

che diserba cocciuto tutta una foresta, la donna che zoppica, rifiutando di cambiare vestito o lavarsi i capelli.


Credete che mi importi

se vi parlate?

Ma voglio che sappiate

mi aspettavo di più da due creature

che furono dotare di mente: se non

che aveste davvero dell'affetto reciproco

almeno che capiste

che il dolore è distribuito

fra voi, fra tutta la vostra specie, perché io

possa riconoscervi, come il blu scuro

marchia la scilla selvatica, il bianco

la viola di bosco.



                                                  ***


FINE DELL'ESTATE


Dopo che mi vennero in mente tutte le cose,

mi venne in mente il vuoto.


C'è un limite

al piacere che trovavo nella forma...


In questo non sono come voi,

non ho risoluzione in un altro corpo,


non ho bisogno di un riparo

fuori di me...


Mie povere ispirate

creazioni, siete

distrazioni, in ultimo,

puri inceppi; siete

alla fine troppo poco simili a me 

per piacermi.


E così candide:

volete essere ripagate

della vostra scomparsa,

pagate tutte con qualche parte della terra,

qualche ricordo, come una volta eravate

compensate per il lavoro,

lo scriba pagato

con argento, il pastore con orzo

per quanto non è la terra 

a durare, non

queste schegge di materia...


Se apriste gli occhi

mi vedreste, vedreste

il vuoto del cielo

specchiato in terra, i campi

di nuovo nudi, senza vita, coperti di neve...


poi luce bianca

non più travestita da materia.



                                                 ***


TRAMONTO


La mia grande felicità

è il suono che fa la tua voce

chiamandomi anche nella disperazione; il mio dolore

che non posso risponderti

in parole che accetti come mie.


Non hai fede nella tua stessa lingua.

Così deleghi 

autorità a segni

che non puoi leggere con alcuna precisione.



Eppure la tua voce mi raggiunge sempre.

E io rispondo costantemente,

la mia collera passa

come passa l'inverno. La mia tenerezza

dovrebbe esserti chiara

nella brezza della sera d'estate

e nelle parole che diventano

la tua stessa risposta.




             Louise  Gluck  da   L'iris selvatico ( Trad. di M. Bacigalupo )



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