Un giorno sarai abbandonato...
Un giorno sarai abbandonato
come un riccio sull'orlo di una strada campestre.
Andrai qualche volta in cucina
a chiedere molliche
alla loro arroganza, umiliato.
Sei zavorra, sei modesto
con quelle spine spuntate, inutili,
sei cosa da regalare alle ortiche,
da mettere in un vecchio cesto,
da coprire di sputi.
***
Volare via da me stesso
come un uccello migratore,
da questo roveto, da questo malessere,
da questo perenne dolore.
***
Questo oleandro già pronto a sfiorire mi svela
che il mondo si sbriciola a guardarlo troppo.
Meglio ignorare l'indifferente natura, la gelida,
che puntarvi addosso lo sguardo come il malocchio.
Ogni cosa è imbrattata da ciglia di estranei
e le nostre pupille curiose ne affrettano
la muffa, lo sfarinìo di farfalla, il dissesto,
il mesto giallore da Presto Giovanni,
insomma l'ingresso nel Buio Pesto.
Lo sguardo denuda lo sfarzo mediocre del creato,
straccia gli involucri bagattellieri, e l'immagine
non resiste alla nostra inquisizione oculare,
ma il gioco è reciproco: tu pure sei fragile
e polvere, se ti osserva un oleandro.
***
Non si accorgeranno nemmeno
di quello che hai scritto.
Getteranno i tuoi versi fra gli stracci vecchi.
Resterai sguattero, guitto
in questa fiera di grattigrù delle lettere.
Sei un viluppo di piume, una balla di fieno
carica di gorgheggianti uccellini.
Ma per chi cantano? Chi mai li ascolta?
Merda. Sarebbe meglio scrivere
novelle per pollivendoli, romanzi zuccherini,
storielle piovose, canzoni da balera.
Ma è tardi ormai. Scriverai ancora versi,
questa feccia di vino che nessuno vuol bere.
***
Verrai ogni tanto a visitarmi sottoterra
come una bionda Persefone
in mezzo alle larve baritonali.
Ricordi: già ne parlammo a Wiesbaden:
mi promettesti che quando prenderò alloggio dall'orco,
di tanto in tanto verrai
per un breve soggiorno
a consolare la mia malinconia,
il mio desiderio della terra,
a parlarmi degli amici.
E non importa se i figli
ti prenderanno per matta, pensando
che ciò che è morto va dimenticato
e che è assurdo questo lugubre turismo
***
IL CERCHIO DEGLI AMICI
Il cerchio degli amici si va restringendo, ciascuno
ha troppi guai, non vorrebbe pesare sugli altri.
Mi chiudo in me stessa, rimesto il mio malumore, il mio
affanno,
imparo a tacere, mi rodo, nemmeno gli scaltri
sanno ciò che avverrà fra sei giorni, tra un anno.
Ma se riuscissi a venire da te, districandomi
da questo invoglio marcito, da questa kàtorga,
sarei felice: felice come una pulce.
Domani si concluderà la stagione. Una lunga catena
di recite in giugno. Ritorno a Pilsen, a cuccia.
Vladia finisce il sei luglio, avremo in casa i pittori.
Poi sciup: voleremo verso una spiaggia romena,
per riposare lontano da ukase e sermoni.
Ti auguro buone vacanze e un po' di salute.
Se mi penserai qualche volta, solleva il bicchiere,
perchè si ravvivino tutte le nostre speranze perdute.
Sarei felice: felice come una pulce.
Ma intorno a noi sempre più alte barriere
si levano e mura gelide e mute.
Angelo Maria Ripellino da Sinfonietta
Profonde e rare, come te d'altronde cara Frida🌻
RispondiEliminaRipellino è in effetti un autore " molto corposo" e io - qui - non faccio che proporlo, secondo la mia sensibilità.
RispondiEliminaGrazie, cara amica !