L' IRIS SELVATICO
Alla fine del mio soffrire
c'era una porta.
Sentirmi bene: ciò che chiami morte
lo ricordo.
Sopra, rumori, rami di pino smossi.
Poi niente. Il sole debole
tremolava sulla superficie secca.
E' terribile sopravvivere
come coscienza
sepolta sulla terra oscura.
Poi finì : ciò che temi, essere
un'anima e non poter
parlare, finì a un tratto, la terra rigida
un poco curvandosi. E quel che mi parve
uccelli sfreccianti in cespugli bassi.
Tu che non ricordi
passaggio dall'altro mondo
ti dico che seppi parlare di nuovo : tutto ciò
che ritorna dall'oblio ritorna
per trovare una voce:
dal centro della mia vita venne
una grande fontana, ombre blu
profondo su acqua di mare azzurra.
***
MATTUTINO
Padre irraggiungibile, quando all'inizio fummo
esiliati dal cielo, creasti
una replica, un luogo in un certo senso
diverso dal cielo, essendo
pensato per dare una lezione: altrimenti
uguale... la bellezza da entrambe le parti, bellezza
senza alternativa... Solo che
non sapevamo quale fosse la lezione. Lasciati soli,
ci esaurimmo a vicenda. Seguirono
anni di oscurità; facemmo a turno
a lavorare il giardino, le prime lacrime
ci riempivano gli occhi quando la terra
si appannò di petali, qui
rosso scuro, là color carne...
Non pensavamo mai a te
che stavamo imparando a venerare.
Sapevamo solo che non era natura umana amare
solo ciò che restituisce amore.
***
APRILE
Nessuna disperazione è come la mia disperazione...
Non avete luogo in questo giardino
di pensare cose simili, producendo
i fastidiosi segni esterni; l'uomo
che diserba cocciuto tutta una foresta, la donna che zoppica, rifiutando di cambiare vestito o lavarsi i capelli.
Credete che mi importi
se vi parlate?
Ma voglio che sappiate
mi aspettavo di più da due creature
che furono dotare di mente: se non
che aveste davvero dell'affetto reciproco
almeno che capiste
che il dolore è distribuito
fra voi, fra tutta la vostra specie, perché io
possa riconoscervi, come il blu scuro
marchia la scilla selvatica, il bianco
la viola di bosco.
***
FINE DELL'ESTATE
Dopo che mi vennero in mente tutte le cose,
mi venne in mente il vuoto.
C'è un limite
al piacere che trovavo nella forma...
In questo non sono come voi,
non ho risoluzione in un altro corpo,
non ho bisogno di un riparo
fuori di me...
Mie povere ispirate
creazioni, siete
distrazioni, in ultimo,
puri inceppi; siete
alla fine troppo poco simili a me
per piacermi.
E così candide:
volete essere ripagate
della vostra scomparsa,
pagate tutte con qualche parte della terra,
qualche ricordo, come una volta eravate
compensate per il lavoro,
lo scriba pagato
con argento, il pastore con orzo
per quanto non è la terra
a durare, non
queste schegge di materia...
Se apriste gli occhi
mi vedreste, vedreste
il vuoto del cielo
specchiato in terra, i campi
di nuovo nudi, senza vita, coperti di neve...
poi luce bianca
non più travestita da materia.
***
TRAMONTO
La mia grande felicità
è il suono che fa la tua voce
chiamandomi anche nella disperazione; il mio dolore
che non posso risponderti
in parole che accetti come mie.
Non hai fede nella tua stessa lingua.
Così deleghi
autorità a segni
che non puoi leggere con alcuna precisione.
Eppure la tua voce mi raggiunge sempre.
E io rispondo costantemente,
la mia collera passa
come passa l'inverno. La mia tenerezza
dovrebbe esserti chiara
nella brezza della sera d'estate
e nelle parole che diventano
la tua stessa risposta.
Louise Gluck da L'iris selvatico ( Trad. di M. Bacigalupo )
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