Sei entrato nel boudoir del mio cuore a luci spente. Hai teso le mani verso la fioritura dei pensieri e ti sei fermato in silenzio. Attorno profumi di amaryllis e gelsomini. Un sibilo nel vederti. Con gli occhi chiusi per abbandonarmi al destino. Era settembre e l'aria tiepida ovattava le nostre essenze errabonde. Fuori, i vascelli sonnecchiavano nel sole, mentre noi uscivamo dalle alcove del passato a labbra chiuse. I nostri passi cadenzati dalle onde del mare che nel suo grembo custodiva i piccoli segreti dei prossimi incontri. *** Certe sere, quando il giorno cede il passo a ombre lunghe e silenziose, il mio io si sente piccolo, più piccolo, quasi un filo d'erba. Il vivere diviene ascia che fende la bellezza del pensiero, rinnovandone la luce. Torneranno a tuonare fruscii di sospiri d'estasi e abbandoni le epifanie giallastre? Il ricordo di te mi assilla nei momenti in cui ogni sembianza vitale sembra perdersi tra le spume dell'inganno e i fragori del nulla. E tutto appare chiaro, luce sempre più luce, e il mio piccolo io si riempie di microsfere di cristallo e aromi d'immenso. *** Ho rincorso nel vento la tua voce di cristallo che aroma di amaryllis. Sei tornato per un istante nel mio mondo di arance e mirtilli. Ho cosparso il capo con nuvole di fuoco e mi sono immaginata creatura lieve. Mi sono costruita una piccola fetta d'infinito. *** La felicità è un piccolo istante, un flash che si adagia sugli angoli aguzzi della vita, una nebbiolina rincorsa dal vento. Bisogna non cadere nell'inganno, accontentarsi, fare finta che l'attimo sia infinito. Ascoltare il battito della spuma gioiosa, coglierne l'essenza ebbra di cielo, respirare il suo alito agrumato di vita. E poi si vive nel ricordo dell'istante, nella paura dell'oblio. Ma ritorneranno giorni rigogliosi di tempeste di luce e di squilli di trombe lontane, dove nell'anima si accenderanno piccole fiammelle di felicità. *** Piccoli frammenti di vita se stringi le mie mani nelle tue e illumini gli sguardi di acanti e biancospini. Procurami parole che possano evocare il senso profondo dell'esistere e sfavillii di mattini odorosi di sentimentale fragranza. Rivestimi di luce rossiccia perchè possa anch'io sfidare le zanne dorate del sole; quando mi dici suoni di errabonde altezze e fragori di cuspidi nel vento. Dònami risvegli di primaverile sostanza, quando il tuo essere cosparge le membra di segale di fuoco. Aiutami a percorrere i segmenti del transito terrestre e a lasciare piccoli segni del nostro passaggio. Elena Bartone da Piccoli frammenti di vita
RIMUOVERE DAL CORPO LE CROSTE DEL SILENZIO Rimuovere dal corpo che croste del silenzio; ciò che vive ed esposto grida e gira, lungo il viale il dolore si mescola al rumore. Per giungere alla chiaroveggenza si cerca un ritmo, uno qualunque che disallinei le arterie - sul viale la vita si piega, nel petto solo la voragine d'eterno, la frazione dello sbalzo sismico disegna nel palmo cataclismi. *** QUANDO LA PRIMAVERA TARDA Quando la primavera tarda e potrebbe non arrivare più in città, il cielo s'ingrigia su di lei - alzo gli occhi e perdo l'ampiezza. l'infinito è nelle strade. Ci sono colori negli ombrelli, nei fari, sui semafori. Bisogna illuminare la cromatura delle vie per rifare la primavera. *** CAMMINA INVISIBILE Cammina invisibile l'amore tra la folla affrettata e dolente negli sguardi presi dal perdersi. L'amore cammina solo, angelo trafitto da passi svelti. E' meno di un mendicante l'amore nell'ora di punta al binario dei treni e la città è incandescente minuti prima del tramonto. *** EREDITA' Per eredità chiedo solo il suo sguardo, che sempreverde vede il rompersi delle uova nei nidi, i passeri accasati sui rami. Il suo canto dice ciò che dalla vita ho imparato è quel primo volo, il secondo e poi il prossimo fino a possedere alle ali il vento e forti lanciarle nel tempo. *** STENDIMI UNA MANO SUL PETTO Stendimi una mano sul petto l'altra sulla scapola - lo senti il frastuono fra le dita? Tieni il cuore, insegna ad arrestare il corpo nel sorvolare gli abissi. Lo senti il silenzio? Soffiaci una vocale - le lacrime hanno vita breve. Insegnami a donare al vento e a non cadere. Francesca Cricelli da Repàtria
" Wenn die Tatsachen nicht der Theorie ubereinstimmen, um so schlimmer fur die Thatsachen " ( F. Hegel ) " Se i fatti non concordano con la teoria, tanto peggio per i fatti". Pare che Hegel l'abbia detto dopo che lo avevano informato che esisteva un altro pianeta, Urano, che lui non aveva calcolato, e questo contestava la sua teoria che potessero esistere solo sei pianeti nel sistema solare, come a dire "tanto peggio per Urano: sappia di non esistere! " Che l'abbia detto o no, gli corrisponde, e corrisponde al massacro che lui ha innescato, quello per cui l'idea vale più della realtà - convinzione che in psico- dinamica sarebbe definizione di stato psicotico, ma in filosofia ha avuto la più accreditata cittadinanza e ha creato il marxismo, il nazismo e tutte le ideologie opposte o simili. E i Gulag, e le oppressioni del popolo cinese sotto Mao Tse - Tung e tanto altro. Fabio Rosini da L' arte di ricominciare
Faccio grandi respiri di tempo e vedo le geografie della pelle solchi, colline, pianure, mani e i capelli annodarsi ai ricordi. Ogni volta che la notte mi ingoia i tuoi occhi mi percorrono il sonno. Abilio Estevez
Dici che dovremmo chiarirci parola dopo parola, punto per punto, è stupido buttare dieci anni così, senza spiegarsi. D'altronde la voce scioglierà questa tensione, ci farà più accorti, più pacati finalmente. Fuori nevica. Guarda, di là della finestra è un silenzio di rovine. *** Il vero diamante è quello nero della notte, quando il resto scompare e ci restano le cose, le statue ormai vuote di noi che non parliamo, tutto fissato, immobile, dita, labbra, lenzuola forse anche una farfalla, rimasta sulla bocca come una domanda. *** Amare è inoltrarsi, uscire in mare aperto senza bussola, senza cognizioni, attendere a un approdo di là della speranza, a un incontro, di là della ragione. Il resto è soffrire. Tutt'al più. *** A volte passeggiamo - io e te - per qualche strada, di qualche città. Non vedo niente io: sono troppo angosciato dal tuo viso, troppo legato. Non vedi niente tu, troppo lontana, troppo leggera: ti volti, sorridi, cambi passo. Fermati, amore, considera il baratro, guarda le mie mani, ferite per tenerti. Sii dolce. Il vento precipita gli aerei. Abbi cura di te. Enzo Lamartora da La dimensione della perdita
"Sono qui, con la notte e più lontano sotto la luce mangiano. Poche le mie parole : prato, casa, non so se arriverai, e quel cortile nella luce dagli alberi mi dirà vivi, cambia. Più su le stelle, e una sera non so perché avevo paura,perché la stanza - suonano, non lasciarmi qui - era più su della stanza. E le mie parole dopo le mie, la terra tutta, rotonda, intera, da lontano come il mio corpo." M.B. Il mio nome ha sbagliato a credere nella continuità commossa, i suoi luoghi intimi antichi, la mia storia. Le parole hanno fatto il loro corso. Gli ospedali non hanno corsie. Dal cimitero dei cani vicino alla discarica di Limbiate escono i morti al guinzaglio. Non si addensa nulla. Si disperde al telefono il mio petto. Le parole hanno fatto il loro corso. Sei solo stanco, ripete una voce qualunque. *** Le parole non sono per chi non c'è più. Si commuovono e possono dire il viso morto. Gli occhi erano quelli che mostrava, il vestito sepolto quello visto altre volte. Vedere che non ci sei più, non dire niente. *** Mandami le ossa, mandami il cranio senza gli occhi, la mascella aperta, spalancata, fissa nei denti, e i calzini sotto la tuta, eri rigido, eri rigido, eri una cosa come un'altra, senza la forma che hanno i tavoli, morso dallo stento del vivere, una cosa inservibile, indecisa, un terriccio che non si nota, un pezzo di asfalto di una strada anonima, eri tu, quella cosa, eri tu, quella cosa, eri uno che è morto. Così fragile il tuo sorriso, lo sguardo blu e gli zigomi, il metro e settantacinque portato come un uomo che piace, che vive per sempre, per sempre dentro una vita che per poter essere vissuta deve sembrare una vita per sempre, mentre eri della carne, quello che io sono uno per sempre ancora. *** I visi senza le ossa, le nostre cartilagini tra la sterpaglia sollevano letti di foglie come farina e acqua impastate senza mani. Un altro novembre sta seduto nel vuoto, le parole fanno buche di campo, alzano berretti di zolle dalla terra arata. *** Sono questo. Questa mortalità che mi assedia, che si concentra negli occhi, nelle mani. Intorno sono mute le cose, le facce che si muovono senza motivo, e sento dissolvermi tra questo. Mario Benedetti da Tersa morte
Clive Staples Lewis scrive ( genialmente ) una serie di lettere di uno zio diavolo al suo nipote ( pure diavolo ) che sta imparando l'arte di tentare gli uomini. Nel suo linguaggio, tutto è rovesciato, e il " Nemico" è il Padre Celeste.
(...) Gli esseri umani vivono nel tempo, ma il nostro Nemico li destina all'eternità. Perciò - credo - Egli desidera che essi si occupino principalmente di due cose : dell'eternità stessa, e di quel punto del tempo che essi chiamano il presente. Il presente è infatti il punto nel quale il tempo tocca l'eternità. Del momento presente, e soltanto di esso, gli esseri umani hanno un'esperienza analoga all'esperienza che il nostro Nemico ha della realtà intera: soltanto in esso viene loro offerta la libertà e la realtà. Egli vorrebbe perciò che essi fossero continuamente occupati o con l'eternità ( il che vuol dire essere occupati di Lui ) o con il presente - o che meditino sulla loro eterna unione con Lui, o sulla separazione da Lui, oppure che obbediscano alla voce presente della coscienza, portando la croce presente, ricevendo la grazia presente, offrendo azioni di grazie per il piacere presente. E il nostro lavoro è di allontanarli sia dall'eterno sia dal presente. (...)
Clive Staples Lewis da Lettere di Berlicche E mastro diavolo continua spiegando che soprattutto il futuro, ossia il tratto di strada fra il presente e l'eternità - per sua natura assolutamente immateriale - è la cosa in cui bisogna che la tentazione concentri l'uomo, sicché uno viva di nulla, torturandosi nelle ipotesi. Quindi, o fomenta pensieri distruttivi o sposta l'attenzione dal bene reale a quello ipotetico, e comunque opprime il bene possibile, lanciandolo nel pindarico. Il risultato è che uno pensa alla casa in cui abiterà e non abita la presente. ( f. )
Sembra così semplice - vegetale- il senso della fatica...
DI CHIAR- AZIONE Fu una sensazione particolare, un fagiolo. Mi credevo malato, sottoterra sforzavo la gravità, dovevo solo nascere. Il calore non era statico, ché trasformavo in varco energie intorno transeunti. Mi dico forte nell'attesa verde. Ora so che qualcuno mi ha visto, un dolce attimo memorabile, la prima luce diretta, un paradiso. La sorpresa che dovesse affondare dentro tutto il mio essere, ascoso. Il primo colpo di vento, crudele. Mi dico debole, impressionata. Sembra così semplice, vegetale il senso della fatica. Affioro appena e capisco : nell'aria un procedere diverso si prospetta, altri lavori, sebbene fiorirò queste stesse radici. Allo scoperto sto uscendo, mi dico sottovoce. *** CàPITA DIVENTANDO VECCHI di stare più che quieti a lungo nella stessa posizione sulla panchina e forse è rattrappirsi che invecchia. Senza batter ciglio pensavo alle mie ossa e càpita un pettirosso, arzillo. Saltella e mi occhieggia mostrando un profilo poi l'altro. Motivo in più per non spostarmi. *** ITERATE TIRITERE Distrazioni Stra - azioni Trazioni Strazio *** POSTADRENALINICO si sento lo sfinimento sfilaccio se a volte nemmeno me ne accorgo, misura o quale peso potrei darvi ho un piede nella fossa son malata. di bellezza di questa mi fu accordata mentre mi scorre la vita davanti sono inutili tutti questi pianti non so da chi possa averlo imparato. so di essere dura di cervello fatto sta che si è stabilito il bello e tutta la fatica di seguirlo l'inutile delitto del rovello il morire di estrema consunzione capisci che mi passa sulla testa: è l'ora dolce, passa la dolcezza. *** E- BBREZZA bimba se vai veloce arrivi prima te l'assicuro credi non c'è trucco, raro accade nella vita che mima ergo corri non rimaner di stucco scordati l'inciampo nella testa sgombra da crucci fuga la lentezza i ritmi scontati: per far festa i pensieri aboliti dalla brezza. *** FIERO CHE LA VITA TI FORTIFICHI in nugoli di mandorli e mimose soffici macchie bianche rosa gialle voli come nuvole nel gran vento. veloce figlio della nostra terra, favole di primavera corrono tempi non felici controcorrente... vai la tua vita come fosse niente. Chiara Adezati da Soste e percorsi
Se vuoi dimenticarmi non pensare che cosa fare per dimenticare se non ricordi - e lo spettro riappare! Sono io il mio rimorso, il morto che non so dimenticare, il fantasma senza pace che riappare - così di colpo sbucando da me stesso non essendo uno in un'anima e una salma e niente, niente di peggio dell'assillo di come scancellarmi per tornare a imperversare spettro odioso ossesso assalitore di me stesso. Come farmi sparire? Ecco il pensiero con cui mi chiamo dal mio cimitero. *** Buona, belva mia, ritira gli artigli: lasciami quieto e illeso al sole - allontanàti tutti i pensieri, via nell'azzurro fluttuanti con le nivee lane dei tigli che l'attraversano e trascorrono per l'aria come una bufera d'anime: animale celeste e terrestre che una certezza riempie d'immortalità e restituisce a cielo e terra: un corpo che riposa e il sole scalda, mentre i merli tra i rami, i passeri a volo e i colombi assidui sui cornicioni fanno il loro meridiano dolce strepito. *** Com'è dura, com'è dura l'attesa di chi non ha dato, non ha ricevuto amore - e ora lo indovina stretto nel pugno chiuso di Dio - per lui perduto - anche se lo spera tenuto in serbo, riservato alla gloria di un domani donato : ah la vipera speranza, la vita in sudori d'agonia che ancora si sbraccia, dilata l'occhio - ansima. *** Caliamo la serranda, il sipario d'ogni giorno sul giorno che se ne va e sulla sedia posiamo le vesti di scena, e via incontro al sonno o all'insonnia, la solita insania notturna che salda notte a notte : se le giornate hanno il soffio fermo dell'eternità, le notti il piombo della morte. *** Braccato da Dio o dalla Morte? O solo dalla mia mente - dal vuoto, dal niente con cui mi tendi agguati - o qualche dèmone acquattato, paziente mi sta intorno sempre, mi strema col silenzio e aspetta il suo turno? *** La mente sgombra, trasloca, lascia la carne, armi e bagagli, rientra in sé - a riparare i danni resta il povero corpo carpentiere rozzo sagace nel suo mestiere. *** Alza gli occhi all'azzurro, guarda le nuvole, guarda le belle nuvole nubiane che in carovana nei cieli di Roma passano, sostano, sospinte dal vento negriero, nere e luminose : da loro prendi lezioni di docilità e splendore guardale transitare nel loro fulgore fuggevole, incuranti di restare. Gianfranco Palmery da Compassione della mente
( ...) Che senso avrebbe questo se la nostra bambina fosse soltanto una carne malata, un po' di vita dolorante e non invece una bianca piccola ostia che ci supera tutti, un'immensità di mistero e di amore che ci abbaglierebbe se lo vedessimo faccia a faccia... (...) Emmanuel Mounier da Una lettera che scrisse alla moglie Paulette per riconsiderare la dolorosa vicenda della loro piccola e unica figlia Françoise che, colpita da una meningite poco dopo la nascita, fu affetta da una grave forma di disabilità e non recuperò mai l'uso della parola né alcuna autonomia. Inoltre, a due anni, nel 1940,la bimba entrò in coma e vi rimase fino alla morte, avvenuta nel 1954, quando il filosofo era già deceduto da quattro anni a causa di una crisi cardiaca.
" Il dolore è come un ospite troppo grande: costringe a cambiare le misure" . ( E. Mounier ) (...) Lo sforzo spirituale, in una religione di trascendenza, di interiorità e di incarnazione nel tempo, dev'essere sollecitato in altezza, larghezza e profondità. Essa non dovrebbe mai inoltrare un rifiuto o proporre un sacrificio che non sia accolto e come negato in una accettazione superiore:lo sforzo esclusivo contro l'istinto fa perno sul rifiuto e prima irrigidisce, presto paralizza tutta la vita psichica in un atteggiamento abituale d'inibizione. Chi passa tutta la vita a frenare, a respingere, a calpestare, non riesce a proporre alla vita altro che gesti di negazione e di ripiegamento; l'iniziativa e la creatività, come l'amore, vengono solo da un'apertura interiore. Ecco la sorgente di quella tristezza opaca e un po' ebete che troppo spesso vediamo entrare e uscire dalle chiese e dai templi .(...) Emmanuel Mounier da L' Affrontement chretien
" Nella sessualità emerge chiaramente il principio cui obbediscono le donne che mangiano troppo: sopportare, reprimere il loro desiderio o l'assenza di desiderio e al tempo stesso sforzarsi fingendo una voglia che immaginano ci si aspetti da loro. In questo modo credono di aver tutto in pugno" . (Renate Gockel )
ANESTESIA : per non pensare e per non sentire nulla di quanto viene da dentro; tutto fa troppo male. ANGOSCIA : preoccuparsi di divorare del cibo è un modo per non perdersi in sentimenti troppo violenti. ANSIA : si sfoga con le abbuffate la necessità di essere perfetti, capaci sempre e in ogni occasione, comunque all'altezza di un compito stressante e impegnativo. CONFUSIONE : non si capisce più che cosa si voglia; la testa " in tilt" trova nel cibo un punto fermo. CONSOLARSI : un modo per farsi compagnia - per rassegnarsi alla solitudine. CURARSI : si è così presi dal dare attenzione agli altri che si ha solo questo modo per regalarsi qualcosa. DISPERAZIONE : non si trova altra via d'uscita ad un compito impossibile. DOLORE : per dimenticare la tristezza di un fallimento o l' amarezza di una delusione. INSICUREZZA : non ci si sente mai all'altezza. NASCONDERSI : la fragilità della propria vita emotiva rende rischioso avere qualcuno vicino; mangiare diviene più sicuro che stare con gli altri. PAURA : si è sempre in allarme con il timore che succeda qualcosa ; il cibo distrae e tranquillizza. RABBIA : serve proprio qualcosa da divorare. RESPONSABILITA' : si è schiacciati dal peso della responsabilità eccessiva; ci si sente in dovere dal fare tutto per tutti; il peso del mondo è tutto sulle nostre spalle: si mangia per sostenerlo. RIBELLIONE : trasgredire le regole di una dieta serve a dire " basta " agli altri compiti. RICOMPENSA : un modo dannoso per farsi un regalo. RIVENDICAZIONE : si deve sempre dimostrare di non essere inferiori: anche sbranando. RUBARE : le cose piacevoli possono essere prese solo furtivamente, la notte, in solitudine... VUOTO : non si sa proprio che fare di se stessi. Romana Caruso da Mangiare l'amore
" L' anoressica sembra dire : Tengo sotto controllo il mio corpo e i suoi bisogni, e vi odio tutti, voi che siete così deboli da cedere ai bisogni del vostro corpo. Io sono più forte di voi, mi sento superiore. Un soggetto anoressico ha sempre un che di inavvicinabile " . ( Renate Gockel ).
AUTOSUFFICIENZA :si ha la pericolosa illusione di poter vivere senza niente e nessuno; perfino senza mangiare. AVERE IMPORTANZA : se non si è in pericolo per il proprio fisico non si ottiene considerazione. INDEGNITA' : non si è all'altezza, non si merita nulla. PUNIRSI : un modo per scontare le proprie " mancanze ". RABBIA : lo " sciopero" è un mezzo per protestare quando non si è ascoltati in altra maniera. RIMANERE PICCOLO : le responsabilità fanno troppa paura; mangiare vuole anche dire diventare grandi. TIMORE DI ESAGERARE :si vorrebbe gustare la vita, ma si teme di lasciarsi andare, di non riuscire più a smettere; meglio non correre il rischio. Romana Caruso da Mangiare l'amore
" Le persone che soffrono di disturbi alimentari, temono di essere scoperti. Hanno bisogno di distanza proprio per non essere visti come in realtà sono: esseri fragili,bisognosi, con il terrore di essere respinti". ( Renate Gockel ) NON ESAGERARE : anche concedersi poco è già troppo. NON ESSERE COME VOGLIONO GLI ALTRI : per eliminare tutto ciò che non è proprio. LIBERARSI :della pesantezza di un legame; il cibo è nutrimento velenoso che non si può fare altro che sputare. PULIRE : un corpo sporco e vergognoso di cui si vorrebbe cancellare ogni traccia. Romana Caruso da Mangiare l'amore
Stendhal indica nella storia di Abelardo e Eloisa il prototipo della passione d'amore, distinta da altri sentimenti che, pur simili nel comportamento, ne sono invece infinitamente lontani, come l' amour vanité, ispirato da ragioni sociali più che da quelle del cuore. Varie forme si intrecciano nella passione d'amore di Eloisa, ma alla fine si riconoscono chiaramente una forte attrazione sessuale e l'ammirazione per il valore intellettuale dell'amante. E non cessò mai questa ammirazione totale e sconfinata per l' Abelardo maestro, filosofo e guida morale. E' sempre a lui che Eloisa chiede come pregare, come comportarsi e vivere nel monastero, reggere da badessa le consorelle. Un'ammirazione - se vogliamo - paradossale perchè non le erano mancate cocenti delusioni: Eloisa stessa, nelle sue lettere, confessa di aver talvolta giudicato Abelardo egoista, freddamente geloso, e - temuto - persino esteriore e calcolatore in amore, più preoccupato della sua carriera che del bene di lei, più sessualmente attratto che realmente innamorato. Su questo punto, Eloisa aveva ragione? Basta rileggere le poche pagine che Abelardo dedica nell'autobiografia alla sua vicenda d'amore e le parole, esitanti, impacciate e dolorose delle due lettere che rispondono alle prime di le, irruenti e impietose. Teniamo presente che chi scrive era allora un uomo malato che - superata la cinquantina - si sentiva vecchio e assalito a tratti dalla paura della morte; colpito da molte disillusioni. Vi troviamo - come sempre accade nella realtà dei sentimenti - forze opposte, nodi da sciogliere, grovigli di verità contrastanti. Abelardo ricordava che, all'inizio, fiducioso nella sua prestanza fisica e nella sua fama e " non temendo alcun rifiuto ", aveva preparato un piano di seduzione non diverso dai ben costruiti piani di battaglia con i quali aveva conquistato la Scuola di Parigi e il successo : era senza dubbio innamorato, ma al contempo studiava una strategia per avere Eloisa vicina e farla sua. E il racconto delle sue manovre ci appare a tal proposito a volte freddamente razionale. Ma poi avvenne qualcosa :" i nostri animi si intesero completamente e ci abbandonammo interamente all'amore" dice. Anche il testo dell'autobiografia ripete più volte la parola " amor", non solo sensualità, quando parla di quei giorni felici: era dunque un amore pieno, da cui corpo e mente erano interamente travolti. Abelardo dunque sapeva e confessava chiaramente di aver amato Eloisa " senza misura ". ( f. )
Sarcofago di Abelardo e Heloise - Cimitero di Pere- Lachaise, Parigi
LETTERA DI ABELARDO (...) Che cosa posso dire? Prima ci ritrovammo uniti nella stessa casa,poi nell'animo. Col pretesto delle lezioni, ci abbandonammo completamente all'amore;lo studio delle lettere ci offriva quegli angoli segreti che la passione predilige. Aperti i libri, le parole si affannavano di più intorno ad argomenti d' amore che di studio; erano più numerosi i baci che le frasi, la mano correva più spesso al suo seno che ai libri. E ciò che si rifletteva nei nostri occhi, era molto più spesso l'amore che non la pagina scritta, oggetto della lezione. Per non sollevare sospetti, a volte la percuotevo, ma ero spinto dall'amore, non dal furore, dall'affetto, non dall'ira, e queste percosse erano più soavi di qualsiasi balsamo. Come concludere? il nostro desiderio non trascurò nessun aspetto dell'amore: ogni volta che la nostra passione potè inventare qualcosa di insolito, subito lo provammo, e quanto più eravamo inesperti in questi piaceri, tanto più ardentemente ora ci dedicavamo ad essi e non ci stancavamo mai. Invaso completamente da questa passione, avevo sempre meno tempo libero per dedicarmi alla filosofia e ai compiti scolastici. Mi divenne quasi insopportabile recarmi a scuola o restarvi, e mi divenne anche molto faticoso, perchè di notte mi dedicavo alle veglie d'amore e durante il giorno alla studio. Le mie lezioni allora si fecero poco accurate e fredde: nessuna delle cose che dicevo era frutto del mio ingegno, ma solo della mia lunga pratica. Non facevo altro che ripetere ciò che avevo pensato precedentemente, e se inventavo qualcosa di nuovo, erano poesie d'amore, non questioni filosofiche. Ancora oggi molte di queste canzoni sono conosciute e cantate in diverse regioni, soprattutto dagli amatori che vivono una vita simile alla nostra di allora. Ma, per questi stessi motivi, quando si intristirono, quanto piansero e si lamentarono i miei discepoli quando intuirono che ciò che occupava il mio animo, o meglio, il mio tumulto interiore! A quel punto le cose erano così evidenti che solo poche persone potevano essere ancora ingannate. Credo una soltanto: lo zio di Eloisa,colui che più di ogni altro era colpito dalla vergogna. (...)
LETTERA DI ABELARDO (...)Quanto grande fu il dolore dello zio quando seppe queste cose! Quanto grande fu il nostro dolore di amanti nell'essere separati! Quanto fui confuso dalla vergogna! E quanto afflitto dalla preoccupazione delle sofferenze della mia giovane donna! Quali tempeste di tristezza dovette sostenere Eloisa,sentendosi la causa della mia vergogna! Nessuno di noi due si preoccupava per sé, ma per ciò che colpiva l'altro; nessuno dei due piangeva per le sue disgrazie, ma per quelle dell'altro.Noi, fisicamente, eravamo separati, ma le nostre anime erano così unite che nulla poteva dividerle e, superata la vergogna, la passione d'amore ci ritrovò ormai privi di pudori. Da allora il nostro comportamento ci apparve meno scandaloso proprio perchè la nostra passione dovette combattere sempre meno contro la vergogna: ci accadde esattamente ciò che successe a Marte e Venere quando vennero scoperti, come racconta la favola del poeta. Non molto tempo dopo Eloisa si accorse di essere incinta e con grande gioia mi inviò subito una lettera per chiedermi che cosa volessi fare. Una notte, come ci eravamo accordati, la portai via di nascosto dalla casa di Fulberto mentre egli era assente, e la mandai senza indugi in Bretagna, nella mia patria. Là, abitò a casa di mia sorella fino a quando nacque il maschio che chiamò Astrolabio. (...)
LETTERA DI ABELARDO (...) Dopo la nascita di nostro figlio, lo affidammo a mia sorella e ritornammo di nascosto a Parigi. Pochi giorni dopo passammo in segreto la notte pregando in una chiesa e in quello stesso luogo, di primo mattino, fummo uniti dalla benedizione nuziale alla presenza di suo zio e di alcuni amici, suoi e nostri. Poi ce ne andammo subito,separatamente e di nascosto e anche in seguito non ci vedemmo se non raramente e in segreto. Ma lo zio di Eloisa, nel tentativo di lenire la sua vergogna, cominciò a diffondere la notizia del nostro matrimonio, mancando così alla parola che mi aveva dato. Eloisa invece negava ogni cosa e giurava che era tutto falso, nonostante Fulberto, infuriato con lei per il suo comportamento, la ricoprisse di insulti. Quando venni a saperlo, la mandai in un'abbazia di monache vicino a Parigi, chiamata Argenteuil.Era l'abbazia in cui in passato, quand'era bambina, Eloisa era stata educata e aveva studiato. Le feci preparare un abito da monaca, adatto nel suo soggiorno nel monastero e glielo feci indossare, ad esclusione del velo.Ma, non appena suo zio e i familiari lo seppero, si convinsero che li avevo ingannati e che volessi far indossare ad Eloisa l'abito monastico per liberarmi di lei senza difficoltà.Per questo si indignarono e insieme congiurarono contro di me.Così una notte, mentre dormivo in una camera appartata della mia casa, dopo aver corrotto uno dei miei servi con del denaro, mi punirono infliggendomi una vendetta crudelissima e vergognosissima. Il mondo accolse questa notizia con sommo stupore : quegli uomini amputarono la parte del mio corpo con cui avevo commesso l'ingiustizia che offese i parenti di Eloisa.I colpevoli fuggirono immediatamente dopo il misfatto, ma due furono catturati e puniti con l' accecamento e l'amputazione dei genitali. Uno dei due era il domestico di cui ho parlato, il quale aveva continuato a mostrarsi pieno di rispetto per me anche quando l'avidità lo aveva già spinto a tradirmi. (...)