venerdì 19 ottobre 2018
LETTERE ALLA MADRE ( Postfazione )
(…) La prima delle lettere raccolte in questo volume è stata scritta
da un ragazzo di non ancora tredici anni; l'ultima, da un uomo
di non ancora quarantacinque che dopo poche ore sarebbe
stato colpito o - come usa dire - offeso dall'attacco di una
malattia mortale - la malattia della sua morte. Tra l'una e l'
altra, scandito da tante altre lettere piene di tenerezza,
sgomento e furore, si stende il tempo durante il quale il"grande
abbandonato " ha scritto un libro di poesie che inaugura e
oltrepassa la storia della lirica moderna; un libro di prose che
fissa insuperabilmente il modello di un genere letterario;alcuni
saggi che fondano il pensiero estetico e la critica d'arte
contemporanea. Non è certo facile, per il lettore di questo
romanzo epistolare univoco e involontario, orripilante e
sublime, conciliare la pietà suscitata dall' " interdetto" ( come
egli stesso si definisce, alludendo all'indelebile umiliazione
giudiziaria inflittagli dalla madre ), torturato dai debiti e dal
disamore, dall'incomprensione altrui e dalla propria
" svogliatezza ",con la venerazione dovuta ad uno dei più grandi
artisti e dei più lucidi e operosi intelletti che l'umanità abbia
mai prodotto. Forse conviene rassegnarsi alla divaricazione,
all'acuto senso di vertigine che la cosa comporta. Baudelaire
sarebbe stato Baudelaire se non fosse stato - appunto - il
grande abbandonato, l'interdetto di cui queste lettere ci
mostrano e ci fanno ( nel vero senso della parola ) toccare con
mano l'abissale e consapevole infelicità ?. Rispondere a questa
domanda mi parrebbe impossibile se non lo stimassi - prima
ancora - del tutto inutile. La poesia di Baudelaire è stata ( è)
ciò che la sua vita ha voluto che fosse, e viceversa;e l'una e
l'altra sono state ciò che la sua mente e il suo cuore hanno
concepito e nutrito, con riluttanza e terrore pari alla fermezza,
giorno dopo giorno.
Quanto ai suoi rapporti con la madre e con il patrigno- quel
colonnello ( poi generale, poi senatore ) Aupick che durante i
moti del '48 Baudelaire andava dicendo di voler far fucilare e,
accanto al quale la madre lo farà amorevolmente seppellire -
chi può avere la pretesa di analizzarli e interpretarli dopo
tutto ciò che lui stesso ne ha capito e fatto capire nelle sue
poesie, nelle sue lettere, nei folgoranti frammenti delle sue
mai scritte " confessioni" ?. E' strano che non pochi abbiano
avuto questa pretesa col risultato di scoprire che chi si
definiva " punitore di se stesso" " vampiro del suo cuore" e
" grande abbandonato", soffriva - in effetti - di masochismo
morale, bisogno di espiazione e sindrome di abbandono ( a
sfondo edipico,ovviamente ). (…)
Giovanni Raboni
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Una presentazione interessante
RispondiEliminaE' sempre un piacere leggere Raboni, sia come poeta che come commentatore.
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