giovedì 4 giugno 2020

WABI o della BELLEZZA




                                                              Tradizione giapponese




(…) Nel Giappone medievale, i poeti e i sacerdoti zen
indirizzavano i giapponesi verso aspetti del mondo
ai quali di rado gli occidentali hanno dedicato pubblicamente un’attenzione più che trascurabile o casuale: fiori di ciliegio, pezzi deformi di ceramica, sentieri di ghiaia passata al rastrello, muschio, la pioggia che cade sulle foglie, cieli autunnali,
tegole di tetti, legno grezzo.
E’ nata una parola, “wabi”, della quale non a caso
nelle lingue occidentali manca un equivalente diretto,
che individua la bellezza nelle cose modeste, semplici, incompiute, transitorie. E’ wabi trascorrere una serata da soli
in una casetta nei boschi ad ascoltare la pioggia che cade.
Wabi sono una serie scompagnata di stoviglie, recipienti anonimi, muri rovinati e pietre consunte dalle intemperie
e coperte di muschi e licheni. I colori più wabi sono il grigio,
il nero e il marrone.
Immergerci nell’estetica giapponese e coltivare una sintonia
con le sue atmosfere può contribuire a prepararci per il giorno
in cui, in un museo di ceramiche, c’imbatteremo per esempio in tazze da tè tradizionali create dall’artista Honnami Koetsu.
Non crederemo – come avremmo fatto
senza l’eredità di seicento anni di riflessioni
sul fascino del wabi – che questi esemplari siano strani sgorbi
fatti di materia informe. Avremo imparato ad apprezzare
una bellezza che non eravamo nati per vedere (…).




Alain De Botton  da     Architettura e felicità



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