Cime degli alberi - Stampa su legno
ODE ALLE COSE ROTONDE
Non la linea retta, l'angolo acuto, la minor distanza tra due punti
ma la strada che aggira, il cerchio che rifiuta la quadratura
non la scatola, il cubo, la cella
ma cesti di frutta, sacchi di mele, mele a rotolare nell'erba
un segreto che frulla fra i rami della siepe di ligustri
accompagnando l'ondeggiare dei nidi, nidi come minuscoli cestelli
non il rettilineo, il tetragono
ma le consolazioni dei cerchi a generare nuove stelle, nuove donne
la terra mela azzurra con il suo fluido cuore ardente
non la piazza a T , il righello
ma i bocci di magnolia cerulei che spuntano da rami invernali
uova chiazzate in ceste tonde e la rotondità di O e omega
e i parenti dei limoni : le zucche e i meloni dal ventre pasciuto
non la siepe lineare, la misura
ma una palla che rotea nell'erba di primavera come pianeta
uno dei nove sferoidi dai poli piatti orbitati da un pugno di lune
non l'altissimo, i rettangoli di Mies Van de Rohe
ma verdi cupole di cattedrali, di moschee rivestite di giada e lapislazzuli
e popolate di santi che guardano giù con le pupille dilatate dall'estasi
non il cruciforme, il perpendicolare
ma lo spettacolo di luci del planetario sopra il fiume verde
il planetario meccanico del Grande Conte e l'orecchio gigante dell'osservatorio
a forma di disco che ascolta in uno spazio curvo
non il quadrangolo, l'esaedro
ma l'occhio sorpreso del sole allo spuntare del giorno
sulle bocce in porcellana con fragole e ciliegie di Osias Beert
accanto a una ciotola di olive marrone scuro
non il baule, lo scrigno, l'armadietto
ma la rotondità della botte d'acqua, tre botti d'acqua, tre rotondità
a echeggiare il mento e le guance di una giovane donna
la guancia mela rotonda quando lei dà un morso
come l'eclissi del martedì intorno alle sette che portò
via un morso di luna
non l'indeviabile, il lineare
ma la vasca da bagno in argilla del 3050 d.C., il suo orlo curvilineo ancora umido
il ventre e i seni della Venere di Villendorf, eternamente gravida
e liscia perché tenuta accanto al cuore ed estratta al momento del bisogno
l'ombra sulla meridiana di Tarasco che circuisce e rotea
le mani di tutti gli orologi che girano al ticktock di un'invasiva ombra circolare
non il metro, il livello, il quadriennio
ma l'orologio astronomico di Strasburgo con la sua sola ruota dentata
in cima a un sistema di ruote dentate e pulegge
che compie in 28000 anni un giro imitando il moto circolare dell'asse della terra
e preciso riproduce la rivoluzione dei pianeti
mentre ad ogni rintocco del mezzogiorno gli apostoli girano solenni intorno
l'orologio canta tre volte e uno scheletrino martella sul suo gong in ottone
non i paralleli, l'inflessibile, il quadrato
non strade e autostrade piene di visi del lunedì mattina
ma le stradelle che girano e girano attraverso meridiane di more
oltre le scintillanti minutiae di strade marine serpeggianti
tornando ai molteplici cieli di Henry Street
ai tre vicini, coi visi allineati al sole, a spettegolare sulle soglie
non l'irriducibile, l'adamantino, il settore
ma lo stagno nella foresta che contiene ogni minerale blu noto
e una ninfa dello stesso colore che si vede di rado
né quel che è rigido e non pieghi, la bacchetta
ma goccioline si foglie che scrivono il loro rondeaux in lode alla trascrizione acquosa
del concerto in A ( 440 Hz ) così come lo canta la bocca tonda dell'oboe
in lode dell'andirivieni delle danze, delle maree
al tambureggiare del bollitore del mare
lo staccato della grandine su tetti spioventi, l'intero teatro nel girotondo
in lode delle stagioni che tornano con esplosioni di prati di giunchiglie
e d'angoli muschiosi nei canali del mulino, di globi grigi in carta di riso
incollati da vespe assidue, nell'anello dei fortini su isole tondeggianti
di braccialetti e della tenacia delle loro singole connessioni
di ragnatele dal raggio rigoroso
in lode dell'autoritratto di Parmigianino, il giovane viso che sorride sbieco
da uno specchio convesso e in lode di sette mongolfiere
che osservammo a Dresda un giorno d'estate mentre
le gonfiavano sulle rive dell'Elba per portarle una dopo l'altra in cielo
in lode delle mele blu di Cezanne, di gusci di lumache che combinano forza ed eleganza
e in lode del corpo scintillante rifugiato nella carne dell'ostrica
che s'indurisce e perfeziona come un amore rimasto
fino all'ultimo nascosto.
Eva Bourke da La latitudine di Napoli
Bellissima ed erudita questa ode (lode) a quanto c'è di rotondo contrapposto alla finitudine, alla geometrica freddezza del lineare. Il mito dell'eterno ritorno, dell'infinita circolarità; percorso privo di cesure, di ottusi angoli presenti nei poligoni quali cerchi imperfetti.
RispondiEliminaAnche nella misura, il cerchio racchiude (pur nella sua concretezza geometrica) il mistero dell'infinitezza del pi greco: l'incommensurabilità insita nel rapporto tra raggio e circonferenza.
Fantastico!
RispondiEliminaE' un ottimo commento che aiuta a comprendere questa lirica nel profondo. Non posso che esprimere il mio vivo plauso...