Notturnamente arricciate le labbra dei fiori...
Il 20 pomeriggio dell'Aprile 1964, Paul Celan giunse a Milano accolto dal Direttore del Goethe - Institut, a suo dire preoccupato dalla fama di Celan, uomo scontroso e imprevedibile. Nell'Aula delle Conferenze, la lettura delle sue difficili poesie mise a dura prova il pubblico, che finì per intimidirsi. Terminata la lettura dei testi, l'assenza di un commento o di una spiegazione, rese impossibili stabilire un contatto con il poeta. Lui se ne stava seduto su una sedia, muto, assente, scostante.
Ai lunghi tavoli del tempo
trincano i boccali di Dio.
Prosciugano gli occhi dei vedenti e gli occhi dei ciechi,
i cuori delle ombre che imperano,
la guancia concava della sera.
Sono i bevitori più accaniti:
portano alla bocca il vuoto quanto il pieno
e non schiumano come te o me.
***
NOTTURNAMENTE ARRICCIATE
Notturnamente arricciate
le labbra dei fiori,
incrociati e conserti
i fusti degli alberi,
ingrigito il muschio, smossa la pietra,
destate all'infinito volo
le taccole sul ghiacciaio :
questa è la landa dove
sostano quelli che abbiamo raggiunto :
non nomineranno l'ora,
non conteranno i fiocchi,
non seguiranno le acque alla chiusa.
Stanno divisi nel mondo,
ciascuno con la sua notte,
ciascuno con la sua morte,
scontrosi, a testa nuda, brinati
di prossimità e distanza.
Pagano il fio che animò la loro origine,
lo pagano in una parola
che sussiste a torto, come l'estate.
Una parola - tu sai :
un cadavere.
Laviamolo,
pettiniamolo,
giriamo il suo
occhio verso il cielo.
***
BIANCO E LIEVE
Dune a falce, innumeri.
Sottovento, mille volte : tu.
Tu e il braccio
con cui crebbi nudo verso te,
perduta.
I raggi. Ci spingono insieme.
Portiamo il brillìo, il dolore e il nome.
Bianco
ciò che si muove a noi,
senza peso
ciò che scambiamo.
Bianco e lieve:
lascialo vagare.
Le lontananze, prossime alla luna, come noi. Costruiscono.
Costruiscono lo scoglio dove
s'infrange ciò che vaga,
continuano
a costruire:
con schiuma di luce e spruzzi d'onda.
Ciò che vaga, fa cenno dallo scoglio.
Alle fronti
fa cenno di venire,
alle fronti che ci prestarono
per specchiare.
Le fronti.
Rotoliamo con esse laggiù.
Riva di fronti.
Dormi?
Dormi!
Un mulino di mare gira,
chiaro - ghiaccio e non udito,
nei nostri occhi.
***
IL TRISILLABO DOLORE
Ti si diede nella mano :
un tu, senza morte,
con cui tutto l'io tornò a sé. Correvano
voci prive di parole, forme vuote, tutto
finiva in esse, mischiato
e scomposto
e di nuovo
mischiato.
E numeri erano
tessuti con l'innumere. Uno e mille e ciò
che davanti e dietro
era maggiore di se stesso, minore,
maturato e
ri - e tras -
formato in
germinante mai.
Il dimenticato agguantò
il dimenticando, continenti, cuori a pezzi
galleggiavano,
affondavano e galleggiavano. Colombo,
il colchico
nell'occhio, il
ranuncolo
sterminò alberi e vele. Tutti salparono,
liberi,
avidi di scoperte,
smise di fiorire la rosa dei venti, perse
le foglie, un oceano
fiorì a iosa e a giorno, nella luce nera
dei selvaggi colpi di timone. In bare,
urne, canopi
si destarono i piccoli
Diaspro, Agata, Ametista - popoli ,
tribù e casati, un cieco
E sia
si annodò nelle gomene e sciolse a testa di
serpente - : un
nodo ( e contro -, retro-, anti-, e bi - e mille -
nodi ) presso cui,
occhi da carnevale, la nidiata
delle stelle - martora nell'abisso
sil-, sil-, sil-
labava, labava.
-
Paul Celan Antologia a cura di Dario Borso
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