mercoledì 28 febbraio 2018

ASPETTANDO UN SALUTO

 
 

                            Il tuo rincorrere i miei occhi nelle sere che ci dividono...



Nato per caso in un giorno di resurrezione,
non sei più andato via,
scolpito nel marmo della mente
per lasciarti guidare

Un tempo

ora i ricordi si perdono nei frammenti
di vetro
dei nostri cuori agitati.
Luminescenze  di una luna che unisce
pianto e parole,
sabbia e vento,
scarni sorrisi e rimpianti.
Il tuo muoverti e fermarti,
la mia lucida follia che ti copre le spalle.

Ancora

il tuo rincorrere i miei occhi nelle sere
che ci dividono
le anime come gocce lente
lievemente sparse a riempire un fiume.

E oltre

scorre la gente abusata di parole
che raccoglie sermoni all'uscita delle chiese
e taglia le gambe
per scandalizzare e uccidere il nostro sogno
di viverci.

Adesso

ci troviamo spesso a sanguinare
nascosti alle nostre stesse emozioni
vicini, distanti, estranei, amanti
con le mani ansiose d'essere ancora
unite nel delirio d'un destino muto
- come voci distratte - tutte le notti
aspettando un saluto.


                 frida


lunedì 26 febbraio 2018

PRIGIONE

 
 

           "  Sento  nel cuore una tristezza che continua a turbare la mia pace..."



Se il muro fosse di pietra e non d'aria,
se attraverso il muro non si toccassero gli alberi,
se le alte sbarre d'ombra che ti rigano l'anima
fossero l'ombra di vere sbarre a cui potersi aggrappare,
se ricordassi lo scatto di una porta che si chiude
alle tue spalle e il tintinnìo delle chiavi
alla cintura del carceriere che si allontana:
quale sollievo ne avresti nell'orrore!
Perché ciò che si chiude può tornare ad aprirsi
e la rocca più imponente può essere distrutta.
Ma dove sei non è porta, e nessuna porta si aprirà.
E non è muro: nessun muro sarà abbattuto.
Le sbarre d'ombra sono le vere sbarre,
non saranno divelte. Tu confini con l'aria,
tocchi gli alberi, cogli i fiori, sei libera,
e sei tu stessa la tua prigione che cammina.


               Margherita  Guidacci    da     Nerosuite



D'INTENSO BREVE

 
 

                " Che si può fare? Le stelle rubelle non hanno pietà. Che si può fare?"





Le prime nebbie
ed uccelli di passo.
Viene l'autunno.




Sera d'autunno.
Sulla strada fangosa
ci separiamo.




Cadono le foglie.
Nel cuore si risvegliano
tutti gli addii.




                                     Margherita  Guidacci    


        

DOMANDATENE A LEI

 
 

                                                             Dove è luce la luce del tramonto...



Fra vent'anni, domandatene a lei.

Non badate agli omissis che proteggono
l'amore e ogni memoria dell'amore,
ascoltatela mentre vi dirà
di una piccola fiamma - fiamma vera
tuttavia, fiera del proprio ardore.

Vano sarà cercarne un attestato
visibile, segnato sulla pietra,
né appariranno sul tronco di un albero
cuori trafitti, quali ne incidevano
gli amanti del passato.

Ma una traccia
forse ne sopravvive in qualche verso
dove è luce la luce de tramonto.


                 Silvio  Ramat   da    La dirimpettaia e altri affanni

POESIE D' AMORE SPARSO

 
 

                                                      Siamo entrambi il medesimo silenzio...



POESIA  D' AMORE

Con l'ansia stessa che tien vivo il seme
dentro la nera zolla
finchè veda l'ignota luce desiderata,
ed accompagna il fiume nel suo lungo viaggio
tra monotone rive
verso un mare glorioso, dove insieme
riconosca e raggiunga la sua meta,
io ti attendevo senza saperlo,
ed era amore anche l'attesa.

Questo e non altro rammento,
e non altro so dirti,
ora che il tempo dell'amore svelato
sfrena danze di pollini sul vento
e un impeto di liete acque alla foce,
e gli occhi affondano negli occhi, dolci labbra si uniscono.


                                                        ***

ATLANTE

Davanti a te la mia anima è aperta
come un atlante: puoi seguire con un dito
dal monte al mare azzurre vene di fiumi,
numerose città,
traversare deserti.

Ma, dei miei fiumi, nessuna piena ti minaccia,
le mie città non ti assordano con il loro clamore,
il mio deserto non è la tua solitudine.
E dunque, cosa conosci?

Se prendi la penna, puoi chiudere in un cerchio esattissimo
un piccolo luogo montano, dire :" Qui fu la battaglia,
queste sono le sue silenziose Termopili".
Ma tu non sentisti la morte distruggere la mia parte regale,
né salisti furtivo
col mio intimo Efialte per un tortuoso sentiero.
E dunque, cosa conosci?


                                                             ***


ALL' IPOTETICO LETTORE

Ho messo la mia anima fra le tue mani.
Curvale a nido. Essa non vuole altro
che riposare in te.
Ma schiudile se un giorno
la sentirai fuggire. Fa' che siano
allora come foglie e come vento,
assecondando il suo volo.
E sappi che l'affetto nell'addio
non è minore che nell'incontro. Rimane
uguale e sarà eterno. Ma diverse
sono talvolta le vie da percorrere
in obbedienza al destino.


                                                         ***


E' COME UNA MANCANZA DI RESPIRO

E' come una mancanza
di respiro e un senso di morire,
quando mi stringe improvviso
il desiderio di te tanto lontano
e nulla può calmarlo, altro pensiero
non può occuparmi, tranne il Paradiso
che sarebbe per me lo starti accanto.
Ma poiché ciò m'è negato, più cara,
molto più cara che una fredda pace
mi è la stretta indicibile
quasi marchio di fuoco che proclami
ancora e sempre quanto sono tua.
A nessun costo vorrei separarmi da questo mio dolore.


                                               ***


LASCIA SIA IL VENTO

Lascia sia il vento a completare le parole
che la tua voce non sa articolare.
Non ci occorrono più le parole.
Siamo entrambi il medesimo silenzio.
Come due specchi, svuotati da ogni immagine
che l'uno all'altro rendono
un semplice raggio. E ci basta.


                                                    ***


NON SI SPEGNE L'AMORE

Non si spegne l'amore, mi spengo io.
Tu sai bene che il sole non si spegne
anche se più non scalda i morti.
In quest'ombra che mi inghiottisce, non riesco
ormai a toccarti, né corpo né anima,
e neppure a cercarti. La tua voce
troppo lontana ( come il vento sulle tombe
per chi giace là sotto ) non può orientarmi.
Sono più forti l'altrove, il silenzio.



            Margherita  Guidacci      da      Nerosuite




sabato 24 febbraio 2018

L'ADDIO

 

                                                   E sarò lontano da questo cielo...



Ora che tutto è chiaro e ogni cosa è stata detta,
di un'acrimonia nuova hai foderato i gesti
e di crudeli sorrisi hai mascherato il viso.

                   Ancora

Ma il livore è sempre un trucco troppo lugubre
perché traspaia il volto di colui che ho pensato Amore.
Così - incurante della nebbia che mi avvolge gli occhi -
vado cercando un senso vago nel ricordo
e mi inoltro sotto la pelle ambita
anche se ora è solo paura da scacciare.
E ti vedo com'eri e come sei,
soffermandomi su ciò che ho trovato al di là,
oltre ciò che era sopra e fuori e intorno a noi.
Ma poi mi fermo, nel blocco di una fitta, di quelle
fiere che mi imponi - insopportabili - e allora comprendo
di non averti mai avuto.

                                Mai

Capisco che non c'è più abisso da sondare
o scogli da evitare. Non più.
Ora che ti immagino solcare altre superfici
con quella maschera ancora attaccata a prua

                            E piango

ma non per l'acqua che scorgo intorno a me
né per quella che anche tu porterai per pulirti il viso.
Piango per quella pelle intatta macchiata di ipocrisia
- cute rigata dalla tua stessa ombra - che ora
ami più di tutto. Buio che scopro d'aver amato anch'io.

                        Purtroppo

Così eccolo giunto fino a noi quell'ignoto incantatore
- dietro quegli occhi che non vogliono più vedere -
aggrappato a quelle ali che si rifiutano di volare.
E allora non resta che al sogno mio un ultimo
regalo in versi, lascito di verità dolenti :

" Se la poesia si perde per tornare - prima o poi -
  l'amore si può sprecare anche senza senso ".



                        frida





IL CUORE SE POTESSE PENSARE ( Storia di una donna )


Nel 1939 Sultana, detta Susy,ha sette anni, dei bei boccoli neri e non sa che la vita normale sta per finire. Nell' agosto del 1944, l'intera famiglia si ritrova nel campo di concentramento di Ferramonti di Tarsia e nel giugno dello stesso anno si aprono per loro i cancelli di Bergen- Belsen. Sono anni di paura, fame e violenza. Ed è solo l'inizio. Perché al ritorno a casa, nel dopoguerra, Susy scopre che la lotta per la sopravvivenza non è affatto finita : la aspettano la miseria di una Milano in rovina, i sacrifici per poter studiare, un lavoro febbrile per conseguire un obiettivo difficile per una donna in quegli anni: la carriera medica, nel neonato reparto di pediatria del Fatebenefratelli prima  e all' Ospedale San Carlo poi. Ma questo è anche il tempo delle scoperte e dell'entusiasmo per i progressi della medicina, del clima fervido di cambiamento sociale, di avventure sentimentali fino alla passione totalizzante e travagliata per quello che rimarrà per sempre il grande amore: Umberto Veronesi. Anno dopo anno, nonostante il lavoro durissimo, i sei figli, i lutti e la malattia,
Susy si riappropria della sua vita, tiene alta la bandiera della sua indipendenza e dà vita ad un clan familiare numeroso e vitale, allargato, composito, unito.
Sultana Razon ci accompagna - in questo libro - nel racconto di
un'esistenza densa e drammatica con uno stile secco, ruvido, veloce
e capace di attraversare senza alcuna retorica il desiderio e l'orrore, la fatica e il gusto di vivere. Ne emerge il ritratto di una donna di grande temperamento, autenticamente anticonformista, che con feroce ostinazione e inaspettata dolcezza ha saputo costruire la felicità per sé e per i suoi.
Un libro - confessione senza imbarazzi - un bilancio tanto più commovente quanto più aspro e sincero di una donna nelle sue vicende familiari, una riflessione sulla società nonchè sui nostri pregiudizi e le nostre paure.


                      frida


 

IL CUORE SE POTESSE PENSARE( Una storia d'amore, ricerca e battaglie) 3

 
 

                               
             Gli uomini non cambiano : prima parlano d'amore e poi ti lasciano...



(...)Una domenica mattina della primavera del1989 io e mio marito
     decidemmo di andare di andare a vedere la casa al lago per
     valutare l'opportunità di venderla. Servivano lavori costosi di
     manutenzione del tetto, del pavimento dopo l'ultima inondazione
     e bisognava cambiare alcuni mobili infradiciati.
     In macchina, pensavo ai meravigliosi anni trascorsi lì con i miei
     bambini piccoli, le loro palette e i loro secchielli. Li rivedevo
     sgambettare a piedi nudi nell'acqua pulita della riva sotto il
     sole caldo delle giornate limpide di primavera inoltrata o inizio
     estate.
     Mio marito, più pragmatico, faceva notare che la villa era
     disabitata da tempo e che non poteva essere mantenuta
     decorosamente senza spenderci un mucchio di denaro.
     Dopo un lungo silenzio, che io pensavo fosse dovuto alle
     riflessioni sul problema della casa, Umberto disse 
     improvvisamente: " Susanna, ti devo fare una confessione".
     Dal tono di voce capii che era un problema scottante.
     Lo pregai di continuare.
     Guardando fisso la strada, con le mani contratte sul volante, mi
     confessò: " Ho un altro figlio di quattro anni".
     Mi sentii gelare, mi irrigidii e lo guardai sbalordita. Pensavo di
     aver capito male. Mi feci ripetere quelle parole. Avevo capito
     benissimo. In quell'istante credetti di morire. Mi si appannò la
     vista, mi si bloccò il respiro, il battito cardiaco perse qualche
     colpo, avvertii un dolore acuto allo stomaco, come se avessi
     ricevuto un colpo violento.Mi sentivo annichilita dalla sorpresa.
     Mi sentivo ferita normalmente. Mi rattrappii in un angolo della
     macchina. Sentivo salire dalle viscere un odio implacabile, una
     sorda umiliazione, un senso di impotenza e di inutilità di ogni
     parola, di ogni spiegazione o scusante.
     Come venni a sapere più tardi, i miei cognati sapevano, alcuni
     amici sapevano e anche una rivista di moda sapeva. Era stata
     pubblicata una fotografia della nostra famiglia con la seguente
     didascalia : " Il professor Veronesi con i figli avuti da due
     matrimoni". Indignata avevo scritto alla direttrice della rivista:
     ero l'unica moglie legittima e certo non c'era nessun figlio da
     un altro matrimonio.
     Quanto ero sta ingenua!  (...)

Sultana Razon Veronesi  da   Se il cuore potesse pensare ( Una storia d'amore, ricerca e battaglie )
      

IL CUORE SE POTESSE PENSARE ( Una storia d'amore, ricerca e battaglie) 4


(...) Per quanti tradimenti sospettassi, non avevo mai considerato l'
      evenienza di un figlio. Per dieci, quindici anni mi era stato
      tenuto nascosto questo adulterio.L'unica giustificazione che
      mio marito adduceva per scusarsi era il fatto che lei desiderava
      un figlio dall'uomo che amava da anni.
      Non ricordo come finì la gita al lago. Al ritorno, entro le mura
      domestiche, lo invitai ad andarsene. Non tolleravo la sua vista,
      le sue parole, le sue scuse infantili. Vi era un' altra donna nella
      sua vita,un altro bambino con annessa cerchia, di zii, zie,nonne
      Un'altra famiglia a cui pensare.
      Non intendevo dividere con nessuno l'uomo che avevo scelto, 
      che avevo amato più dei miei figli. Preferivo restare sola.Forse
      con il tempo avrei ritrovato un po' di serenità e pace. Avevo i
      ragazzi, il mio lavoro appassionante in ospedale, la casa.
      Era tempo di prendere una decisione drastica. Mi sembrava di
      non poter più sopportare le attese snervanti, i sotterfugi, le
      scuse, le bugie,le umiliazioni dentro e fuori le mura domestiche
      Persino nelle mie discussioni con il personale, lui parteggiava
      pubblicamente per loro, accusandomi anche se non aveva
      capito bene i termini del contendere. Si comportava come quei
      pretori d'assalto che assolvono o favoriscono comunque il più
      debole, anche se è notoriamente un ladro o un farabutto.
      Quante giornate infernali trascorsi!
      Umberto si mostrava rammaricato di avermi procurato tanto
      dolore. Non voleva andarsene. Voleva finire con me la sua vita
      Voleva restare nella sua casa. Malgrado tutti i tradimenti, lui
      giurava che io ero la sola donna che avesse mai amato, l'unica
      con la quale si trovasse bene fisicamente e psichicamente. (...)


 Sultana Razon Veronesi  da  Il cuore se potesse pensare ( Una storia d'amore, ricerca e battaglie )
     


IL CUORE SE POTESSE PENSARE ( Una storia d'amore, ricerca e battaglie ) 5


(...) Come facevo a credergli? Forse preferiva restare a casa sua
      perché era un albergo funzionante e gradevole. Forse preferiva
      restare con me perché non ero una rompiscatole, non parlavo
      mai, lo lasciavo sempre libero di fare quello che voleva.
      Mi sentivo schiacciata dalla  sua personalità. Era come essere
      sempre con un coperchio sulla testa che mi impediva di
      sollevarla. Guardavo i nostri figli riuniti a pranzo o a cena, li
      sentivo discutere con il padre, richiedendo sempre i suoi  
      consigli. Vi era un'intesa perfetta tra loro. Come potevo
      assumermi la responsabilità di allontanare un genitore tanto
      indispensabile alla loro educazione e al loro futuro?
      Mi rinchiusi in me stessa. Decisi che non avevo bisogno di
      nessuno per sopravvivere. Avevo i miei interessi, la medicina,la
      lettura, lo studio,la musica.Bastava eliminare la partecipazione
      emotiva dalla vita quotidiana. Mi imposi una maschera di
      indifferenza e freddezza. Non gli chiesi più imformazioni sulle
      partenze, sui ritardi, sulle uscite serali per evitargli la fatica
      di inventare bugie. Non volevo sapere nulla. Vivevamo sotto lo
      stesso tetto e dormivamo nello stesso letto matrimoniale, a cui
      nessuno dei due voleva rinunciare. Ci rincantucciavamo ai due
      lati opposti, voltandoci la schiena.
      Trascorsero i mesi.
      La situazione mi rendeva sempre più irascibile e cattiva.
      A volte raggiungevo l'acme dell'intolleranza e con scatti d'ira
      furibondi gli ribadivo che doveva andarsene, come per esempio
      successe un pomeriggio prima di Natale.
      Avevo chiesto ad Umberto di accompagnarmi a cercare i
      regali di Natale peri nostri figli.Mi rispose che era impossibile:
      aveva molto lavoro in ospedale. Mi avviai da sola in giro per
      negozi. Ad un tratto - in Piazza San Babila - lo vidi ridente
      sotto braccio alla sua compagna, che andavano insieme a far
      compere per il loro bambino.
      Mi sentii raggelare e mi vennero le lacrime agli occhi.
      In tanti anni di matrimonio non aveva mai voluto
      accompagnarmi a fare acquisti.Era un atteggiamento " piccolo
      borghese " come affermava spesso. Avevo dovuto sempre
      provvedere da sola al vestiario dei figli, del marito, agli oggetti
      per la casa, ai regali per gli ospiti, per i matrimoni, ad ogni
      incombenza relativa alla famiglia.
      Girai un angolo per non farmi vedere. La situazione sarebbe
      stata alquanto imbarazzante per tutti. (...)


Sultana Razon Veronesi  da  Se il cuore potesse pensare ( Una storia d'amore, ricerca e battaglie )

venerdì 23 febbraio 2018

IL CUORE SE POTESSE PENSARE ( Una storia d'amore,ricerca e battaglie ) 2


(...)La mia storia d'amore -come avevo previsto - procedeva intanto
     alternando periodi di gioia infinita a crisi di acuta sofferenza.
     Per circa trent'anni ci siamo amati alla follia.
     Umberto lavorava molto e spesso si assentava per congressi e
     conferenze. Quando tornava - anche dopo l'assenza di un solo
     giorno - ci abbracciavamo perdutamente sulla porta di casa,
     incuranti dei figli che ci si affollavano intorno per salutarlo.Non
     ci stancavamo mai di baciarci e stringerci con violenza, in un
     desiderio parossistico di congiunzione totale. Solo abbracciata
     a lui riuscivo a placare i morsi della gelosia che mi divoravano
     quando non l'avevo vicino. I suoi successi con le donne erano
     infatti proverbiali. La sua stessa professione gli permetteva un
     costante contatto con gli attributi sessuali femminili. Sapevo di
     molte donne che andavano nel suo studio solo per farsi palpare
     le mammelle, con la scusa di un sospetto tumore. Alle feste in
     casa di amici assistevo spesso agli ammiccamenti, ai segnali, ai
     corteggiamenti più o meno manifesti di alcune donne presenti.
     Il comportamento gioviale, premuroso e amorevole di Umberto
     verso il prossimo - donne in particolare - aumentava in loro la
     speranza di un coinvolgimento affettivo.
     Una sera d'agosto, a un gran ricevimento in una villa di
     Ansedonia,rimasi colpita da una giovane donna, bionda, vivace,
     spiritosa. Rimase incollata ad Umberto tutta la sera. Mi rovinò
     la festa, anche se ero abituata a quelle manifestazioni. La
     incontrai poi di nuovo a Milano in un altro ricevimento.
     indossava una pelliccia bianca di volpe. La trovai affascinante.
     Capii che quella donna sarebbe stata una rivale pericolosa.
     Da allora - ogni notte - cominciai ad essere perseguitata da un
     sogno ricorrente che mi lasciava angosciata per tutto il giorno
     seguente. Vedevo di spalle una donna alta, snella, bionda che
     si aggrappava al braccio di Umberto e si girava verso di lui
     ridendo. Oppure li vedevo a letto insieme o in macchina che si
     allontanavano spensieratamente. Fu un incubo che si ripetè
     quasi ogni notte per decenni.
     Cercavo di pensare ad altro, ma non riuscivo a cancellare dalla
     mente la chioma bionda che mi ballava davanti agli occhi. Il
     viso era sempre nascosto o aveva tratti indefiniti. Cominciai a
     cambiare carattere: divenni cupa, malinconica, aggressiva.
     Non riuscivo più a cantare ai miei bambini e con grande sforzo
     fingevo con loro serenità e buon umore.
     Solo molti anni dopo avrei saputo l'amara verità.  (...)


 Sultana  Razon  Veronesi  da  Se il cuore potesse pensare ( Una storia d'amore,ricerca e battaglie )


IL CUORE SE POTESSE PENSARE ( Una storia d'amore, ricerca e battaglie) 1

 
 

" Perché l'incoscienza è fondamento della vita. Il cuore - se potesse pensare - si fermerebbe ".  ( F. Pessoa )


(...) Dopo qualche settimana di convivenza nello stesso studio, non
      potevo più nascondermi di essermi innamorata perdutamente
      dell'uomo più affascinante, intelligente e inquietante che avessi
      mai conosciuto. Alto, folti capelli neri, occhi inquisitori e
      scanzonati in un viso maschio dai tratti decisi. Assomigliava
      all'attore Cray Grant, allora molto in voga sugli schermi. Mi
      imposi una fredda indifferenza per molti mesi. Passavamo ore
      uno di fronte all'altra, lui a un microscopio e io all'altro, o alla
      macchina da scrivere, sollevando di quando in quando il viso
      per studiarci furtivamente. Ogni tanto gli sguardi si
     incrociavano,si abbozzava un mezzo sorriso fingendo di pensare
     ai propri studi, con gli occhi subito rivolti all'infinito.
     Veronesi pubblicava lavori scientifici a getto continuo per
     prepararsi alla docenza. Io, finito il lavoro di segretaria,
     preparavo gli esami nei ritagli di tempo libero, pensando a mia
     mamma ammalata e a tutte le incombenze che dovevo svolgere
     prima di tornare a casa.
     Mi maceravo nella gelosia. Veronesi aveva molte amiche che lo
     cercavano. Per mascherare il mio interesse mi lasciavo
     corteggiare da un altro medico gentile e brillante ( divenne poi
     famoso come chirurgo toracico all' Università di Milano ) che
     in quegli anni lavorava all' Istituto Tumori. Trascorrevamo ore
     a discutere su una panchina dei giardini vicino all'ospedale. Mi
     aspettava alla fine della giornata lavorativa e mi
     riaccompagnava a casa in macchina. Voleva sposarmi, ma dopo
     qualche mese di amore platonico gli confessai che non ero
     innamorata di lui. Ne soffrì acutamente. Non lo rividi più
     nonostante lavorassimo nello stesso istituto.
     Una sera di inizio primavera io e il mio " coinquilino " ci
     eravamo attardati nello studio senza accorgerci di essere
     rimasti soli in tutto il laboratorio. Era passata l'ora di chiusura.
     Mi alzai dalla sedia stanca morta, con gli occhi che bruciavano
     per le tante ore trascorse al microscopio e alla macchina da
     scrivere; passai dietro la sua sedia per prendere il cappotto
     appeso a un piolo sul muro. Mi sentii afferrare in uno stretto
     abbraccio. Umberto si chinò e mi baciò rabbiosamente. Rimasi
     incollata alle sue labbra per un tempo che mi parve infinito,
     sentendo sciogliersi la freddezza e l'indifferenza che mi ero
     imposte. Fu una sensazione meravigliosa, per pochi minuti o
     secondi: in quel magico istante dimenticai tutte le mie pene e le
     mie preoccupazioni.
     Ci ricomponemmo subito. Ci guardammo smarriti. Andammo a
     casa, ognuno per la propria strada. I giorni seguenti fingemmo
     ce non fosse successo nulla. Per lui era facile:ero una conquista
     come mille altre ella sua vita di uomo bello, intelligente e
     intraprendente. Io ripresi la mia maschera di indifferenza.
     Evitai di atttardarmi nello studio, imponendomi di non    
     guardarlo neppure.  (...)         
    
 Sultana  Razon  Veronesi  da  Il cuore se potesse pensare ( Una storia d'amore, ricerca e battaglie ) 

giovedì 22 febbraio 2018

CENTO QUARTINE ( e altre storie d'amore )

 
 

                        " Vuota il tuo sacco; su, parla, poetessa..."  ( P. Valduga )

3

Ho paura di te: sei così bello!
Non affogarmi in notte tanto nere
se prima non mi apri nel cervello
la porta - che resiste - del piacere.




35

Terra alla terra, vieni su di me:
voglio il tuo vomere nella mia terra,
fiorire ancora traboccando e
offrire il mio fiore a te, mio cielo in terra.




2

Tu mandali a dormire i tuoi pensieri,
devi ascoltare i sensi solamente;
sarà un combattimento di guerrieri:
combatterà il tuo corpo e non la mente.



49

Dal mio martirio viene questa pace,
questa pienezza dalla tua rapina.
A tutto ciò che non ha nome e tace
sento l'anima mia farsi vicina.




96

No, niente amore qui, soltanto sesso:
non svegliamo l'invidia degli dei.
Ora che tanto bene mi hai concesso,
dio dell'amore, miserere mei...


     Patrizia  Valduga   da   Cento quartine ( e altre storie d'amore )

mercoledì 21 febbraio 2018

IO E LEI ( Introduzione )



Occuparci della nostra nascita per noi è impossibile: il "prima" ci è sconosciuto. Ma di certo - da vivi - possiamo riflettere sulla nostra morte, anche se il "poi" ci è ignoto. L'autore di questo testo ci dice di aver avuto consapevolezza della morte in età ancora molto tenera, a causa di un episodio occorsogli che gli fece diventare  l'evento un concetto acquisito. Ma - o forse proprio per questo -  non angosciante e fonte di un'intensa riflessione.
Da scienziato e da pensatore profondamente libero e onesto qual è, Boncinelli ne indaga qui tutti gli aspetti e le possibili interpretazioni con una serenità d'animo e un'acutezza di analisi che restituiscono a questo evento la sua naturalità, privandolo delle sovrastrutture negative.
Discute con argomentazioni lucide e stringenti le consolazioni della religione, dai miti delle origini fino al Paradiso cristiano, alle credenze più diffuse.
Esamina con passione e generosità divulgative le risorse della scienza, fino a metterci a parte delle ultime ricerche della genetica e della biologia.
Infine, affronta l'autentico mistero dell'universo, la coscienza - nostra assoluta unicità - sintetizzando così il suo sentimento :" Verrà la morte e non chiuderò i miei occhi".


                      frida

IO E LEI ( Oltre la vita ) 1

 
 
 

" La maggior parte degli esseri umani oscilla miserevolmente tra la paura della morte e i crucci della vita: non sa vivere, non vuole morire"   ( Seneca da  " Lettere a Lucilio ")


(...) Ci sono cose che non hanno per noi un prima e cose che non
      hanno un poi. Alle prime appartiene la nascita, alle seconde la
      morte. Non mi potrò mai occupare della mia nascita, ma certo
      della mia morte posso. Non so se mai ci incontreremo - io e
      la mia morte - ma ci rincorriamo da una vita. Più o meno da
      quando avevo cinque anni. Io ero a Bologna nell'immediato
      dopoguerra, ospite di un centro profughi allestito alla meglio
      nei locali di una caserma. Parlavo con la mamma di persone
      che non c'erano più e d'improvviso mi venne in mente che 
      anche i nonni di Firenze erano destinati prima o poi ad
      andarsene, e piansi.
      Fu il mio primo contatto cosciente con la morte naturale, come
      dire con la naturalezza della morte. Successivamente mi capitò
      spesso di pensare che se io - bambino - fossi morto, e questa
      volta non naturalmente, qualcuno avrebbe potuto piangere e
      disperarsi. Mi figuravo cioè il mio primo post mortem dal punto
      di vista dei vivi che presumibilmente mi amavano e spesso mi
      commuovevo da solo. Da allora la morte - la mia - è divenuta
      un concetto acquisito, presente ma non angosciante nella mia
      mente. Conosco persone che invece pensano continuamente
      alla morte e ne scorgono i segni dappertutto. Io no. So che c'è
      e che dovrà finire per cogliere qualche cosa di me, ma non ci
      penso quasi mai. Nella mia mente la morte non c'è, mentre c'è
      tanta, troppa vita.
      Ma questo non mi impedisce di meditarci sopra, anzi me lo
      facilita.  (...)


               Edoardo  Boncinelli   da    Io e Lei  ( Oltre la vita )

IO E LEI ( Oltre la vita ) 2


(...) Ma perché meditare sulla morte se il suo pensiero non mi
      assilla?Per due motivi essenzialmente,connessi l'uno con la sua
      percezione sociale, l'altro con quella individuale mia.Dal punto
      di vista sociale si parla della morte a vario titolo e con una
      certa regolarità, ma se ne parla sempre. Può essere la morte di
      individui, di gruppi o di comunità - per incidenti, per malattia o
      per attentati e per combattimenti - o può essere la morte
      prospettata e temuta. La religione - per esempio - che promette
      di liberarci dalla morte - in realtà ci costringe a pensarci di
      continuo, proponendo scenari dipinti con tinte di intensità
      variabile, ma mai trascurabile. Anche i matrimoni si celebrano
      nel luogo riservato alla morte e i funerali ne amplificano l'eco.
      La morte di chiunque rimanda - direttamente o indirettamente -
      al pensiero della propria, in un tempo indeterminato e magari
      indistinto, ma attuale come i discorsi di ogni giorno.
      Secondo alcuni è il pensiero della morte che ha ispirato e
      guidato molti dei nostri progressi collettivi: di sicuro l'
      aspirazione alla fama e all'immortalità delle nostre opere.
      Ed è certamente il pensiero della morte che ci porta a credere
      a quella massa di favole alle quali tutti siamo portati a credere.
      L' argomento della morte è vivo e presente anche quando è
      taciuto, anzi in quel caso lo può essere anche di più.
      La morte conferisce un orizzonte alla nostra vita.
      A tutto questo si aggiunge - per me - anche se non credo per 
      me solo, il tema del suicidio. La morte per suicidio è una morte
      particolare, anzi una mescolanza di morte e di vita,per eccesso
      o per insufficienza di vita. Ho pensato al suicidio
      praticamente da quando mi conosco: troppo orrenda era la mia
      vita infantile e giovanile per non pensarci, anche se dopo -
      molto dopo - le cose sono sensibilmente migliorate.
      La morte presenta almeno due caratteristiche contrastanti: su
      un piano di realtà è un fenomeno del tutto naturale e ogni
      essere vivente degli ultimi quattro miliardi di anni è morto,
      senza che nessuno sia mai sfuggito a questo destino. Sul piano
      conoscitivo ed esistenziale - invece - è il mistero di tutti i
      misteri: la contemplata limitatezza dell'esserci.
      Mi piace quindi meditare sulla morte per passare in rassegna
      i vari aspetti e le possibili interpretazioni di un fenomeno tanto
      ipotetico quanto probabile e universalmente diffuso.
      D'altra parte, so bene che non si può pensare costruttivamente
      alla morte. Si può pensare solo alla vita e lo si può fare mentre
      si è ancora - ovviamente - in vita. (...)


            Edoardo Boncinelli   da   Io e Lei  ( Oltre la vita )

IO E LEI ( Oltre la vita ) 3


(...) Tutti hanno un corpo. Io ho un corpo e una mente - mia e solo
      mia - con la quale convivo e che per me è indistinguibile dalla
      mia coscienza. Con questa mi occupo di tanti problemi, tra i
      quali spicca quello della morte, della mia morte soprattutto.
      Noi uomini sappiamo di dover morire quasi con la stessa 
      evidenza con la quale sappiamo di essere vivi. Gli animali non
      sanno in genere che dovranno morire, ma probabilmente non
      sanno nemmeno di essere vivi: per loro l'essere vivi non
      ammette alternative. E' uno stato di cose.Almeno così pensiamo
      noi.Molti di loro sono di sicuro in grado di riconoscere quando
      un animale giace immoto e privo di reazioni agli stimoli del
      mondo circostante, ma non è possibile sapere che cosa ne
      pensino in cuor loro,nè quanto ne siano coinvolti, se non
      azzardando rischiose analogie di natura antropocentrica.
      Per noi la vita è un durissimo impegno illuminato dalla 
      speranza: la morte una via d'uscita, remota ma obbligata. Oggi
      poi sempre più remota perché gli enormi progressi della
      biologia e della medicina l'hanno sensibilmente allontanata
      nel tempo. Ma non eliminata. Non credo che alcun animale
      abbia questa prospettiva - anzi abbia alcuna prospettiva - ma
      per noi è così. Noi abbiamo buona memoria delle cose passate
      e ci affacciamo piuttosto spesso sul futuro, anche lontano.
      Ciò dà continuità al nostro agire e respiro alla nostra mente.
      E' ovvio che l'anticipazione del futuro dipende dalle nostre
      informazioni e dal complesso delle nostre memorie e
      inclinazioni, ma non riusciremmo a vivere senza anticipare il
      futuro, almeno nella fantasia .  (...)


         Edoardo  Boncinelli   da   Io e Lei  ( Oltre la vita )

IO E LEI ( Oltre la vita ) 4


(...) Tali anticipazioni possono essere lusinghiere e foriere di
      soddisfazione oppure penose e paurose. E ' proprio la loro
      esistenza insieme - è appena il caso di dirlo - alla memoria di
      ciò che abbiamo visto, letto o sentito in proposito, che ci
      presenta in maniera più o meno continua l'idea della nostra
      futura morte, ancorché indistinta e remota.Tra la consultazione
      dei ricordi e l'anticipazione del futuro si estende la nostra vita
      di tutti i giorni. Che quindi è un presente oscillante e quasi
      sognato, in bilico fra il passato e il presumibile futuro; finchè
      questo è possibile.
      Il presente è la paratìa mobile che separa anticipazione e
      constatazione. A proposito di questo fenomeno, si parla
      tecnicamente  " di presente dinamico." Si è visto - infatti - che il
      presente vissuto non si configura come un confine netto tra il
      passato che non c'è più e il futuro che non c'è ancora.
      Tale presente dinamico è invece una collezione di fuggevoli
      episodi di vissuto interiore. Ciascuno di questi episodi è un
      atomo di tempo interno, racchiuso entro i limiti di una breve
      finestra dai confini sfumati, e dura da un terzo di secondo a
      circa mezzo minuto. Gli eventi vi si materializzano per qualche
      istante e poi recedono nel passato. In ciascun atomo di presente
      noi percepiamo e concepiamo un frammento di realtà che è il
      risultato dell'integrazione dei diversi processi di elaborazione
      dell'informazione che arriva a noi, spesso frammentari,
      incoerenti e privi di senso, come immagini visive, eventi,
      ricordi , attese, sfondi e schemi interpretativi.  (...)


        Edoardo Boncinelli   da  Io e Lei ( Oltre la vita )

lunedì 19 febbraio 2018

L'INCANTO DI UNA STORIA 1

 
 

" In tempi duri dobbiamo avere sogni duri, sogni reali, quelli che - se ci daremo da fare - si avvereranno.". ( C.P.E )


(...) Dentro a questo libriccino ci sono parecchie storie. Come
      matrioske, stanno l'una dentro l'altra. Tra la mia gente, alle
      domande spesso si risponde narrando delle storie. La prima
      storia il più delle volte ne evoca un'altra, che ne richiama
      un'altra ancora, finchè la risposta alla domanda diventa lunga
      parecchie storie. Si pensa che una sequenza di narrazioni offra
      una visione più ampia e profonda di quella che un'unica storia
      potrebbe dare. Dunque, secondo questa antica tradizione,
      cominciamo subito con una domanda: che cosa conta nella
      vita? Consentitemi di rispondervi narrandovi una storia.
      Questo antico racconto mi è stato riferito in molteplici versioni
      durante le tante serate trascorse accanto al fuoco. I narratori
      sono gente semplice originari dell' Europa orientale, che per lo
      più è rimasta fedele alla tradizione orale.
      La storia parla di un grande saggio,Rabbi Israel Bal Shem-Tov.

      L'amatissimo Rabbi stava morendo e mandò a chiamare i suoi
      discepoli : " Finora sono stato io a intercedere per voi; quando
      me ne sarò andato, dovrete agire per conto vostro.
      Conoscete il posto della foresta i cui mi rivolgo a Dio?
      Recatevi in quel luogo e fate la stessa cosa. Sapete come
      accendere il fuoco, sapete recitare la preghiera. Fate tutto ciò
      e Dio verrà ".
      Dopo la morte di Bal Shaem.- Tov, pa prima generazione di
      discepoli seguì alla lettera le sue raccomandazioni e Dio non
      si negò mai. Ma alla seconda generazione nessuno ricordava
      più come accendere il fuoco secondo gli insegnamenti del
      Maestro. Comunque, essi si recavano i quello speciale posto
      della foresta, recitavano la preghiera, e Dio veniva.
      Alla terza generazione nessuno ricordava come accendere il
      fuoco e neanche dov'era il luogo della foresta. Ma sapevano
      ancora recitare la preghiera e  Dio continuava a venire.
      Alla quarta generazione nessuno rammentava come accendere
      il fuoco, nessuno sapeva più quale luogo raggiungere nella
      foresta e non si sapeva più nemmeno come recitare la
      preghiera. Ma c'era una persona che ancora rammentava tutta
      la storia e la raccontava a gran voce.
      E Dio veniva .  (...)


           Clarissa  Pinkola  Estés    da      L' Incanto di una storia 



     
 

L'INCANTO DI UNA STORIA 2



(...) In questa antichissima storia, in tutta la storia dell'umanità e
     nelle più profonde tradizioni della mia famiglia,il fondamentale
     dono di una storia ha un duplice valore: che resta almeno una
     creatura in grado di raccontare la storia e che - grazie alla
     narrazione - le più grandi forze dell'amore, della misericordia,
     della generosità e della tenacia vengono richiamate nel mondo. 
     Nelle due tradizioni che mi riguardano, l'ispano- messicana per 
     nascita e quella degli emigranti ungheresi per adozione, la
     narrazione di una storia è considerata un esercizio spirituale
     basilare. Storie, leggende, miti e racconti popolari vengono
     appresi, sviluppati, catalogati e conservati così come si ordina
     una farmacopea. Una collezione di storie legate alla propria 
     cultura, e in specie di storie famigliari, è ritenuta assolutamente
     indispensabile per una vita lunga e prospera quanto il buon
     cibo, i buoni rapporti e un buon lavoro. Nella vita la custode di
     storie è nel contempo una ricercatrice, una guaritrice, un'
     esperta del linguaggio simbolico, colei che narra delle storie,
     che ispira, che parla con Dio e viaggia nel tempo.
     Della collezione di centinaia di storie che mi furono narrate
     dalle mie due grandi famiglie, ben poche sono intese come mero
     intrattenimento.Nell'applicazione popolare, sono piuttosto
     concepite e usate come un'ampia gamma di farmaci capaci di
     risanare, ognuno dei quali prevede una buona preparazione  
     spirituale e certe intuizioni, nel guaritore quanto nel paziente.
     Tradizionalmente queste storie medicinali hanno molti e diversi
     usi: servono per insegnare, correggere errori, alleviare,
     accompagnare una trasformazione, medicare le ferite, ricreare
     la memoria. Il loro fine principale è di educare e arricchire
     l'anima e la vita terrena.
     Occorre inoltre notare che molti dei farmaci più efficaci, cioè le
     storie, provengono dalla terribile sofferenza imposta ad una
     persona o a un gruppo. Perché - in verità - una storia nasce per
     lo più dal travaglio - loro, nostro, mio, vostro, di qualcuno che
     conosciamo e che è lontano nel tempo e nello spazio. Eppure
    - paradossalmente - queste stesse storie sgorgate da una  
     profonda sofferenza possono fornire i rimedi più efficaci contro
     i mali passati, presenti e futuri. (...)


            Clarissa Pinkola Estés   da    L' Incanto di una storia