E tu finisci per sistemare il libro, là in alto,
al posto giusto, quel piccolo incavo d'ombra e d'oblio
come l'angolo di terra che ti ritornerà.
Anche tu ritorni
al posto che ti spetta, davanti alla finestra, al tavolo,
a questo quadrato di neve che ancora nessuno ha forzato
e che va in tutti i sensi come la tua vita
tra le parole, le morti.
Sai bene che nessun luogo guarisce dall'assenza,
più di quanto il merlo nel cadere non rovesci
l'asse della terra, ma tu persisti, o scriba,
nel prezzolare gli angeli :
un po' d'oro nel fango - dite - che la notte resti aperta.
***
Se ho cercato - ho forse fatto altro? -
è stato come discendere una strada in pendenza
o perché all'improvviso gli uccelli
non cantavano più. Questa fossa nell'aria,
tra gli alberi, il mio fiato e i miei occhi
non l'hanno colmata - e io spesso gridavo
in mezzo all'erba, ma non aspettavo
nulla, mi dicevo : ecco
sono al mondo, il cielo è blu, nuvole
le nuvole, e che importa il grido sordo delle mele
sulla terra dura : la bellezza è che tutto
sta per sparire e che, pur sapendolo,
ogni cosa comunque continua a vagolare.
***
Verso ovest, con gli ultimi raggi rosati
seguendo bene la freccia sulla calza troppo tesa
della notte che si è chinata per mettersi
l'aereo in tasca, ecco
quello che ancora resiste, occhi al cielo, in piedi
su quel parcheggio dove sfilacci nel grigio
le tue vele di Colombo, le tue vie della seta
e del sale, e del solo, aspettando
aspettando che tutto finisca ( dici tutto
come chi fischia per tenersi l'ombra
al fianco nel vicolo scuro ) tutto : il bacio
- appena - del tramonto sulle labbra
di lei che se ne va lasciandoti il marciapiede.
***
Quel che ho voluto, l'ignoro. Un treno
sfreccia nella sera : non sono né dentro
né fuori. Tutto avviene come se
abitassi un'ombra
che la notte riavvolge come un drappo
che getta ai piedi della scarpata. Al mattino,
liberare il corpo, un braccio e poi l'altro
col tempo al polso
che batte. Quel che ho voluto, un treno
lo porta: ogni finestra rivela
in me un passeggero diverso
da quello da cui mi scosto al risveglio
il viso di legno, le stranezze, la morte.
***
Mi dicevo : bisogna ancora, bisogna -
e le parole correvano davanti a me, fiutavano
la strada, il cielo, le felci, il ventre
male abbottonato delle colline
poi tornavano, portandomi una punta di pelle
bruciata, un frammento d'osso : questa vecchia
e sempre lancinante domanda
del perché qui io, perché?
andare venire attendere come l'addetto
alle partenze, che apre e chiude l'orizzonte,
attendere l'ultimo viaggiatore
prima di rendere l'ardesia, scrivere
chiuso per pigrizia.
Guy Goffette da La vita promessa Trad. di C. De Luca
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