domenica 28 ottobre 2018

L'AMATA ( Lettere di e a Elsa Morante ) 5


Parigi, 28 Aprile 1948

Da R.T.M.  a  E.M.

(…) Cara Signora,
       prima di partire da Londra stamattina ho avuto tua lettera e ti
       scrivo al nuovo indirizzo che tu mi dici, sebbene tu non
       riceverai mie lettere non per colpa di un cattivo indirizzo, ma
       per colpa che io ho stabilito dopo nostro ultimo incontro qui a
       Parigi di non scrivere a te mai più e non darmi più noie per te.
      - Adesso la tua civetteria di scrivere a me e la mia buona
       educazione di rispondere si deve questa mia risposta.
       La tua lettera è un nuovo segnale di quello che tu sei sempre
       stata e sei ancora. Tu non ti basta di un uomo solo, vuoi due
       uomini, sarebbe dire non vuoi perdere tuo grandioso scrittore
       e pure lui paura di me che non mi curo più di te e mi scrivi se
       io non ti scrivo. Era uguale qui nei giorni passati quando tu
       facevi pianti e lacrime perché suponevi me che dedicavo a un'
       altra persona. Graziadio io ti conosco e so quanto valore si dia
       a te. Ma basta - e in questo foglio ti ripeterò ancora  un'ultima
       volta le stesse cose dette qui per voce e dopo di questa ultima
       volta se non fai per rispondere sì a mie domande, ti prego di
       non scrivere a me e di non cercarmi in tuoi viaggi coniugali e
       non rompere più mai a me i coglioni. Vedi che adesso ho
      imparato a scrivere bene la parola in italiano dopo tua lezione.
      Adesso ascolta quello che ti dice Riccardo per l'ultima volta:
      Io sono libero non più sposare a nessuna e amo una ragazza di
      nome Elsa che è mia, come mia moglie - ma se non è moglie a
      me non la voglio. - Io non amo una signora Moravia e non
      voglio più conoscerla e non voglio essere la persona con cui si
      va nel tempo libero senza dirgli indirizzo - ho provato troppi
      dispiaceri in giorni che eri qui per riprovare una prova uguale.
      Per me è stato un inferno e non sapevo più come salvarci
      quando tu ritornavi al tuo albergo. So pure come sei falsa e ti
      legevo la bugia  nei occhi quando giuravi a me che da sei anni
      non vai più vicino al tuo presente marito. Io non posso
      sopportare nemmeno che tu porti sulle tue gambe delle calze
      che non comprate da me stesso o usi un fazzoletto o un guanto
      non dati da me.Adesso se odo le altre persone dire parole come
      Baltimore ( ? ), mi sento come dei vuoti d'aria che si rompono
      nella mia testa.
      Ma basta.
      Io non voglio mai più sapere di te così. Era meglio non vedere
      te più. I Tedeschi hanno pulito il mondo di tanta gente, ebrei e
      piccole ebree e altra gente di diverse razze e vi furono masacri
     e ruine e speravo te morta in qualche Campo di Concentrazione
     Invece tu sei rimasta e venivi qui da me come una donnetta
     adultera pretendendo che mi amavi al cinquecento per cento!
     Basta! Io ti faccio molto onore a volerti per mia moglie sebene
     io sia un eroe per serve, che tu mi dicevi gentilmente questi
     giorni una volta. Io non sono un grande autore - servetta mia -
     ma il mio nome non è di certo ultimo in Gran Bretagna e tu non
     sognavi meglio tredici anni fa che pure eri più bellina e valevole
     assai di non adesso.
     Se vuoi così, fai un telegrafo qui a Parigi a mio indirizzo di mia
     sorella e io posso essere a Roma il giorno dopo e provedere
     ogni cosa per te come ti dissi. Se no, non scrivere più mai: io
     stracierò le lettere senza leggere e sarò finito per te!.
     Addio.

                                      R. (…)


Lettere di e a Elsa Morante  da  L'amata ( a cura di Daniele Morante )
     

2 commenti:

  1. Dall'amore appassionato a sperarla morta in un campo di concentramento?!? Il linguaggio mi fa pensare a quello telegrafico, con il tempo infinito perenne...

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  2. Quell'affermazione - in effetti - ha sconcertato molto anche me. Ma capisco ( la conoscenza della psiche umana me ne dà molte prove ) come si possa passare da un " amore " sviscerato ( che è più una passione ) al desiderio di morte dell'oggetto stesso di quel desiderio. Come dire : " O quella persona ( oggetto) è mio, o non accetto che sia di nessun altro" . Per capire meglio queste dinamiche che sembrano paradossali, bisogna andare parecchio indietro nell'analisi
    a rivedere i primi sentimenti del neonato verso " l 'oggetto d'amore primario" che è la madre. Non è forse vero che per il neonato esiste un " seno buono " e uno " cattivo?". Quando la mamma mi concede il proprio corpo ( il latte ) per la mia soddisfazione ( e sopravvivenza ), è un oggetto d'amore buono, viceversa il seno diventa " cattivo"( dalla felicità si passa alla frustrazione).
    E se è così per i neonati, figuriamoci quante diverse sfumature può assumere nell'adulto questo sentimento!
    Grazie del commento.

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