" Venite in Paradiso, là dove vado anch'io, perché non c'è l'Inferno nel mondo del buon Dio…" CUORE A scrivere ho imparato dagli amici, ma senza di loro. Tu m'hai insegnato ad amare, ma senza di te. La vita con il suo dolore mi insegna a vivere, ma quasi senza vita, e a lavorare, ma sempre senza lavoro. Allora, allora io ho imparato a piangere, ma senza lacrime, a sognare, ma non vedo in sogno che figure inumane. Non ha più limite la mia pazienza. Non ho pazienza più per niente, niente più rimane della nostra fortuna. Anche a odiare ho dovuto imparare e dagli amici e da te e dalla vita intera. *** C'è chi, al contrario di me, non dispera che con salute e forza e virtù e buona fortuna si arrivi a morire dopo tanti bei giorni, pieni di tantissime cose di questo mondo o di un altro mondo; o dopo tanti giorni, e quella gioia soltanto povera dei giorni. Io sono felice, a questo mondo, solo di questo e spero che a me il destino procuri - con le sue pesti e le pietà e i suoi dolori - un solo giorno più bello di tutti questi miei dolorosi giorni, o di questo mio dolore si dimentichi per un solo giorno. *** M 'innamoro di cose lontane e vicine, lavoro e sono rispettato, infine anch'io ho trovato un leggero confine, a questo mondo che non si può fuggire. Forse scopriranno una nuova legge universale, e altre cose e uomini impareremo ad amare. Ma io ho nostalgia delle cose impossibili, voglio tornare indietro. Domani mi licenzio, e bevo e vedo chimere e sento scomparire lontane cose e vicine. *** Ma oltre queste verità e dentro queste vuote parole ho perso la misura. Ora io so soltanto che sono seduto a questo tavolo e che per tante buone ragioni ho tempo e odio da spendere. E mi basta così senza nemmeno maledire. E non è perdere al gioco, e poi fa bene vivere. Un'arte marziale voglio imparare, di che sempre si possa indugiare di far male. Un teatro astratto di colpi e pensieri per i giorni neri. E poi le gioie e insieme con gli amici far niente. *** Viene la sera - è vero - silenziosa piove una luce d'ombra e come fossero i nostri sensi inevitabili improvvisi, noi lamentiamo una più vasta scienza. Aver di quella il frutto appariscente, la bella trama, e l'ombra perfino, di sussurri e di giochi, come bimbi. Ma io lo so - Serena - io non posso in questi tempi segnati dal segreto di cui s'invade la nostra intimità, vivere adesso se non con tale affanno e così lieve. Di questo amaro stento già si fa più vero un sentimento pago di letizia, al modo che alla sera insieme andando per le strade chiare, t'ho visto, d'ombra e di segreto, noi siamo tra i perduti lumi esseri più miti di chi venuto prima di noi ebbe solo a soffrire salvi quasi per caso e in questo pròdighi i baci sono bellissimi doni. Beppe Salvia da Un solitario amore
Non smettono il giorno e la notte di andare e confondere, di sbranarsi. Qualsiasi parte di te è nella lucentezza nera e pulsante che occupa il sole in qualsiasi momento ma non abbastanza. Abbiamo tentato, tu più di tutti. Puoi lasciare - adesso - puoi lasciare se sei stanco, se sei troppo stanco per il troppo male, puoi lasciare. *** Che stanchezza da pane dimenticato in queste stanze di sonno breve, in questo sonno a morsi amari che voglia di piangerti meglio. Orso Tosco da Figure amate
Si screzia il tuo volto di bruna come i fiori che ami… VENTO Come un lupo è il vento che cala dai monti al piano, corica nei campi il grano ovunque passa è sgomento. Fischia nei mattini chiari illuminando case e orizzonti si sconvolge l'acqua nelle fonti caccia gli uomini ai ripari. Poi, stanco s'addormenta e uno stupore prende le cose, come dopo l'amore. *** PRIMAVERA E' venuto il tempo che il ranuncolo limpido rischiara l'erba folta e amara; fitte e stupite si schierano sulle prode le margherite, già l'usignolo s'ode. Sotto gli occhi di ogni fanciulla una tenera ombra è fiorita, e con quell'ombra di viole il giovane sole si trastulla. *** CONVALESCENTE Ancora vita il tuo dolce rumore dopo giorni bui e muti riprende. Porta il vento di maggio l'odore del fieno, il cielo immobile splende. Gli occhi stanchi colpisce di lontano il rosso papavero in mezzo al tenero grano. *** ALLA MADRE Se tu torni fra noi è un caldo e grigio giorno di marzo, è l'ora del riposo per noi rimasti nella casa, in pace. Così lungamente abbiamo aspettato nel silenzio delle stanze assopite; ora i bambini sono andati per viole. Oh, poterli cercare con te fra le gaggìe nude nel sole. *** PER UN BEL GIORNO Un cielo così puro un vento così leggero non so più dove sono dov'ero. O gaggìa nuda, bruna violetta che nel calore fugace appassisci in fretta. Giorno che te ne vai e non sai nulla di me e della violetta che tanto amo e del ramo nudo della gaggìa, giorno, non andare via. Attlio Bertolucci da Le poesie
QUESTA SERA IL SOLE… Questa sera il sole tramonta nei tuoi occhi l'inverno vi si spegne, lenta brace tranquilla. Così la gente indugia per le strade che l'ombra non ha toccato ancora, ma il fumo appena da umili camini intimamente annuvola. Tu lascia che ristagni sulle case ed offuschi i lontani del cielo che scolora. Finchè un'altra pena porti la notte, vigilia della primavera. *** PROVA DI SONETTO Al sole che declina questo giorno d'alte nubi, poeta derelitto, imporpora soave il disadorno, umile marmo ove il tuo nome è scritto. La città che si muove a te dattorno quetamente felice lo sconfitto tuo nome ignora, persa nel ritorno del mese che il cucù saluta afflitto dalla pianura verde e nera poi che il primo temporale s'è perduto di là dell'Appennino che rischiara. Ma il tumulto pacifico che noi nella sera moviamo, la tua amara ombra conforti e il tuo cuore muto. *** E VIENE UN TEMPO… E viene un tempo che la tua persona si fa maturando più dolce, si screzia il tuo volto di bruna come i fiori che ami, i garofani e i gerani dell'umida primavera di qui. Gli anni sono passati, sull'intonaco inverdito di muffa, luce e ombra si baciano, a quest'ora che volge, con tale disperata tenerezza il tempo prolungando dell'addio. *** I PAPAVERI Questo è un anno di papaveri, la nostra terra ne traboccava poi che vi tornai fra maggio e giugno, e m'inebriai d'un vino così dolce così fosco. Del gelso nuvoloso al grano all'erba maturità era tutto, in un calore conveniente, in un lento sopore diffuso dentro l'universo verde. A metà della vita ora vedevo i figli cresciuti allontanarsi soli e perdersi oltre il carcere di voli che la rondine stringe nello spento bagliore d'una sera di tempesta, e umanamente il dolce cedeva alla luce che in casa s'accendeva d'un'altra cena in un'aria più fresca per grandine sfogatasi lontano. *** NON Non mi lasciare solo se io ti lascio sola e intorno a te la luce è quella che fa piangere dei giorni ordinari, non allontanarti con passo fiducioso in direzione dell'estate e non considerare rassegnata la fatalità delle averse e del sole; non acquistare viole in prossimità della casa. Attilio Bertolucci da Le poesie
(Come volevasi dimostrare… ) (…) Su quali basi si possono giudicare le fotografie? Dato che è sempre più facile esprimersi per negazioni, è meglio iniziare indicando alcuni parametri di giudizio largamente impiegati ma perversi, che quindi si potrebbero opportunamente abbandonare.Il più popolare è la sincerità .Argomento caro a molti giovani perché, nel fremito della disillusione, si convincono di aver fatto una scoperta rivoluzionaria: esistono persone che mentono. Tra i problemi che comporta usare questa accusa nella critica fotografica, c'è che è difficile provarla, come i critici letterari hanno appreso da diverse generazioni. Una cosa è sospettare qualcuno di essere falso, un'altra è stabilire che lo sia veramente. La fotografia è lì, è l'unica prova rilevante ( ammesso che non ci siano altre fonti, come lettere o diari del fotografo ) ed è difficile dimostrare che contraddice le convinzioni più profonde del fotografo.Potremmo forse anche dire che nessuna persona sensibile prenderebbe per vere le idee espresse in un'immagine, ma questa è un'altra questione. E' inoltre vero che si agisce sempre per un insieme di motivi diversi.Gli stessi fotografi - in genere - non sanno dire con precisione perché fotografano. Questa incertezza è un valido pungolo per l'autoanalisi, ma non una base per disprezzare i supposti compromessi altrui. Per meglio mettere a fuoco la " sincerità", vorrei avanzare un' idea: la sincerità, almeno per certi aspetti, è spesso una qualità negativa dell'artista che - per definizione - è alla ricerca della forma, delle forme generali della vita ad di là dei limiti impostigli dalle immediate condizioni sociali, economiche o politiche. Alcuni tra gli artisti peggiori, dopotutto, sono i più sinceri. Al contrario , James Joyce potrebbe essere considerato un irlandese poco sincero perché pare che si curasse dell' indipendenza del suo paese non più di quanto gli servisse per mostrare altre verità. Allo stesso modo, si potrebbe accusare Walker Evans di insincerità nei riguardi dei poveri contadini del Sud degli Stati Uniti: non li usava - forse - con fredda slealtà come allegorie - del tutto inconsapevoli - per quello che tutti siamo? (…) Robert Adams da La Bellezza in fotografia
Robert Adams ( America ) (…) La parola " sincerità" - quindi -va applicata all'arte con cautela, riferendola semmai a quella che potremmo chiamare la sincerità del distacco dai condizionamenti dell'artista. Con questo, stiamo sfiorando un nodo critico legittimo, perché al centro del nostro interesse è l'essenza dell'arte, la conformazione complessiva che un artista trova nella sua materia, il significato che scopre nell'apparente confusione della vita. Altro metro di giudizio improprio è la " biografia",la vita dell' artista.Non si possono disprezzare le poesie di Marianne Moore per la sua abitudine ad indossare abiti stravaganti, o i racconti di Faulkner per la sua fama di bevitore, così come non si può attaccare una fotografia perché chi l'ha fatta lavora per " Life" o all'Università, è socialista o meno e così via. Secondo il critico Max Kozloff le note di presentazione di un fotografo dovrebbero specificare - tra l'altro - " le origini di classe dell'artista e i suoi rapporti professionali ". Come regola generale vale invece il contrario, perché le uniche cose che distinguono un fotografo da chiunque altro sono le sue immagini, il solo motivo del nostro particolare interesse nei suoi confronti. Del resto, se non si possono capire le immagini senza conoscere i dettagli della vita privata dell'artista, questa sarebbe una buona ragione per scartarle. L'arte - per definizione - è indipendente da chi l'ha prodotta. Col passare degli anni spero anche che i critici possano liberarsi del loro pesante accademismo per arrivare alla verità Elaborati schemi concettuali di interpretazione - come la psicoanalisi - tendono perlopiù ad allontanare dalle fotografie e a semplificare oltremodo il mistero e la qualità dell'opera. George Orwell ha scritto che " si può interpretare " una poesia solo riducendola ad allegoria, che è come mangiare una mela per i suoi semi". Mi piace la similitudine perché conosciamo tante splendide immagini di mele ( Cézanne, Stieglitz, Steichen, etc ), ma non perdiamo per questo il piacere di mangiarle.Per alcuni però,le idee costituiscono l'interesse primario.Orwell mostrava i pericoli di un'eccessiva interpretazione, citando un passaggio da un libro su Amleto :" Nell' Amleto, un desiderio inconscio di incesto impedisce all'eroe di sposare la ragazza che ha corteggiato".Quindi proseguiva con un commento che mi piace ricordare agli amici intellettuali : " Davvero molto ingegnoso, ma quanto sarebbe stato meglio non averlo detto! ". Come sarebbe parsa migliore la storia, più ricca, più complessa, come la vita stessa . (…) Robert Adams da La Bellezza in fotografia
(…) Yeats sviluppa in quattro punti le proprie argomentazioni: 1) Ho vissuto l'esperienza accecante dell'intromissione della Musa ( Daimon ) che mi ha illuminato sulle possibilità del mio real self. 2 ) Riconosco un fenomeno simile in artisti che sono miei amici ( Lady Gregory, Synger ); 3) anche grandi artisti del passato sembravano aver lottato contro un destino che nella vita reale li rendeva molto diversi ( Keats, William Morris, Savage Landor ) ; 4) perciò la mia esperienza deve essere per forza universale: quando mi sento combattuto, non sono di fronte che alla manifestazione dell' antithetical self : " Quando si crea una qualsiasi opera d'arte è come se una specie di " conoscenza" o di potere estraneo alla nostra mente entrasse in noi.Ciò avviene per via di un'immagine,credo. Un'immagine che ci deve essere data: non possiamo sceglierla come vogliamo.Ed è attraverso la sofferenza che l'artista scopre la maschera dell' Io antitetico e l'immagine che la esprime, e nel contempo riconosce nel conflitto un'armonia sempre più perfetta. La poesia pertanto, nella concezione yeatsiana non deve " criticare" la vita, che può essere percepita soltanto attraverso l'emozione: ne consegue che qualsiasi stimolo esterno esulante dal controllo del poeta non è un soggetto adatto alla poesia. " I simboli sono gli unici elementi liberi da ogni legame con la realtà e capaci di parlare il linguaggio della perfezione. " I simboli possono evocare risposte emozionali o risposte intellettuali, o entrambe. Nel primo caso agiscono su ogni uomo istintivamente, perché esistono da sempre nel suo spirito ( la teorizzazione yeatsiana è qui particolarmente vicina a quella junghiana di " inconscio collettivo " ); i simboli intellettuali invece sono privilegi di pochi e comportano un maggior senso di perfezione. (…) Franco Buffoni ( Prefazione a ) Poesie di Yeats
Diteci dunque di quella signora, che un poeta esaltato ci cantava…
AVVENTO DELLA SAGGEZZA COL TEMPO Unica è la radice a molte foglie; nella menzogna della prima età volgevo fronde e fiori incontro al sole; voglio appassire nella verità. *** LA BELLEZZA VIVENTE Volevo, ormai consunti olio e lucignolo e i canali del sangue in gelo secchi, l'inappagato cuore ora appagare nella bellezza che un modello emana di bronzo, o in abbagliante marmo appare; appare, e se ti volgi ahimè scompare, alla tua solitudine lontana più di un fantasma. O cuore, siamo vecchi; la bellezza vivente è per l'ardore dei giovani. Né è dato a noi recarle il tributo di lacrime selvagge. *** A UNA GIOVINETTA Mia cara, mia cara, io so più d'ogni altro che mai così ti fa battere il cuore; nemmeno tua madre può saperlo come io lo so, che per lei mi spezzavo il cuore quando il selvaggio pensiero ch'ella rinnega e ha dimenticato tutto le agitava il sangue, sfavillandole nelle pupille. *** SOGNI INFRANTI Fra i tuoi capelli è qualche filo bianco. E i giovani ormai quando tu passi d'improvviso non soffoca il respiro. Ma qualche vecchio forse mormorando ti benedice, ché una tua preghiera l'ha scampato sul letto della morte.. Per te che sai del cuore ogni tormento e ogni tormento hai inflitto all'altrui cuore, di gracile fanciulla germogliando la tua bellezza grave - per te sola il cielo ha cancellato la sentenza, tanta parte gli serbi in quella pace, se cammini soltanto in una stanza. La tua bellezza può tra noi lasciare solo ricordi, pallidi ricordi. E un giorno a un vecchio un giovane dirà: " Diteci dunque di quella signora che un poeta ostinato ci esaltava quando l'età gli ebbe gelato il cuore". Vaghi ricordi, pallidi ricordi, ma nella tomba tutti rivivranno. La certezza che un giorno la signora vedrò giacere o ritta o camminare nella bellezza sua prima di donna col fervore degli occhi giovanili m'ha fatto come folle delirare. E tu sei bella più d'ogni altra donna, ma una macchia offuscava il tuo bel corpo: non erano le tue piccole mani belle, e temo che tu forse non corra e remi fino al polso in quell'arcano lago sempre ricolmo dove quelli che hanno adempiuto alle divine leggi recano e sono ormai perfetti. Lascia immutate le mani ch'io baciavo per amore di un'amicizia antica. L'ultimo tocco della mezzanotte muore; l'intero giorno ho allineato di sogno in sogno e poi di verso in verso divagando come un fantasma d'aria: solo ricordi, pallidi ricordi. *** LE FACCE NUOVE Se voi, che avete tratto i vostri giorni a vecchiezza, doveste morir prima, né cedro né catalpa udrebbe il mio piede vivente, né valicherei dove operammo noi che spezzeremo i denti al Tempo. Sì, le facce nuove giochino i loro tiri in sale antiche. La notte può predominare il giorno, per la stridula ghiaia del giardino vanno ancora le nostre ombre, e i viventi ecco appaiono piò ombre delle ombre. *** DOPO UN LUNGO SILENZIO Dopo un lungo silenzio ora parliamo; estraniati o morti gli altri amanti, celata nella propria ombra la luce avversa della lampada, calate sopra la notte avversa le cortine, giusto è che dibattiamo senza fine il sommo tema dell' Arte e del Canto: è decrepito il savio; ci amavamo in giovinezza e s'era noi ignoranti. William Butler Yeats da Poesie
Un violento rovescio ha allungato la pioggia sui vetri: inutili lacrime su guance di una furtiva scompagine avvolta di cinereo. Tempi troppo lunghi da descrivere a mozzichi al telefono; ardua la vita senza noi scomparsi con passi malfermi. E io che mi credevo più forte. frida
(…) Il bambino è sdraiato carponi. Il braccio sinistro, l'unico visibile nelle fotografia, è appoggiato sulla rena, il palmo della mano rivolto verso il cielo. Si scorge la parte sinistra del viso, tanto da notare il taglio corto dei capelli. L'orecchio è bene in vista. Dell'occhio si è incerti se giudicarlo aperto o chiuso. Il bimbo indossa una maglietta rossa, sollevata sopra l'addome, un paio di pantaloncini blu con un piccolo disegno o ricamo su una gamba. Le scarpine ai piedi sembrano nere e se ne vede per intero la suola. La parte inferiore del corpo è quasi all' asciutto, mentre il viso è carezzato dalle onde. Potrebbe dormire - per come lo vedo -ma so che non si sveglierà mai più. Quando guardo la foto su un quotidiano online, mi è chiaro di che si tratta: è una delle immagini che compongono un servizio fotografico su un naufragio di migranti nel Mar Egeo. Le foto hanno soggetti diversi: adulti, bambini. Scene di disperazione e gesti di salvataggio. Alcune di quelle immagini sono terribili e anche senza mostrare cadaveri, si vedono abiti ammonticchiati sulla sabbia, trasportati evidentemente dal mare, o il pianto dei sopravvissuti ( l'intollerabile senso di colpa di chi sopravvive, che si fa strada fra le pieghe del sollievo per aver conservato la propria vita ). Il bambino invece compare in una piccola serie di foto che è destinata ad avere una propria storia a parte. In una seconda immagine, rovesciata rispetto alla prima, è ritratto il suo corpo abbandonato sulla spiaggia, da solo: i piedi a sinistra e la testa a destra, la nuca esposta verso chi guarda. In un'altra, due poliziotti gli sono vicini, a una distanza di non più di due metri. Stanno in piedi. Quello più a sinistra è girato di spalle,l'altro,che imbraccia una fotocamera sembra allontanarsi dalla battigia. Ancora un'immagine: uno dei poliziotti ha preso in braccio il corpo del bambino. E' lievemente curvo in avanti e indossa guanti di gomma. I suoi gesti sono carichi di delicatezza e rispetto. (…) Fausto Colombo da Imago pietatis ( Indagine su fotografia e compassione )
(..) E' il 2 Settembre 2015. Scoprirò poi che il bambino si chiamava Alan Kurdi ed è morto annegato durante la notte del naufragio del gommone che doveva portare lui e la sua famiglia da Bodrum, in Turchia, all'isola greca di Kos. Il poliziotto che ne raccoglie il corpicino è un padre di famiglia, con bambini quasi dell'età di Alan, forse destinato a portare per sempre dentro di sé tutto quell'orrore. Le foto del bambino faranno il giro del mondo e del web, provocheranno conseguenze, dichiarazioni e scelte politiche. Un'ondata di rielaborazioni e commenti alla foto più diffusa, monopolizzerà Twitter e le indagini sui motori di ricerca. Non mancheranno ricostruzioni e polemiche sulla famiglia di Alan, sulla scelta del padre di intraprendere il viaggio fatale, sull' immigrazione e sui suoi rischi. Artisti di ogni Paese rielaboreranno in vario modo l'immagine del corpicino abbandonato, riproponendola così alle coscienze di milioni di abitanti del pianeta. " Morte di Alan Kurdi" diventerà una voce di Wikipedia. I primi anniversari del naufragio verranno ricordati dai quotidiani. La curiosità, la compassione, la volontà di riscatto e di reazione che l'onda emotiva scatenatasi sui media ha stimolato e suscitato, dimostrano che a volte - nei grandi dolori come nelle grandi gioie - possiamo essere tutt'uno, provare una sorta di compassione universale, comprendere con un'improvvisa intuizione il nostro comune orizzonte, la nostra comune radice . (…) Fausto Colombo da Imago Pietatis ( Indagine su fotografia e compassione )
(…) Ma tornando a me, quelle foto sono rimaste nei miei occhi durante le ore,i giorni e le settimane successivi. Qualche mese dopo mi sono reso conto che non le avrei dimenticate mai più. Ed è stato allora che ho deciso di fare l'unica cosa che so fare: studiarle, girando attorno alla loro terribile forza e al loro intollerabile mistero. Ripercorrere la strada che le ha portate nel cuore di un'umanità abitualmente distratta. E' stato un viaggio complicato nel tempo e nelle idee, perché l'arte fotografica ha ormai una lunga storia e molti autori se ne sono occupati quasi fin dalle origini, e sulla forza del web nel diffondere ogni tipo di contenuto sono stati già versati i classici fiumi di inchiostro. Le pagine che seguono sono il diario del mio viaggio: i tre capitoli raccontano la breve vita di Alan e la diffusione delle sue foto; il legame tra quest'ultime e l'intera, complessa storia del rapporto tra fotografia e rappresentazione della morte; infine un percorso nelle radici dell'immagine del bambino- vittima della storia della ( nostra ) cultura. E' un diario senza nessuna pretesa di esaustività, di profondità, di saggezza né tantomeno di conclusioni universali. Come ha scritto Pierluigi Cappello :" Il poeta non scrive della rosa ma di questa rosa, della sua sfumatura, della sua breve durata ". Lo stesso ho fatto io, senza essere un poeta. Incapace di risolvere questioni universali come il dolore del bambini, le responsabilità degli uomini, il ruolo della fotografia, la forza dei social media, mi sono concentrato su poche strazianti immagini. Nel farlo, ho cercato di tenere sempre in mente Alan. Se non ci sono riuscito chiedo scusa una volta di più a questo sfortunato bambino, figlio, nipote e fratello di tutti noi. (…) Fausto Colombo da Imago pietatis ( Indagine su fotografia e compassione )
Aggrappati ai miei fianchi come a covoni maturi.. Toccami l'anima in questo tempo di fuoco e carne, scopri gli angoli del mio corpo in una voglia che cresce liquida, bagnata come una lacrima perduta. Entra nella mia mente in silenzio e aprimi il cuore scivolando dolce nei miei respiri. Aggrappati ai miei fianchi come a covoni maturi e méscolati al mio sangue, rosso rubino come papavero d'estate, ribollente come mosto d'autunno. Voglio sentirti tutto in me come alito tiepido sugli occhi, mentre dentro ci esplode l'anima. frida
(…) Nel grande paesaggio dell'immaginazione, il più kafkiano dei maestri americani si muove tra desiderio e disperazione, tra possibilità che non possono che svanire e compiutezza assoluta,e lo fa unendo alchemicamente allusività e precisione meticolosa, densità ed evanescenza. La sua scrittura si colloca in scenari struggenti di sconsolata felicità, presenze perdute, vita oltre la morte e morte in vita. In un'atmosfera eminentemente romantica, fatta di luce lunare, bruma, vento, notte, mari in burrasca e interni angusti e spogli, Strand ci fa assaporare " il miele dell'assenza", ci insegna che " fissare il nulla è imparare a memoria / quello in cui noi tutti verremo spazzati", dentro il futuro che " non è più quello di una volta ". (…) Enzo Siciliano
Di' loro che mi reggo su una gamba mentre l'altra sogna… A VACANZA DAVVERO FINITA Sarà strano sapere infine che non si poteva andare avanti all'infinito, con quella vocina a ripeterci sempre nulla cambierà, e ricordare anche, perché allora sarà tutto finito, come stavano e cose, e come abbiamo buttato via il tempo, come se non ci fosse nulla da fare, quando, in un lampo il clima cambiò, e l'aria lieve si fece d'una pesantezza insopportabile, il vento straordinariamente taciturno e le nostre città cenere, e sapere pure ciò che non avevamo mai sospettato, che era qualcosa come l'estate al massimo della magnificenza tranne che le notti erano più calde e le nubi parevano rilucere, e perfino allora, perché non saremo molto cambiati, chiederci che ne sarà delle cose, e chi rimarrà a ripetere tutto daccapo, e in qualche modo cercare, ma tuttora incapaci, di sapere cosa davvero sia andato storto del tutto, o come mai stiamo morendo. *** RINUNCIARE A ME STESSO Rinuncio ai miei occhi che sono uova di vetro. Rinuncio alla mia lingua. Rinuncio alla mia bocca che è il sogno perpetuo della mia lingua. Rinuncio alla mia gola che è la custodia della mia voce. Rinuncio al mio cuore che è una mela in fiamme. Rinuncio ai miei polmoni che sono alberi ignari della luna. Rinuncio al mio odore che è quello di una pietra che si muove sotto la pioggia. Rinuncio alle mie mani che sono dieci desideri. Rinuncio alle mie braccia che hanno voluto lasciarmi comunque. Rinuncio alle mie gambe che solo di notte sono amanti. Rinuncio alle mie natiche che sono le lune dell'infanzia. Rinuncio al mio pene che in un sussurro incoraggia le mie cosce. Rinuncio ai miei vestiti che sono mura agitate dal vento e rinuncio al fantasma che le abita. Rinuncio. Rinuncio. E tu non ne avrai neanche un po' perché io sto già ricominciando da zero. *** A QUESTO PUNTO Abbiamo fatto quel che volevamo. Abbiamo cestinato i sogni, privilegiato l'industria pesante l'uno dell'altra, e abbiamo accolto il dolore a braccia aperte e denominato rovina l'abitudine impossibile da spezzare. E adesso eccoci qui. La cena è in tavola ma non riusciamo a mangiare. La carne resta lì nel lago bianco del piatto. Il vino attende. Arrivare a questo punto ha i suoi vantaggi: nulla è promesso, nulla è sottratto. Non abbiamo cuore né grazia salvifica, non un posto dove andare, non un motivo per restare. *** RESPIRO Quando li vedi di' loro che io ci sono ancora, che mi reggo su una gamba mentre l'altra sogna, che solo così si può fare, che le bugie che dico a loro sono diverse da quelle che dico a me stesso, che con lo stare sia qui che oltre mi sto facendo orizzonte, che come il sole si leva e cala io so qual è il mio posto, che è il respiro a salvarmi, che persino le sillabe forzate del declino sono respiro, che se il corpo è bara è anche madia di respiro, che il respiro è uno specchio offuscato da parole, che solo il respiro sopravvive al grido di aiuto quando penetra l'orecchio dell'estraneo e permane ben oltre la scomparsa della parola, che il respiro è di nuovo all'inizio, che da esso si stacca ogni resistenza, come il significato si stacca dalla vita, o il buio si stacca dalla luce, che il respiro è ciò che dò a loro quando mando saluti affettuosi. Mark Strand da Il futuro non è più quello di una volta