Signore : è tempo.
GIORNO D'AUTUNNO
Signore: è tempo. Grande era l'arsura.
Deponi l'ombra sulle meridiane,
libera il vento sopra la pianura.
Fa' che sia colmo ancora il frutto estremo;
concedi ancora un giorno di tepore,
che il frutto giunga a maturare, e spremi
nel grave vino l'ultimo sapore.
Chi non ha casa adesso, non l'avrà.
Chi è solo a lungo solo dovrà stare,
leggere nelle veglie, e lunghi fogli
scrivere, e incerto sulle vie tornare
dove nell'aria fluttuano le foglie.
***
Egli è terreno? No, dai reami
diversi prese la vasta natura.
Più esperto piega del salice i rami
chi le radici del salice cura.
Quando fa buio sul desco non resti
pane né latte: attirano i morti -
Me egli, evocatore, li desti
e nello sguardo mite li esorti
a mescolarsi a ogni cosa veduta;
a lui l'incanto di erica e ruta
sia vero come il rapporto più chiaro.
Niente l'immagine salda cancella;
sia dalla casa, sia dalla bara,
celebri l'urna, il fermaglio o l'anello.
***
Ecco, esaltare! A esaltare egli venne,
sgorgò così come sgorga dal muto
sasso il metallo. Il suo cuore è il caduco
filtro d'un vino agli umani perenne.
Non mai la polvere spegne la pura
voce se l'eco del dio la trascina.
Tutto diventa grappolo e vigna
che il suo sensibile agosto matura.
Non il marcire dei re nella tomba
muta in menzogna il suo canto, non l'ombra
che da figure divine si posa.
Perchè egli è uno dei messi più forti
che ancora oltre le soglie dei morti
levano coppe di frutti gloriosi.
***
Tu pensi fiori, grappoli, tralci...
Certo non parlano questa più timida
lingua dei mesi. Dal buio una varia
ricchezza sorge, e ha il colore d'invidia
dei morti: ai morti si nutre la zolla.
Noi che sappiamo di tante fila?
Da molto tempo certo la molle
creta sopporta un'impronta sottile.
Ora ti chiedo: dànno di cuore?
E' questo il frutto di un'opera lenta
di schiavi a noi che restiamo i signori?
O sono loro i padroni: chi giace
alle radici e a noi manda in silenzio
un suo superfluo vigore di baci?
***
Come ci prende il grido dei voli...
Forse un qualsiasi grido pensato.
Forse i bambini che giocano soli
sanno gridare passandoci a lato.
Gridano il caso. Nei vaghi interregni
di questo spazio del mondo ( in cui puro
entra lo strido d'uccello, e s'insinua
l'uomo nel sogno ) essi piantano acuto
il grido. - A noi che rimane? Tremanti
di risa agli orli, aquiloni strappati
sempre la vuota tempesta ci attira,
stracci nell'aria. - Ma tu, dio del canto,
ordina i gridi! Che a un segno destati
alto trasportino il capo e la lira.
Rainer Maria Rilke da Poesie
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