E' segreta la frase
dei nostri deliri :
non una , però, neanche
questa notte
può ferire col buio l'aurora.
Un sorriso
reclama a chi piange
il passo del tempo.
***
Non ha senso
e ne dà. Come un giglio
che gridi a chi passa
da un ciglio di via:
" Fin qui visse un uomo "
***
In fondo è l'attesa perenne
che sia primavera,
è il passo tremante che segue -
fuggendo - la stasi.
Ma tra i colpi del vero sorprende
- premura inaudita -
che di là dal tempo e dai luoghi
noi siamo reciproca cura.
***
Ritorna la memoria al corridoio,
alla tua stanza
foderata d'ombra.
La porta austera, in vetro,
ci separa:
di là forse riponi una collana
nel portagioie,
di qua mi stringo al dubbio del silenzio.
Cos'è l'averti amata, se non la tregua
dal desiderio d'essere?
Cos'è, se non dolore, oltre la porta
saperti - inerme - attendere
l'appello dell'assenza?
Io serbo una speranza e cedo al vuoto,
dove non c'è più dove
e tace il quando:
amarti senza l'onore
di chi - ferito, stanco -
ama ed è.
***
E non mi scuote il punto di domanda :
che il peccato sia un dono o una colpa
è il dilemma del folle,
che l'amore sia un fiume
cui manca la foce - o la fonte -
è l'inganno del mite.
Questo mio sopravvivermi invece
non trova risposta
tra la polvere e i piatti di carta,
nell'istinto dell'acqua e del sonno.
E si nutre - spiraglio taciuto -
del tiepido gelo
d'esser qui, ma per sbaglio.
***
Eppure nei recessi del pensiero
dove mi è ancora dato
di tradirmi,
l'impermanenza annoda le radici
a superfici incerte,
al provvisorio.
Il numero di chi non ha più voce
è ancora - inerte -
nella rubrica dei vivi,
la polvere insegue l'assenza
e nel cassetto dell'infanzia
trattengo un'ultima biglia.
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Gerardo Masuccio da Fin qui visse un uomo
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