domenica 6 marzo 2022

UN ROTONDO PERFETTO


                                                Cime degli alberi - Stampa su legno




 

ODE ALLE COSE ROTONDE


Non la linea retta, l'angolo acuto, la minor distanza tra due punti

ma la strada che aggira, il cerchio che rifiuta la quadratura

non la scatola, il cubo, la cella

ma cesti di frutta, sacchi di mele, mele a rotolare nell'erba

un segreto che frulla fra i rami della siepe di ligustri

accompagnando l'ondeggiare dei nidi, nidi come minuscoli cestelli

non il rettilineo, il tetragono

ma le consolazioni dei cerchi a generare nuove stelle, nuove donne

la terra mela azzurra con il suo fluido cuore ardente

non la piazza a T , il righello

ma i bocci di magnolia cerulei che spuntano da rami invernali

uova chiazzate in ceste tonde e la rotondità di O  e omega

e i parenti dei limoni : le zucche e i meloni dal ventre pasciuto

non la siepe lineare, la misura

ma una palla che rotea nell'erba di primavera come pianeta

uno dei nove sferoidi dai poli piatti orbitati da un pugno di lune

non l'altissimo, i rettangoli di Mies Van de Rohe

ma verdi cupole di cattedrali, di moschee rivestite di giada e lapislazzuli

e popolate di santi che guardano giù con le pupille dilatate dall'estasi

non il cruciforme, il perpendicolare

ma lo spettacolo di luci del planetario sopra il fiume verde

il planetario meccanico del Grande Conte e l'orecchio gigante dell'osservatorio

a forma di disco che ascolta in uno spazio curvo

non il quadrangolo, l'esaedro

ma l'occhio sorpreso del sole allo spuntare del giorno

sulle bocce in porcellana con fragole e ciliegie di Osias Beert 

accanto a una ciotola di olive marrone scuro

non il baule, lo scrigno, l'armadietto

ma la rotondità della botte d'acqua, tre botti d'acqua, tre rotondità

a echeggiare il mento e le guance di una giovane donna

la guancia mela rotonda quando lei dà un morso

come l'eclissi del martedì intorno alle sette che portò

via un morso di luna

non l'indeviabile, il lineare

ma la vasca da bagno in argilla del 3050 d.C., il suo orlo curvilineo ancora umido

il ventre e i seni della Venere di Villendorf, eternamente gravida

e liscia perché tenuta accanto al cuore ed estratta al momento del bisogno

l'ombra sulla meridiana di Tarasco che circuisce e rotea

le mani di tutti gli orologi che girano al ticktock di un'invasiva ombra circolare

non il metro, il livello, il quadriennio

ma l'orologio astronomico di Strasburgo con la sua sola ruota dentata

in cima a un sistema di ruote dentate e pulegge

che compie in 28000 anni un giro imitando il moto circolare dell'asse della terra

e preciso riproduce la rivoluzione dei pianeti

mentre ad ogni rintocco del mezzogiorno gli apostoli girano solenni intorno

l'orologio canta tre volte e uno scheletrino martella sul suo gong in ottone

non i paralleli, l'inflessibile, il quadrato

non strade e autostrade piene di visi del lunedì mattina

ma le stradelle che girano e girano attraverso meridiane di more

oltre le scintillanti minutiae di strade marine serpeggianti

tornando ai molteplici cieli di Henry Street

ai tre vicini, coi visi allineati al sole, a spettegolare sulle soglie

non l'irriducibile, l'adamantino, il settore

ma lo stagno nella foresta che contiene ogni minerale blu noto

e una ninfa dello stesso colore che si vede di rado

né quel che è rigido e non pieghi, la bacchetta

ma goccioline si foglie che scrivono il loro rondeaux in lode alla trascrizione acquosa

del concerto in A ( 440 Hz ) così come lo canta la bocca tonda dell'oboe

in lode dell'andirivieni delle danze, delle maree

al tambureggiare del bollitore del mare

lo staccato della grandine su tetti spioventi, l'intero teatro nel girotondo

in lode delle stagioni che tornano con esplosioni di prati di giunchiglie

e d'angoli muschiosi nei canali del mulino, di globi grigi in carta di riso

incollati da vespe assidue, nell'anello dei fortini su isole tondeggianti

di braccialetti e della tenacia delle loro singole connessioni

di ragnatele dal raggio rigoroso

in lode dell'autoritratto di Parmigianino, il giovane viso che sorride sbieco

da uno specchio convesso e in lode di sette mongolfiere

che osservammo a Dresda un giorno d'estate mentre

le gonfiavano sulle rive dell'Elba per portarle una dopo l'altra in cielo

in lode delle mele blu di Cezanne, di gusci di lumache che combinano forza ed eleganza

e in lode del corpo scintillante rifugiato nella carne dell'ostrica

che s'indurisce e perfeziona come un amore rimasto

fino all'ultimo nascosto.




                             Eva  Bourke   da     La latitudine di Napoli



2 commenti:

  1. Bellissima ed erudita questa ode (lode) a quanto c'è di rotondo contrapposto alla finitudine, alla geometrica freddezza del lineare. Il mito dell'eterno ritorno, dell'infinita circolarità; percorso privo di cesure, di ottusi angoli presenti nei poligoni quali cerchi imperfetti.
    Anche nella misura, il cerchio racchiude (pur nella sua concretezza geometrica) il mistero dell'infinitezza del pi greco: l'incommensurabilità insita nel rapporto tra raggio e circonferenza.

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  2. Fantastico!

    E' un ottimo commento che aiuta a comprendere questa lirica nel profondo. Non posso che esprimere il mio vivo plauso...

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