" Alcune persone non meritano il nostro sorriso, figuriamoci le nostre lacrime". ( Charles Bukowski )
(...) Nell'amore, oggi più di ieri, mettiamo in gioco la nostra
identità. All'amore, oggi più di ieri, chiediamo di darci
conferma del nostro valore. Quello dell'amore - però - è
diventato un mercato altamente competitivo e individualizzato,
estremamente fluido, dominato dall'obsolescenza e dallo
spontaneismo, e al contempo normalizzato attraverso la
proposizione di categorie psico - identitarie e relazioni forti
- dalle donne che amano troppo agli uomini con la fobia dell'
impegno; dagli uomini in crisi di maschilità alle donne iper -
sessuate e aggressive. Nella selva delle etichette amorose
utilizzate dalla vulgata psicologica che dovrebbe sostenerci e
che invece - il più delle volte - ci fa sentire inadeguati, ciascuno
è sempre più solo e perciò più bisognoso di conferme - anche
solo momentanee - della propria capacità di sedurre o di poter
( sempre e di nuovo ) effettuare la miglior scelta: di essere una
buona preda o un miglior cacciatore. Tutto questo, spesso
negando la nostra capacità di cura e di far dono di sé all' altro.
La promessa di noi stessi, così totalizzante, come la voleva
l'amore romantico, non si combina con la configurazione dell'
amore come mercato o campo erotico, dove l'accumulo
incessante di capitale appare l'unica opzione accettabile
rispetto all'ideale moderno e maschile dell'autonomia come
indipendenza e libertà da ogni costrizione. E dove una logica
strumentale sembra spingere verso una femminilità che censura
la propria richiesta di riconoscimento -quasi vergognandosene-
fino ad abbracciare modelli maschili per il solo fatto che
appaiono vincenti, anche in termini di sopravvivenza psichica,
nell'agone erotico. Per quanto addolcito dalle lusinghe della
seduzione, il mercato dell'amore diventa allora davvero un
campo di battaglia, in cui tuttavia le posizioni di uomini e
donne rimangono gerarchizzate. Nel tanto criticato ideale
ottocentesco, le donne erano in posizione strutturalmente
subalterna, ma erano emozionalmente forti, grazie alla
legittimazione culturale della loro pretesa a farsi oggetto e
soggetto di cura. Gli ideali femminili di cura e riconoscimento,
di autonomia come rispetto di norme che ci si è dati insieme e
di fedeltà a sentimenti coltivati nella quotidianità sembrano
oggi essere " l'esercito di riserva" dell'amore, quello che si
attiva solo nel momento di crisi.
Il rischio allora è quello di un appiattimento dei sentimenti
senza parità, di un intorpidimento culturale che disegna donne
bisognose e uomini incapaci di amore. (...)
Eva Illouz da Perché l'amore fa soffrire
Nessun commento:
Posta un commento