venerdì 15 gennaio 2021

FAVOLE E SEGNI DI PEDRO

 


                                                 Quando ormai sarai stanca di viverti...




PAURA DEL NULLA


Che corpi leggeri, sottili,

senza colore,

vaghi come l'ombre,

che non si possono baciare

se non posando le labbra

sul vento, contro qualcosa

che passa e sembra!


E che ombre così scure

tanto dure

che il loro freddo marmo nero

ma ci si arrenderà

per passione nelle braccia!


E che lavorìo, andare, venire

con l'amore rapido,

dai corpi all'ombre,

dall'impossibile alle labbra,

senza posa, senza sapere mai

se è anima di carne o ombra

di corpo ciò che baciamo,

se è qualcosa ! Paura

di amare il nulla!



                                           ***


LA SENZA PROVE


Quando vai via, com'è inutile

cercare per dove sei andata,

seguirti!

Se hai calpestato la neve

è come le nuvole

- un'ombra - senza piedi, né peso

che ti segnalino.

Quando cammini

a nulla ti sei diretta,

non c'è sentiero che dica:

" Passò di qui".

Dal centro puro ed esatto

mai di te stessa sconfini:

sono le strade confuse

quelle che incontro ti vengono.

Con la tua voce o col riso

tu sai così blandamente

il silenzio sbrecciare,

che non gli duole - neanche

ti sente:

continua a credersi intatto.

Se per i giorni ti cerco

o per gli anni,

non esco da un tempo vergine:

fu in quell'anno, il tal giorno,

ma non c'è l'indizio:

non ti lasci orme dietro.

E potrai tutto negarmi,

a tutto potrei negarti,

perché ti recidi le tracce

e gli echi e le ombre.

Tanto pura tu sei, tanto improbabile,

che quando più non vivrai,

non so come potrò accorgermi

che tu vivevi,

con tutto quest'immenso bianco

d'intorno, che ti ha creato.


                                                   ***


TU, MIA


Resta pure dove vuoi,

e cresci - se vuoi - ancora.

Io ti ho già mia.

Pur parlando giorni e notti,

nulla dici più: la tua ultima parola

fu quella che io ho udito.

Giornate stremi, e motori,

tante rotte vai cercando.

Quieta

te ne stai, fissa nel luogo

dove ho smesso di vederti.

Non farai un passo in più.

Non compirai più altri anni.

Nel tuo corpo passeranno

al completo gli almanacchi,

schiere di santi del giorno,

una volta e un'altra ancora.

Tu sei già una data sola.

E quando ormai sarai stanca

di viverti, negli specchi,

nelle ombre, dentro gli occhi,

di vederti così simile

a te, che vorrai essere te,

tornerai qui, sulla cima

più alta di te, in quell'attimo

tanto perfetto, eccellente

da non esserci di meglio

- che così volli lasciarti -

e me ne andai al tuo fianco

dicendo al tempo: ora basta.

Vivere era andare indietro.

Ormai tu avevi finito

- così sei mia - l'al di là.



                                        ***


IL TELEFONO


Eri qui vicina. Solo

dieci fiumi a separarci,

tre gli idiomi, due frontiere,

quattro giorni da te a me.

Tu però ti avvicinavi

- azzurri cerchi nell'aria -

con una gonnella bianca,

nella mano la cornetta,

sorridente nel filo.

Lungo il filo, nella notte,

senza vedere, venivi

al buio - dritta - a me.

Mi dicevi : " Sono qui.

Qui".

Mi raggiungevi,

nel filo, con la tua voce.

La tua voce, qui, era il mondo.

Che occhi incolori, che bocca

senza tratto, carne priva

del suo bianco, del suo rosa,

che tu, disfatta la voce!

Incominciavi a morire

nella notte, in solitudine,

di distanze e non vedersi.

Essendo solo una voce,

da lontano, nell'aria,

incominciavi a morire.

E tutto, tutto nell'aria,

su delle terre, tu, qui,

su delle terre, io, là,

così tinte di distanze,

così azzurre, che erano cieli.

Tutto in aria: quel brandello 

di te, così disperato,

che è la tua voce nell'aria.

Nell'aria ci sono i fili

dove stavi per tacere.

Dove stavi per morire.

Perché non saresti morta,

ninfa ora, in una splendida

erba di mito. Ma un letto

di acciaio teso, in un filo,

nell'aria,

tacendo saresti morta,

tu che vivi nella voce.



         Pedro Salinas   da   Favola se segno  ( a cura di Valerio Nardoni )



Nell'ininterrotta declinazione del suo personalissimo concetto di amore ( non facile né convenzionale ), la realtà pose sul cammino di Salinas un impetuoso incidente, l'incontro nella primavera del 1932 a Madrid, con Katherine Prue Reding, leggiadra studiosa del Kansas, all'epoca trentacinquenne.

Un innamoramento travolgente, una storia d'amore durata due estati e un corso accademico, " un incontro emotivo allegro, devastante e triste per entrambi" ( scriverà la stessa Katherine,) alla quale la donna pose fine a causa del tentato suicidio di Margarita Bonmati, moglie di Salinas.

Di quell'amore, che innescò il meccanismo compositivo di un capolavoro come La voz a ti debida , si seppe ufficialmente tardi, dopo la morte del poeta e grazie alla regia dell'inseparabile amico Jorge Guillén. Oggi, il lettore può immergersi in quel mondo appassionato consultando le lettere che Salinas inviò a Katherine ( circa la metà delle 354 scritte dal poeta e pubblicate in Cartas a Catherine Whimore , Tusquet 2002. )



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