Il tuo rincorrere i miei occhi nelle sere che ci dividono...
Nato per caso in un giorno di resurrezione, non sei più andato via, scolpito nel marmo della mente per lasciarti guidare Un tempo ora i ricordi si perdono nei frammenti di vetro dei nostri cuori agitati. Luminescenze di una luna che unisce pianto e parole, sabbia e vento, scarni sorrisi e rimpianti. Il tuo muoverti e fermarti, la mia lucida follia che ti copre le spalle. Ancora il tuo rincorrere i miei occhi nelle sere che ci dividono le anime come gocce lente lievemente sparse a riempire un fiume. E oltre scorre la gente abusata di parole che raccoglie sermoni all'uscita delle chiese e taglia le gambe per scandalizzare e uccidere il nostro sogno di viverci. Adesso ci troviamo spesso a sanguinare nascosti alle nostre stesse emozioni vicini, distanti, estranei, amanti con le mani ansiose d'essere ancora unite nel delirio d'un destino muto - come voci distratte - tutte le notti aspettando un saluto. frida
" Sento nel cuore una tristezza che continua a turbare la mia pace..."
Se il muro fosse di pietra e non d'aria, se attraverso il muro non si toccassero gli alberi, se le alte sbarre d'ombra che ti rigano l'anima fossero l'ombra di vere sbarre a cui potersi aggrappare, se ricordassi lo scatto di una porta che si chiude alle tue spalle e il tintinnìo delle chiavi alla cintura del carceriere che si allontana: quale sollievo ne avresti nell'orrore! Perché ciò che si chiude può tornare ad aprirsi e la rocca più imponente può essere distrutta. Ma dove sei non è porta, e nessuna porta si aprirà. E non è muro: nessun muro sarà abbattuto. Le sbarre d'ombra sono le vere sbarre, non saranno divelte. Tu confini con l'aria, tocchi gli alberi, cogli i fiori, sei libera, e sei tu stessa la tua prigione che cammina. Margherita Guidacci da Nerosuite
" Che si può fare? Le stelle rubelle non hanno pietà. Che si può fare?"
Le prime nebbie ed uccelli di passo. Viene l'autunno. Sera d'autunno. Sulla strada fangosa ci separiamo. Cadono le foglie. Nel cuore si risvegliano tutti gli addii. Margherita Guidacci
Fra vent'anni, domandatene a lei. Non badate agli omissis che proteggono l'amore e ogni memoria dell'amore, ascoltatela mentre vi dirà di una piccola fiamma - fiamma vera tuttavia, fiera del proprio ardore. Vano sarà cercarne un attestato visibile, segnato sulla pietra, né appariranno sul tronco di un albero cuori trafitti, quali ne incidevano gli amanti del passato. Ma una traccia forse ne sopravvive in qualche verso dove è luce la luce de tramonto. Silvio Ramat da La dirimpettaia e altri affanni
POESIA D' AMORE Con l'ansia stessa che tien vivo il seme dentro la nera zolla finchè veda l'ignota luce desiderata, ed accompagna il fiume nel suo lungo viaggio tra monotone rive verso un mare glorioso, dove insieme riconosca e raggiunga la sua meta, io ti attendevo senza saperlo, ed era amore anche l'attesa. Questo e non altro rammento, e non altro so dirti, ora che il tempo dell'amore svelato sfrena danze di pollini sul vento e un impeto di liete acque alla foce, e gli occhi affondano negli occhi, dolci labbra si uniscono. ***
ATLANTE Davanti a te la mia anima è aperta come un atlante: puoi seguire con un dito dal monte al mare azzurre vene di fiumi, numerose città, traversare deserti. Ma, dei miei fiumi, nessuna piena ti minaccia, le mie città non ti assordano con il loro clamore, il mio deserto non è la tua solitudine. E dunque, cosa conosci? Se prendi la penna, puoi chiudere in un cerchio esattissimo un piccolo luogo montano, dire :" Qui fu la battaglia, queste sono le sue silenziose Termopili". Ma tu non sentisti la morte distruggere la mia parte regale, né salisti furtivo col mio intimo Efialte per un tortuoso sentiero. E dunque, cosa conosci? ***
ALL' IPOTETICO LETTORE Ho messo la mia anima fra le tue mani. Curvale a nido. Essa non vuole altro che riposare in te. Ma schiudile se un giorno la sentirai fuggire. Fa' che siano allora come foglie e come vento, assecondando il suo volo. E sappi che l'affetto nell'addio non è minore che nell'incontro. Rimane uguale e sarà eterno. Ma diverse sono talvolta le vie da percorrere in obbedienza al destino. ***
E' COME UNA MANCANZA DI RESPIRO E' come una mancanza di respiro e un senso di morire, quando mi stringe improvviso il desiderio di te tanto lontano e nulla può calmarlo, altro pensiero non può occuparmi, tranne il Paradiso che sarebbe per me lo starti accanto. Ma poiché ciò m'è negato, più cara, molto più cara che una fredda pace mi è la stretta indicibile quasi marchio di fuoco che proclami ancora e sempre quanto sono tua. A nessun costo vorrei separarmi da questo mio dolore. ***
LASCIA SIA IL VENTO Lascia sia il vento a completare le parole che la tua voce non sa articolare. Non ci occorrono più le parole. Siamo entrambi il medesimo silenzio. Come due specchi, svuotati da ogni immagine che l'uno all'altro rendono un semplice raggio. E ci basta. ***
NON SI SPEGNE L'AMORE Non si spegne l'amore, mi spengo io. Tu sai bene che il sole non si spegne anche se più non scalda i morti. In quest'ombra che mi inghiottisce, non riesco ormai a toccarti, né corpo né anima, e neppure a cercarti. La tua voce troppo lontana ( come il vento sulle tombe per chi giace là sotto ) non può orientarmi. Sono più forti l'altrove, il silenzio.
Ora che tutto è chiaro e ogni cosa è stata detta, di un'acrimonia nuova hai foderato i gesti e di crudeli sorrisi hai mascherato il viso. Ancora Ma il livore è sempre un trucco troppo lugubre perché traspaia il volto di colui che ho pensato Amore. Così - incurante della nebbia che mi avvolge gli occhi - vado cercando un senso vago nel ricordo e mi inoltro sotto la pelle ambita anche se ora è solo paura da scacciare. E ti vedo com'eri e come sei, soffermandomi su ciò che ho trovato al di là, oltre ciò che era sopra e fuori e intorno a noi. Ma poi mi fermo, nel blocco di una fitta, di quelle fiere che mi imponi - insopportabili - e allora comprendo di non averti mai avuto. Mai Capisco che non c'è più abisso da sondare o scogli da evitare. Non più. Ora che ti immagino solcare altre superfici con quella maschera ancora attaccata a prua E piango ma non per l'acqua che scorgo intorno a me né per quella che anche tu porterai per pulirti il viso. Piango per quella pelle intatta macchiata di ipocrisia - cute rigata dalla tua stessa ombra - che ora ami più di tutto. Buio che scopro d'aver amato anch'io. Purtroppo Così eccolo giunto fino a noi quell'ignoto incantatore - dietro quegli occhi che non vogliono più vedere - aggrappato a quelle ali che si rifiutano di volare. E allora non resta che al sogno mio un ultimo regalo in versi, lascito di verità dolenti : " Se la poesia si perde per tornare - prima o poi - l'amore si può sprecare anche senza senso ".
Nel 1939 Sultana, detta Susy,ha sette anni, dei bei boccoli neri e non sa che la vita normale sta per finire. Nell' agosto del 1944, l'intera famiglia si ritrova nel campo di concentramento di Ferramonti di Tarsia e nel giugno dello stesso anno si aprono per loro i cancelli di Bergen- Belsen. Sono anni di paura, fame e violenza. Ed è solo l'inizio. Perché al ritorno a casa, nel dopoguerra, Susy scopre che la lotta per la sopravvivenza non è affatto finita : la aspettano la miseria di una Milano in rovina, i sacrifici per poter studiare, un lavoro febbrile per conseguire un obiettivo difficile per una donna in quegli anni: la carriera medica, nel neonato reparto di pediatria del Fatebenefratelli prima e all' Ospedale San Carlo poi. Ma questo è anche il tempo delle scoperte e dell'entusiasmo per i progressi della medicina, del clima fervido di cambiamento sociale, di avventure sentimentali fino alla passione totalizzante e travagliata per quello che rimarrà per sempre il grande amore: Umberto Veronesi. Anno dopo anno, nonostante il lavoro durissimo, i sei figli, i lutti e la malattia, Susy si riappropria della sua vita, tiene alta la bandiera della sua indipendenza e dà vita ad un clan familiare numeroso e vitale, allargato, composito, unito. Sultana Razon ci accompagna - in questo libro - nel racconto di un'esistenza densa e drammatica con uno stile secco, ruvido, veloce e capace di attraversare senza alcuna retorica il desiderio e l'orrore, la fatica e il gusto di vivere. Ne emerge il ritratto di una donna di grande temperamento, autenticamente anticonformista, che con feroce ostinazione e inaspettata dolcezza ha saputo costruire la felicità per sé e per i suoi. Un libro - confessione senza imbarazzi - un bilancio tanto più commovente quanto più aspro e sincero di una donna nelle sue vicende familiari, una riflessione sulla società nonchè sui nostri pregiudizi e le nostre paure. frida
Gli uomini non cambiano : prima parlano d'amore e poi ti lasciano...
(...)Una domenica mattina della primavera del1989 io e mio marito decidemmo di andare di andare a vedere la casa al lago per valutare l'opportunità di venderla. Servivano lavori costosi di manutenzione del tetto, del pavimento dopo l'ultima inondazione e bisognava cambiare alcuni mobili infradiciati. In macchina, pensavo ai meravigliosi anni trascorsi lì con i miei bambini piccoli, le loro palette e i loro secchielli. Li rivedevo sgambettare a piedi nudi nell'acqua pulita della riva sotto il sole caldo delle giornate limpide di primavera inoltrata o inizio estate. Mio marito, più pragmatico, faceva notare che la villa era disabitata da tempo e che non poteva essere mantenuta decorosamente senza spenderci un mucchio di denaro. Dopo un lungo silenzio, che io pensavo fosse dovuto alle riflessioni sul problema della casa, Umberto disse improvvisamente: " Susanna, ti devo fare una confessione". Dal tono di voce capii che era un problema scottante. Lo pregai di continuare. Guardando fisso la strada, con le mani contratte sul volante, mi confessò: " Ho un altro figlio di quattro anni". Mi sentii gelare, mi irrigidii e lo guardai sbalordita. Pensavo di aver capito male. Mi feci ripetere quelle parole. Avevo capito benissimo. In quell'istante credetti di morire. Mi si appannò la vista, mi si bloccò il respiro, il battito cardiaco perse qualche colpo, avvertii un dolore acuto allo stomaco, come se avessi ricevuto un colpo violento.Mi sentivo annichilita dalla sorpresa. Mi sentivo ferita normalmente. Mi rattrappii in un angolo della macchina. Sentivo salire dalle viscere un odio implacabile, una sorda umiliazione, un senso di impotenza e di inutilità di ogni parola, di ogni spiegazione o scusante. Come venni a sapere più tardi, i miei cognati sapevano, alcuni amici sapevano e anche una rivista di moda sapeva. Era stata pubblicata una fotografia della nostra famiglia con la seguente didascalia : " Il professor Veronesi con i figli avuti da due matrimoni". Indignata avevo scritto alla direttrice della rivista: ero l'unica moglie legittima e certo non c'era nessun figlio da un altro matrimonio. Quanto ero sta ingenua! (...) Sultana Razon Veronesi da Se il cuore potesse pensare ( Una storia d'amore, ricerca e battaglie )
(...) Per quanti tradimenti sospettassi, non avevo mai considerato l' evenienza di un figlio. Per dieci, quindici anni mi era stato tenuto nascosto questo adulterio.L'unica giustificazione che mio marito adduceva per scusarsi era il fatto che lei desiderava un figlio dall'uomo che amava da anni. Non ricordo come finì la gita al lago. Al ritorno, entro le mura domestiche, lo invitai ad andarsene. Non tolleravo la sua vista, le sue parole, le sue scuse infantili. Vi era un' altra donna nella sua vita,un altro bambino con annessa cerchia, di zii, zie,nonne Un'altra famiglia a cui pensare. Non intendevo dividere con nessuno l'uomo che avevo scelto, che avevo amato più dei miei figli. Preferivo restare sola.Forse con il tempo avrei ritrovato un po' di serenità e pace. Avevo i ragazzi, il mio lavoro appassionante in ospedale, la casa. Era tempo di prendere una decisione drastica. Mi sembrava di non poter più sopportare le attese snervanti, i sotterfugi, le scuse, le bugie,le umiliazioni dentro e fuori le mura domestiche Persino nelle mie discussioni con il personale, lui parteggiava pubblicamente per loro, accusandomi anche se non aveva capito bene i termini del contendere. Si comportava come quei pretori d'assalto che assolvono o favoriscono comunque il più debole, anche se è notoriamente un ladro o un farabutto. Quante giornate infernali trascorsi! Umberto si mostrava rammaricato di avermi procurato tanto dolore. Non voleva andarsene. Voleva finire con me la sua vita Voleva restare nella sua casa. Malgrado tutti i tradimenti, lui giurava che io ero la sola donna che avesse mai amato, l'unica con la quale si trovasse bene fisicamente e psichicamente. (...) Sultana Razon Veronesi da Il cuore se potesse pensare ( Una storia d'amore, ricerca e battaglie )
(...) Come facevo a credergli? Forse preferiva restare a casa sua perché era un albergo funzionante e gradevole. Forse preferiva restare con me perché non ero una rompiscatole, non parlavo mai, lo lasciavo sempre libero di fare quello che voleva. Mi sentivo schiacciata dalla sua personalità. Era come essere sempre con un coperchio sulla testa che mi impediva di sollevarla. Guardavo i nostri figli riuniti a pranzo o a cena, li sentivo discutere con il padre, richiedendo sempre i suoi consigli. Vi era un'intesa perfetta tra loro. Come potevo assumermi la responsabilità di allontanare un genitore tanto indispensabile alla loro educazione e al loro futuro? Mi rinchiusi in me stessa. Decisi che non avevo bisogno di nessuno per sopravvivere. Avevo i miei interessi, la medicina,la lettura, lo studio,la musica.Bastava eliminare la partecipazione emotiva dalla vita quotidiana. Mi imposi una maschera di indifferenza e freddezza. Non gli chiesi più imformazioni sulle partenze, sui ritardi, sulle uscite serali per evitargli la fatica di inventare bugie. Non volevo sapere nulla. Vivevamo sotto lo stesso tetto e dormivamo nello stesso letto matrimoniale, a cui nessuno dei due voleva rinunciare. Ci rincantucciavamo ai due lati opposti, voltandoci la schiena. Trascorsero i mesi. La situazione mi rendeva sempre più irascibile e cattiva. A volte raggiungevo l'acme dell'intolleranza e con scatti d'ira furibondi gli ribadivo che doveva andarsene, come per esempio successe un pomeriggio prima di Natale. Avevo chiesto ad Umberto di accompagnarmi a cercare i regali di Natale peri nostri figli.Mi rispose che era impossibile: aveva molto lavoro in ospedale. Mi avviai da sola in giro per negozi. Ad un tratto - in Piazza San Babila - lo vidi ridente sotto braccio alla sua compagna, che andavano insieme a far compere per il loro bambino. Mi sentii raggelare e mi vennero le lacrime agli occhi. In tanti anni di matrimonio non aveva mai voluto accompagnarmi a fare acquisti.Era un atteggiamento " piccolo borghese " come affermava spesso. Avevo dovuto sempre provvedere da sola al vestiario dei figli, del marito, agli oggetti per la casa, ai regali per gli ospiti, per i matrimoni, ad ogni incombenza relativa alla famiglia. Girai un angolo per non farmi vedere. La situazione sarebbe stata alquanto imbarazzante per tutti. (...) Sultana Razon Veronesi da Se il cuore potesse pensare ( Una storia d'amore, ricerca e battaglie )
(...)La mia storia d'amore -come avevo previsto - procedeva intanto alternando periodi di gioia infinita a crisi di acuta sofferenza. Per circa trent'anni ci siamo amati alla follia. Umberto lavorava molto e spesso si assentava per congressi e conferenze. Quando tornava - anche dopo l'assenza di un solo giorno - ci abbracciavamo perdutamente sulla porta di casa, incuranti dei figli che ci si affollavano intorno per salutarlo.Non ci stancavamo mai di baciarci e stringerci con violenza, in un desiderio parossistico di congiunzione totale. Solo abbracciata a lui riuscivo a placare i morsi della gelosia che mi divoravano quando non l'avevo vicino. I suoi successi con le donne erano infatti proverbiali. La sua stessa professione gli permetteva un costante contatto con gli attributi sessuali femminili. Sapevo di molte donne che andavano nel suo studio solo per farsi palpare le mammelle, con la scusa di un sospetto tumore. Alle feste in casa di amici assistevo spesso agli ammiccamenti, ai segnali, ai corteggiamenti più o meno manifesti di alcune donne presenti. Il comportamento gioviale, premuroso e amorevole di Umberto verso il prossimo - donne in particolare - aumentava in loro la speranza di un coinvolgimento affettivo. Una sera d'agosto, a un gran ricevimento in una villa di Ansedonia,rimasi colpita da una giovane donna, bionda, vivace, spiritosa. Rimase incollata ad Umberto tutta la sera. Mi rovinò la festa, anche se ero abituata a quelle manifestazioni. La incontrai poi di nuovo a Milano in un altro ricevimento. indossava una pelliccia bianca di volpe. La trovai affascinante. Capii che quella donna sarebbe stata una rivale pericolosa. Da allora - ogni notte - cominciai ad essere perseguitata da un sogno ricorrente che mi lasciava angosciata per tutto il giorno seguente. Vedevo di spalle una donna alta, snella, bionda che si aggrappava al braccio di Umberto e si girava verso di lui ridendo. Oppure li vedevo a letto insieme o in macchina che si allontanavano spensieratamente. Fu un incubo che si ripetè quasi ogni notte per decenni. Cercavo di pensare ad altro, ma non riuscivo a cancellare dalla mente la chioma bionda che mi ballava davanti agli occhi. Il viso era sempre nascosto o aveva tratti indefiniti. Cominciai a cambiare carattere: divenni cupa, malinconica, aggressiva. Non riuscivo più a cantare ai miei bambini e con grande sforzo fingevo con loro serenità e buon umore. Solo molti anni dopo avrei saputo l'amara verità. (...) Sultana Razon Veronesi da Se il cuore potesse pensare ( Una storia d'amore,ricerca e battaglie )
" Perché l'incoscienza è fondamento della vita. Il cuore - se potesse pensare - si fermerebbe ". ( F. Pessoa )
(...) Dopo qualche settimana di convivenza nello stesso studio, non potevo più nascondermi di essermi innamorata perdutamente dell'uomo più affascinante, intelligente e inquietante che avessi mai conosciuto. Alto, folti capelli neri, occhi inquisitori e scanzonati in un viso maschio dai tratti decisi. Assomigliava all'attore Cray Grant, allora molto in voga sugli schermi. Mi imposi una fredda indifferenza per molti mesi. Passavamo ore uno di fronte all'altra, lui a un microscopio e io all'altro, o alla macchina da scrivere, sollevando di quando in quando il viso per studiarci furtivamente. Ogni tanto gli sguardi si incrociavano,si abbozzava un mezzo sorriso fingendo di pensare ai propri studi, con gli occhi subito rivolti all'infinito. Veronesi pubblicava lavori scientifici a getto continuo per prepararsi alla docenza. Io, finito il lavoro di segretaria, preparavo gli esami nei ritagli di tempo libero, pensando a mia mamma ammalata e a tutte le incombenze che dovevo svolgere prima di tornare a casa. Mi maceravo nella gelosia. Veronesi aveva molte amiche che lo cercavano. Per mascherare il mio interesse mi lasciavo corteggiare da un altro medico gentile e brillante ( divenne poi famoso come chirurgo toracico all' Università di Milano ) che in quegli anni lavorava all' Istituto Tumori. Trascorrevamo ore a discutere su una panchina dei giardini vicino all'ospedale. Mi aspettava alla fine della giornata lavorativa e mi riaccompagnava a casa in macchina. Voleva sposarmi, ma dopo qualche mese di amore platonico gli confessai che non ero innamorata di lui. Ne soffrì acutamente. Non lo rividi più nonostante lavorassimo nello stesso istituto. Una sera di inizio primavera io e il mio " coinquilino " ci eravamo attardati nello studio senza accorgerci di essere rimasti soli in tutto il laboratorio. Era passata l'ora di chiusura. Mi alzai dalla sedia stanca morta, con gli occhi che bruciavano per le tante ore trascorse al microscopio e alla macchina da scrivere; passai dietro la sua sedia per prendere il cappotto appeso a un piolo sul muro. Mi sentii afferrare in uno stretto abbraccio. Umberto si chinò e mi baciò rabbiosamente. Rimasi incollata alle sue labbra per un tempo che mi parve infinito, sentendo sciogliersi la freddezza e l'indifferenza che mi ero imposte. Fu una sensazione meravigliosa, per pochi minuti o secondi: in quel magico istante dimenticai tutte le mie pene e le mie preoccupazioni. Ci ricomponemmo subito. Ci guardammo smarriti. Andammo a casa, ognuno per la propria strada. I giorni seguenti fingemmo ce non fosse successo nulla. Per lui era facile:ero una conquista come mille altre ella sua vita di uomo bello, intelligente e intraprendente. Io ripresi la mia maschera di indifferenza. Evitai di atttardarmi nello studio, imponendomi di non guardarlo neppure. (...) Sultana Razon Veronesi da Il cuore se potesse pensare ( Una storia d'amore, ricerca e battaglie )
" Vuota il tuo sacco; su, parla, poetessa..." ( P. Valduga ) 3 Ho paura di te: sei così bello! Non affogarmi in notte tanto nere se prima non mi apri nel cervello la porta - che resiste - del piacere. 35 Terra alla terra, vieni su di me: voglio il tuo vomere nella mia terra, fiorire ancora traboccando e offrire il mio fiore a te, mio cielo in terra. 2 Tu mandali a dormire i tuoi pensieri, devi ascoltare i sensi solamente; sarà un combattimento di guerrieri: combatterà il tuo corpo e non la mente. 49 Dal mio martirio viene questa pace, questa pienezza dalla tua rapina. A tutto ciò che non ha nome e tace sento l'anima mia farsi vicina. 96 No, niente amore qui, soltanto sesso: non svegliamo l'invidia degli dei. Ora che tanto bene mi hai concesso, dio dell'amore, miserere mei... Patrizia Valduga da Cento quartine ( e altre storie d'amore )
Occuparci della nostra nascita per noi è impossibile: il "prima" ci è sconosciuto. Ma di certo - da vivi - possiamo riflettere sulla nostra morte, anche se il "poi" ci è ignoto. L'autore di questo testo ci dice di aver avuto consapevolezza della morte in età ancora molto tenera, a causa di un episodio occorsogli che gli fece diventare l'evento un concetto acquisito. Ma - o forse proprio per questo - non angosciante e fonte di un'intensa riflessione. Da scienziato e da pensatore profondamente libero e onesto qual è, Boncinelli ne indaga qui tutti gli aspetti e le possibili interpretazioni con una serenità d'animo e un'acutezza di analisi che restituiscono a questo evento la sua naturalità, privandolo delle sovrastrutture negative. Discute con argomentazioni lucide e stringenti le consolazioni della religione, dai miti delle origini fino al Paradiso cristiano, alle credenze più diffuse. Esamina con passione e generosità divulgative le risorse della scienza, fino a metterci a parte delle ultime ricerche della genetica e della biologia. Infine, affronta l'autentico mistero dell'universo, la coscienza - nostra assoluta unicità - sintetizzando così il suo sentimento :" Verrà la morte e non chiuderò i miei occhi". frida
" La maggior parte degli esseri umani oscilla miserevolmente tra la paura della morte e i crucci della vita: non sa vivere, non vuole morire" ( Seneca da " Lettere a Lucilio ")
(...) Ci sono cose che non hanno per noi un prima e cose che non hanno un poi. Alle prime appartiene la nascita, alle seconde la morte. Non mi potrò mai occupare della mia nascita, ma certo della mia morte posso. Non so se mai ci incontreremo - io e la mia morte - ma ci rincorriamo da una vita. Più o meno da quando avevo cinque anni. Io ero a Bologna nell'immediato dopoguerra, ospite di un centro profughi allestito alla meglio nei locali di una caserma. Parlavo con la mamma di persone che non c'erano più e d'improvviso mi venne in mente che anche i nonni di Firenze erano destinati prima o poi ad andarsene, e piansi. Fu il mio primo contatto cosciente con la morte naturale, come dire con la naturalezza della morte. Successivamente mi capitò spesso di pensare che se io - bambino - fossi morto, e questa volta non naturalmente, qualcuno avrebbe potuto piangere e disperarsi. Mi figuravo cioè il mio primo post mortem dal punto di vista dei vivi che presumibilmente mi amavano e spesso mi commuovevo da solo. Da allora la morte - la mia - è divenuta un concetto acquisito, presente ma non angosciante nella mia mente. Conosco persone che invece pensano continuamente alla morte e ne scorgono i segni dappertutto. Io no. So che c'è e che dovrà finire per cogliere qualche cosa di me, ma non ci penso quasi mai. Nella mia mente la morte non c'è, mentre c'è tanta, troppa vita. Ma questo non mi impedisce di meditarci sopra, anzi me lo facilita. (...) Edoardo Boncinelli da Io e Lei ( Oltre la vita )
(...) Ma perché meditare sulla morte se il suo pensiero non mi assilla?Per due motivi essenzialmente,connessi l'uno con la sua percezione sociale, l'altro con quella individuale mia.Dal punto di vista sociale si parla della morte a vario titolo e con una certa regolarità, ma se ne parla sempre. Può essere la morte di individui, di gruppi o di comunità - per incidenti, per malattia o per attentati e per combattimenti - o può essere la morte prospettata e temuta. La religione - per esempio - che promette di liberarci dalla morte - in realtà ci costringe a pensarci di continuo, proponendo scenari dipinti con tinte di intensità variabile, ma mai trascurabile. Anche i matrimoni si celebrano nel luogo riservato alla morte e i funerali ne amplificano l'eco. La morte di chiunque rimanda - direttamente o indirettamente - al pensiero della propria, in un tempo indeterminato e magari indistinto, ma attuale come i discorsi di ogni giorno. Secondo alcuni è il pensiero della morte che ha ispirato e guidato molti dei nostri progressi collettivi: di sicuro l' aspirazione alla fama e all'immortalità delle nostre opere. Ed è certamente il pensiero della morte che ci porta a credere a quella massa di favole alle quali tutti siamo portati a credere. L' argomento della morte è vivo e presente anche quando è taciuto, anzi in quel caso lo può essere anche di più. La morte conferisce un orizzonte alla nostra vita. A tutto questo si aggiunge - per me - anche se non credo per me solo, il tema del suicidio. La morte per suicidio è una morte particolare, anzi una mescolanza di morte e di vita,per eccesso o per insufficienza di vita. Ho pensato al suicidio praticamente da quando mi conosco: troppo orrenda era la mia vita infantile e giovanile per non pensarci, anche se dopo - molto dopo - le cose sono sensibilmente migliorate. La morte presenta almeno due caratteristiche contrastanti: su un piano di realtà è un fenomeno del tutto naturale e ogni essere vivente degli ultimi quattro miliardi di anni è morto, senza che nessuno sia mai sfuggito a questo destino. Sul piano conoscitivo ed esistenziale - invece - è il mistero di tutti i misteri: la contemplata limitatezza dell'esserci. Mi piace quindi meditare sulla morte per passare in rassegna i vari aspetti e le possibili interpretazioni di un fenomeno tanto ipotetico quanto probabile e universalmente diffuso. D'altra parte, so bene che non si può pensare costruttivamente alla morte. Si può pensare solo alla vita e lo si può fare mentre si è ancora - ovviamente - in vita. (...) Edoardo Boncinelli da Io e Lei ( Oltre la vita )
(...) Tutti hanno un corpo. Io ho un corpo e una mente - mia e solo mia - con la quale convivo e che per me è indistinguibile dalla mia coscienza. Con questa mi occupo di tanti problemi, tra i quali spicca quello della morte, della mia morte soprattutto. Noi uomini sappiamo di dover morire quasi con la stessa evidenza con la quale sappiamo di essere vivi. Gli animali non sanno in genere che dovranno morire, ma probabilmente non sanno nemmeno di essere vivi: per loro l'essere vivi non ammette alternative. E' uno stato di cose.Almeno così pensiamo noi.Molti di loro sono di sicuro in grado di riconoscere quando un animale giace immoto e privo di reazioni agli stimoli del mondo circostante, ma non è possibile sapere che cosa ne pensino in cuor loro,nè quanto ne siano coinvolti, se non azzardando rischiose analogie di natura antropocentrica. Per noi la vita è un durissimo impegno illuminato dalla speranza: la morte una via d'uscita, remota ma obbligata. Oggi poi sempre più remota perché gli enormi progressi della biologia e della medicina l'hanno sensibilmente allontanata nel tempo. Ma non eliminata. Non credo che alcun animale abbia questa prospettiva - anzi abbia alcuna prospettiva - ma per noi è così. Noi abbiamo buona memoria delle cose passate e ci affacciamo piuttosto spesso sul futuro, anche lontano. Ciò dà continuità al nostro agire e respiro alla nostra mente. E' ovvio che l'anticipazione del futuro dipende dalle nostre informazioni e dal complesso delle nostre memorie e inclinazioni, ma non riusciremmo a vivere senza anticipare il futuro, almeno nella fantasia . (...) Edoardo Boncinelli da Io e Lei ( Oltre la vita )
(...) Tali anticipazioni possono essere lusinghiere e foriere di soddisfazione oppure penose e paurose. E ' proprio la loro esistenza insieme - è appena il caso di dirlo - alla memoria di ciò che abbiamo visto, letto o sentito in proposito, che ci presenta in maniera più o meno continua l'idea della nostra futura morte, ancorché indistinta e remota.Tra la consultazione dei ricordi e l'anticipazione del futuro si estende la nostra vita di tutti i giorni. Che quindi è un presente oscillante e quasi sognato, in bilico fra il passato e il presumibile futuro; finchè questo è possibile. Il presente è la paratìa mobile che separa anticipazione e constatazione. A proposito di questo fenomeno, si parla tecnicamente " di presente dinamico." Si è visto - infatti - che il presente vissuto non si configura come un confine netto tra il passato che non c'è più e il futuro che non c'è ancora. Tale presente dinamico è invece una collezione di fuggevoli episodi di vissuto interiore. Ciascuno di questi episodi è un atomo di tempo interno, racchiuso entro i limiti di una breve finestra dai confini sfumati, e dura da un terzo di secondo a circa mezzo minuto. Gli eventi vi si materializzano per qualche istante e poi recedono nel passato. In ciascun atomo di presente noi percepiamo e concepiamo un frammento di realtà che è il risultato dell'integrazione dei diversi processi di elaborazione dell'informazione che arriva a noi, spesso frammentari, incoerenti e privi di senso, come immagini visive, eventi, ricordi , attese, sfondi e schemi interpretativi. (...) Edoardo Boncinelli da Io e Lei ( Oltre la vita )
" In tempi duri dobbiamo avere sogni duri, sogni reali, quelli che - se ci daremo da fare - si avvereranno.". ( C.P.E )
(...) Dentro a questo libriccino ci sono parecchie storie. Come matrioske, stanno l'una dentro l'altra. Tra la mia gente, alle domande spesso si risponde narrando delle storie. La prima storia il più delle volte ne evoca un'altra, che ne richiama un'altra ancora, finchè la risposta alla domanda diventa lunga parecchie storie. Si pensa che una sequenza di narrazioni offra una visione più ampia e profonda di quella che un'unica storia potrebbe dare. Dunque, secondo questa antica tradizione, cominciamo subito con una domanda: che cosa conta nella vita? Consentitemi di rispondervi narrandovi una storia. Questo antico racconto mi è stato riferito in molteplici versioni durante le tante serate trascorse accanto al fuoco. I narratori sono gente semplice originari dell' Europa orientale, che per lo più è rimasta fedele alla tradizione orale. La storia parla di un grande saggio,Rabbi Israel Bal Shem-Tov. L'amatissimo Rabbi stava morendo e mandò a chiamare i suoi discepoli : " Finora sono stato io a intercedere per voi; quando me ne sarò andato, dovrete agire per conto vostro. Conoscete il posto della foresta i cui mi rivolgo a Dio? Recatevi in quel luogo e fate la stessa cosa. Sapete come accendere il fuoco, sapete recitare la preghiera. Fate tutto ciò e Dio verrà ". Dopo la morte di Bal Shaem.- Tov, pa prima generazione di discepoli seguì alla lettera le sue raccomandazioni e Dio non si negò mai. Ma alla seconda generazione nessuno ricordava più come accendere il fuoco secondo gli insegnamenti del Maestro. Comunque, essi si recavano i quello speciale posto della foresta, recitavano la preghiera, e Dio veniva. Alla terza generazione nessuno ricordava come accendere il fuoco e neanche dov'era il luogo della foresta. Ma sapevano ancora recitare la preghiera e Dio continuava a venire. Alla quarta generazione nessuno rammentava come accendere il fuoco, nessuno sapeva più quale luogo raggiungere nella foresta e non si sapeva più nemmeno come recitare la preghiera. Ma c'era una persona che ancora rammentava tutta la storia e la raccontava a gran voce. E Dio veniva . (...)
Clarissa Pinkola Estés da L' Incanto di una storia
(...) In questa antichissima storia, in tutta la storia dell'umanità e nelle più profonde tradizioni della mia famiglia,il fondamentale dono di una storia ha un duplice valore: che resta almeno una creatura in grado di raccontare la storia e che - grazie alla narrazione - le più grandi forze dell'amore, della misericordia, della generosità e della tenacia vengono richiamate nel mondo. Nelle due tradizioni che mi riguardano, l'ispano- messicana per nascita e quella degli emigranti ungheresi per adozione, la narrazione di una storia è considerata un esercizio spirituale basilare. Storie, leggende, miti e racconti popolari vengono appresi, sviluppati, catalogati e conservati così come si ordina una farmacopea. Una collezione di storie legate alla propria cultura, e in specie di storie famigliari, è ritenuta assolutamente indispensabile per una vita lunga e prospera quanto il buon cibo, i buoni rapporti e un buon lavoro. Nella vita la custode di storie è nel contempo una ricercatrice, una guaritrice, un' esperta del linguaggio simbolico, colei che narra delle storie, che ispira, che parla con Dio e viaggia nel tempo. Della collezione di centinaia di storie che mi furono narrate dalle mie due grandi famiglie, ben poche sono intese come mero intrattenimento.Nell'applicazione popolare, sono piuttosto concepite e usate come un'ampia gamma di farmaci capaci di risanare, ognuno dei quali prevede una buona preparazione spirituale e certe intuizioni, nel guaritore quanto nel paziente. Tradizionalmente queste storie medicinali hanno molti e diversi usi: servono per insegnare, correggere errori, alleviare, accompagnare una trasformazione, medicare le ferite, ricreare la memoria. Il loro fine principale è di educare e arricchire l'anima e la vita terrena. Occorre inoltre notare che molti dei farmaci più efficaci, cioè le storie, provengono dalla terribile sofferenza imposta ad una persona o a un gruppo. Perché - in verità - una storia nasce per lo più dal travaglio - loro, nostro, mio, vostro, di qualcuno che conosciamo e che è lontano nel tempo e nello spazio. Eppure - paradossalmente - queste stesse storie sgorgate da una profonda sofferenza possono fornire i rimedi più efficaci contro i mali passati, presenti e futuri. (...) Clarissa Pinkola Estés da L' Incanto di una storia