giovedì 11 giugno 2020

LA SENSUALE VIOLENZA DI VICKI




                                                Lucien Freud  ( Ragazza nuda con uova )



RAGAZZA NUDA CON UOVA

Mentre lei si toglie il cappotto, la gonna,
il golf di cashmere, la collana di perle
e si sdraia pronta sul letto, la mano sinistra
che regge il seno sinistro, il corpo contorto
a forma di S, lui frigge due uova

e le porta su un piattino bianco.
Poi si mette all'opera - il pennello
che scivola sulla carne lucente,
lo scuro pelo ruvido tra le gambe,
come una lingua che cerca il sale.

Lei fissa la mente sulle uova,
come se - concentrandosi abbastanza -
avrebbe scoperto un significato ovvio
come in uno di quei quadri
dove un teschio - in fondo a sinistra - equivale alla morte.

Che cosa c'è di più familiare e confortante
che inzuppare pezzetti di pane tostato
nei morbidi tuorli gialli? Eppure lei pensa
a un giorno in brughiera quando pestò 
un nido di chiurlo, e di se stessa

in posa sul copriletto nero
per soddisfare qualcosa - ancora in libertà
nel mondo - che ama più di ogni altra cosa
nutrirsi di una ragazza nuda
con due uova fritte.


                                               ***

GIUDITTA

Mentre mi chiedo come può una donna virtuosa uccidere,
entro nella tenda di Oloferne,
in una mano ho i suoi lunghi capelli cosparsi di unguento
e nell'altra, alzata sopra
la sua faccia addormentata, arrossata dal vino,
la sua scimitarra dalla lama ricurva,
sguainata. E sento una vampa
di tenerezza, un desiderio
di deporre l'arma, di sdraiarmi
protetta e sicura nel sudore acre
del guerriero, sotto le stelle di smeraldo
del suo baldacchino di porpora e oro,
di annullarmi come un confetto sciolto
sulla sua lingua. E ricordo il bagliore
del campo d'orzo : mio marito
che respinge la spugna che gli premo
sul capo che brucia, la stoppia
che mi punge i piedi mentre corro
e mi getto su un corpo
già quasi freddo
e irrigidito; e le notti
passate sul tetto - il mio vuoto
come il vuoto di un tempio
con le porte sfondate; e le mattine
in cui mi rotolo nella cenere
soltanto per essere toccata e sporcata
da qualcosa. E gli affondo la lama
nel collo - ed è facile
come affettare del pesce.
E la affondo di nuovo,
spaccando l'osso.


                                                   ***

LA FANCIULLA SENZA MANI

Quando l'acqua smise di uscirle dalla bocca,
e le ebbi strofinato gambe e braccia,
e torace e pancia e schiena
con ciuffi di muschio secco;
e messa a dormire in un nido d'erba,
e stesi i panni fradici su un cespuglio,
e tenuta di nuovo stretta - il suo calore mi penetrava
nel petto e nella spalla,
il respiro cui non potevo credere
come una piuma a solleticarmi il collo,
mi lasciai andare al pianto. Piansi per le mani
che mio padre mi aveva tagliato, per i moncherini 
tormentati dal formicolìo di rugose
cicatrici ; per le mani d'argento -
me le aveva date mio marito - che filavano e tessevano
ma non sentivano ; e per le braccia senza mani
che avevano lasciato cadere la mia bambina - scivolata
dalla stretta fasciatura
mentre bevevo dal fiume rigonfio.
E piansi per le mani che germogliarono
dal fango rossiccio - le mani
che scrivono questo e stringono
il riccio del suo pugno.


                                                 ***

GELATINA DI MELE SELVATICHE

Ogni anno dicevi che non ne valeva la pena -
avevi di meglio da fare tu del tuo tempo -
ed eri furiosa quando alla fiera parrocchiale
i vasi costavano
meno del prezzo dello zucchero.

E ogni anno ti addentravi nei sentieri
intorno a Calverton per cercare
gli alberi selvatici delle mele
rosse e all'apparenza dolci come ciliegie,
ma più aspre dell'uva spina.

Le cuocevi nel pentolone di rame
che la nonna si era portata da Wigan,
le schiacciavi contro i lati
con un lungo cucchiaio di legno per spaccare
le bucce, e filtravi la polpa

in una vecchia pezza di mussola.
Penzolava per giorni, appesa con lo spago
agli scalini della cucina, e sgocciolava
dentro una catinella sul pavimento -
chiazzata di marrone, orribile,

una testa in una borsa, una sacca
di acidità, di tutto ciò che andava storto
in quella casa di donne. Le ultime gocce
le strizzavi con le tue mani;
poi, con porte e finestre chiuse

per tenere fuori le vespe chiassose,
facevi bollire il succo con lo zucchero,
versavi lo sciroppo su un piatto freddo
finchè non si condensava in gelatina,
e riempivi i vasi riscaldati.

Quando i vasi erano freddi
ne tenevi uno controluce
per vedere se la gelatina era chiara.
Oh Mamma, era chiara e lucida
come vetro colorato e del colore del fuoco.




                         Vicki  Feaver    da     Poesia, Crocetti

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