giovedì 25 ottobre 2018

LA VITA, ALTROVE ( Julia Kristeva ) 2


(…)S. D.

    Come è arrivata a incontrare Philippe Sollers ? ( marito )


   J. K.

  
  Gérard  Genette ( saggista francese ed esponente di spicco dello
  strutturalismo insieme a Barthes e a  Lévi- Strauss , n. d. r ) mi
  aveva consigliato di leggerlo e di intervistarlo - cosa che ho fatto.
  A " Tel Quel ", Sollers mi ha innanzitutto presentato a Marcelin
  Pleynet oltre che a Jean - Louis  Baudry, che erano molto legati
  a lui.Soprattutto però,ci vedevamo spesso con Roland Barthes per
  lunghe cene amichevoli al ristorante Le Falstaff, a Montparnasse,
  dove parlavamo di letteratura, di quel che loro scrivevano, anche
  delle mie ricerche e un po' della vita politica - era prima del
  Maggio '68.  Niente stava più al suo posto, l'esistenza di ciascuno
  di noi era sconvolta e restava quel magnetismo della scrittura che
  riuniva il nostro insolito trio…
  Roland ci lasciava verso le 22,30 per andare ad abbordare
  qualche ragazzo a Saint- Germain, per un verso soddisfatto di
  liberarsi, per l'altro di dover pagare " l'arroganza dei disgraziati"
  E ho riconosciuto in lui un'omosessualità pudica e imbarazzata
  ben diversa dallo stile aggressivo e militante di Foucault- per
  esempio - che si è affermato più tardi.

  S.D.

  Come definirebbe il vostro rapporto? Un cameratismo tra
  intellettuali, una benevola cordialità, un'amicizia ? O un legame
  più sottile?


  J.K.

  La simpatia fu immediata e spontanea.Nessuna domanda, nessuna
  curiosità. Mi bevevo le sue parole e rispettavo i temi di cui
  decideva di parlare o di non parlare. Conservo le lettere nelle
  quali si preoccupava per la mia salute e mi consigliava di non
  affaticarmi, di riguardarmi e riposare. Barthes era il solo ad
  accorgersi che io non mi prendevo cura di me stessa, lui che
  conosceva così bene l'opera della morte su di sé. Era forse
  persuaso dall'idea che noi fossimo tra quegli esseri " senza
  famiglia" poiché profondamente segnati dai legami incestuosi che
  ci impediscono di mettere radici ovunque fuorché nell'adattarsi,
  nell'apparentarsi con stranieri? Pare abbia confidato a Hubert e
  Teri Damisch che, se non fossi stata sposata, io sarei stata la sola
  donna che avrebbe potuto sposare. Non credo che queste parole
  esprimessero una di quelle crudeli ironie delle quali era capace.
  Piuttosto un mormorìo di solitudine, un'ammissione d'impotenza
  amara e indefettibile. Le nostre relazioni affettive restavano
  discrete, di un ardente platonismo. (…)


Julia Kristeva  da  La vita, altrove (  Autobiografia come un viaggio )

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